Filippo Tuena, insieme a Massimo De Fidio, in un prezioso libretto pubblicato molti anni fa - Ripetta in controluce (Segnature editoriale, Roma, 2000), tutto dedicato alla celebre ed elegante via di Roma - riportano un episodio di cronaca finito nell'oblio, che però all'epoca destò l'interesse morboso dei cittadini della Capitale, avvenuto sul Ponte di Ripetta, in legno, che vedete in questa rara foto d'epoca e oggi non più esistente
Il 9 luglio del 1890 Augusto Formili, che all'epoca era un personaggio in vista perché a 41 anni dirigeva i Giardini comunali, sempre elegante e con fama di dongiovanni - un vero dandy dell'epoca - buttò giù dal ponte di Ripetta, la moglie, Rosa Angeloni, che aveva 3 anni più di lui e che. di mestiere semplice stiratrice, era stata sedotta giovanissima dal marito.
Era successo che l'uomo avesse all'epoca un'amante, una ventenne trasteverina, di nome Elvira, con la quale intratteneva da tempo una relazione. Il triangolo amoroso era andato avanti per un po' fin quando la ragazza era rimasta incinta.
La nascita di questo bambino aveva spinto Elvira a spingere perché il suo amante si decidesse finalmente a lasciare la moglie, Rosa.
Per un certo periodo Augusto s'era lasciato convincere e aveva lasciato la moglie, trasferendosi in casa dell'amante. Ma poi, sempre più indeciso sul da farsi, era tornato a casa, spesso ubriaco, sfogando la sua frustrazione sulla moglie e sulle figlie, che picchiava senza motivo.
Forse in questo c'era anche della premeditazione perché sperava che il suo carattere - insieme all'avarizia, aveva preso a lesinare i soldi alla moglie - convincesse la consorte a cacciarlo di casa.
Ma Rosa non aveva nessuna intenzione di concedere il divorzio, temendo forse, e a ragione di trovarsi in miseria insieme alle figlie.
La sera fatidica i due coniugi erano andati a cenare da Cesare, il Fornaciaio, cercando di risolvere la questione. Ma se, finché erano rimasti nel locale, i toni erano rimasti pacati, appena usciti all'aperto la discussione si trasformò in un violento litigio. Così Augusto, giunto a metà del ponte di legno, esasperato dal rifiuto della moglie a concedere il divorzio, aggredì la moglie. Per farla smettere di gridare, la sollevò d'impeto e la spinse oltre il parapetto del ponte. La donna però riuscì a rimanere aggrappata alla ringhiera. Il marito, con un sasso, prese a schiacciargli le mani finché la donna mollò la presa e precipitò nel fiume.
Rosa non sapeva nuotare, cominciò ad annaspare nella corrente, affogando quasi subito anche a causa degli abiti lunghi che andavano di moda allora.
Subito dei passanti chiamarono la polizia, ma Augusto riuscì a fuggire, approfittando dell'oscurità.
Cominciò allora una caccia all'uomo, scatenata in tutta Italia e alla fine l'uomo finì per costituirsi alla polizia di Milano, città in cui si era rifugiato.
Al processo, prima cercò di proclamare la propria innocenza, poi finì per confessare, spiegando di essere stato preda di un raptus feroce e di avere agito in stato di trance.
La giuria non gli credette e lo condannò a 30 anni di reclusione. Pena che ai romani sembrò troppo mite e sicuramente giustificata dal rango del colpevole e dalle sue potenti amicizie.
Gli stornellatori cittadini però espressero una condanna più severa e a futura memoria, con i versi che si tramandarono di generazione in generazione:
porgete orecchio attento, amici cari
ché fra i delitti atroci e ancor più rari
ve ne racconto un, se date retta,
il delitto del ponte di Ripetta.
Fabrizio Falconi - rielaborato da: Filippo Tuena e Massimo De Fidio, Ripetta in controluce (Segnature editoriale, Roma, 2000)
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