Poco in vista, defilata rispetto ai monumenti e agli itinerari del centro storico, la maestosa Porta San Sebastiano è la più grande e anche la meglio conservata di quelle che anticamente esistevano lungo le Mura Aureliane per l’accesso alla città. Era collocata al termine della Via Appia, che si percorreva da sud per raggiungere l’Urbe, come del resto è anche oggi.
Anticamente però la Via Appia si snodava anche nel tracciato cittadino, partendo direttamente dal Campidoglio e questo spiega come mai, appena fuori della Porta, sulla destra, all’inizio della via sia murata l’antica colonna miliaria (in realtà si tratta di una copia, l’originale fu spostato in epoca medievale ai piedi della collina del Campidoglio, dove si trova tuttora) che aveva il compito di segnare il primo miglio della Via Consolare e che fra l’altro funzionò come modello di lunghezza lineare per tutte le altre strade romane.
Oggi la Porta è invece collocata al termine di quella che è stata chiamata Via di Porta San Sebastiano (e che era in origine l’Appia), subito dopo quello che viene chiamato comunemente Arco di Druso e che gli archeologi hanno scoperto essere nient’altro che uno dei fornici dell’Acquedotto Marcio che alimentava le monumentali Terme di Caracalla, e non invece un arco trionfale.
Il progetto originario della Porta, con i due torrioni circolari che la caratterizzano e che ancora esistono, risalgono proprio all’epoca di Aureliano, ma il monumento fu completamente rifatto sotto l’imperatore Onorio (nel 401 d.C.) con la realizzazione di una fortificazione a livello superiore, con un cammino di ronda merlato e due basi quadrangolari rivestite di blocchi di marmo che furono messe a circondare (e quindi a rafforzare) le torri rotonde.
I rivestimenti marmorei di queste basi angolari hanno la strana caratteristica di alcune escrescenze di forma rotonda e convessa che hanno suscitato la curiosità degli archeologi. A che servivano ? L’ipotesi più probabile è che si tratti di elementi decorativi ispirati agli umboni, cioè le parti sporgenti collocate nel mezzo degli scudi militari. Un’altra teoria invece spiega la presenza di questi orpelli come elementi apotropaici, destinati ad allontanare le energie negative dei nemici intenzionati a dare l’assalto alle mura della città.
Ma un altro motivo di interesse della Porta (che ospita fra l’altro l’interessante Museo delle Mura, poco conosciuto) sono i numerosi graffiti e le numerose incisioni di cui è ricoperto il marmo del fornice centrale, dell’ingresso, verso la città.
Tra di esse è celebre la figura, sullo stipite destro (con le spalle al Campidoglio) dell’Arcangelo Michele, con una lunga iscrizione in latino che ricorda la battaglia vinta dalle truppe romane (guidato da Giacomo Ponziano) contro l’esercito del Re di Napoli, Roberto D’Angiò il 29 settembre 1327, il quale voleva occupare Roma e che proprio qui si svolse. L’iscrizione così risulta tradotta: L'anno 1327, indizione XI, nel mese di Settembre, il penultimo giorno, festa di S. Michele, entrò gente straniera in città e fu sconfitta dal popolo romano, essendo Jacopo de' Ponziano capo del rione.
La dedica all’Arcangelo Michele, una delle figure più care della iconografia cristiana, nella Roma medievale era il tributo a quello che si supponeva essere stato un intervento divino, in grado di ribaltare la sproporzione delle forze in campo, nettamente a favore del Re di Napoli.
Ma sugli stipiti, a destra e a sinistra, se soltanto si esamina con attenzione – con la necessaria accortezza visto il continuo transito di automobili – sono presenti molti altri graffiti, molto semplici, con iniziali, date e croci, lasciati dai pellegrini che erano riusciti a raggiungere la città dopo viaggi che si immaginano molto molto difficili e pericolosi.
Altrettanto interessante è notare la scanalatura della saracinesca che scendeva a chiudere ermeticamente la Porta manovrata dalla camera soprastante, assicurando, insieme al duplice battente di legno, la resistenza contro gli attacchi nemici.
In effetti, forse in pochi altri monumenti come questo, a Roma, si percepisce, attraverso il connubio tra fortificazioni e graffiti votivi, l’alternarsi delle sorti di guerra e pace che hanno contrassegnato i lunghi secoli di storia dell’Urbe.
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