Vorrei aggiungere ancora qualcosa
a ciò che ti ho detto nell’altro paragrafo intitolato “Come devi immaginarmi”.
Sul sesso ci soffermeremo a
lungo, sarà uno dei più importanti argomenti del nostro discorso, e non perderò
certo occasioni di dirti, in proposito, delle verità, sia pure semplici che
tuttavia scandalizzeranno molto, al solito, i lettori italiani, sempre così
pronti a togliere il saluto e a voltare le spalle al reprobo.
Ebbene: in tal senso io sono come
un negro in una società razzista che ha voluto gratificarsi di uno spirito
tollerante.
Sono, cioè, un “tollerato”.
La tolleranza è solo e sempre nominale.
Non conosco un solo esempio o caso di tolleranza reale. Il fatto che si
“tolleri” qualcuno è lo stesso che si "condanni".
La tolleranza è
anzi una forma di condanna più raffinata.
Infatti al “tollerato” – mettiamo al
negro che abbiamo preso ad esempio – si dice di far quello che vuole, che egli
ha il pieno diritto di seguire la propria natura, che il suo appartenere a una
minoranza non significa affatto inferiorità eccetera eccetera. Ma la sua “diversità”
o meglio “la sua colpa di essere diverso”- resta identica sia davanti a chi
abbia deciso di tollerala, sia davanti a chi abbia deciso di condannarla.
Nessuna maggioranza potrà mai abolire dalla propria coscienza il sentimento
della “diversità” delle minoranze. L’avrà sempre, eternamente, fatalmente
presente. Quindi – certo – il negro potrà essere negro, cioè potrà vivere
liberamente la propria diversità, anche fuori – certo – dal “ghetto” fisico,
materiale che, in tempi di repressione, gli era stato assegnato.
Tuttavia la figura mentale del
ghetto sopravvive invincibile. Il negro sarà libero, potrà vivere nominalmente
senza ostacoli la sua diversità eccetera eccetera, ma egli resterà sempre
dentro un “ghetto mentale”, e guai se uscirà da lì.
Egli può uscire da li solo a patto
di adottare l’angolo visuale e la mentalità di chi vive fuori dal ghetto, cioè
dalla maggioranza.
Nessun suo sentimento, nessun suo
gesto, nessuna sua parola può essere “tinta” dall’esperienza particolare che
viene vissuta da chi è rinchiuso idealmente entro i limiti assegnati a una
minoranza (il ghetto mentale). Egli deve rinnegare tutto se stesso, e fingere
che alle sue spalle l’esperienza sia un’esperienza normale, cioè maggioritaria.
Pier Paolo Pasolini - Da Lettere luterane.
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