In Un Mondo di Marionette (titolo originale: Aus dem Leben der Marionetten, 1979-80 ) - uno dei film dell'esilio tedesco (per motivi banalmente fiscali) - Ingmar Bergman perfezionò il suo lungo decennale lavoro di scavo sull'umano.
In un film considerato minore della sua lunga e gloriosa filmografia, Bergman espose con piglio da entomologo ciò che pensa del dramma umano.
Il dramma umano, sempre in bilico tra due diverse pulsioni: amore/condivisione - morte/separazione.
Bergman, con la sua formazione interamente protestante, considerava il male della creazione realtà presente e non evitabile.
Nella vicenda della follia di Peter e del suo amore frustrato e frustrante con Katharina c'è tutto quello di incompiuto che rende ogni vita umana un possibile abisso.
Peter non sa e non può - e non vuole - sottrarsi al suo destino.
Peter, come molti, decide di sublimare la propria vita interiore attraverso il più radicale e distruttivo dei gesti esteriori - l'omicidio (gratuito) di una prostituta.
Nella scena del sogno, però, raccontato nella lettera che invia all'analista, Peter vive - anche se soltanto nella sua vita interiore, che però è importante quanto quella esteriore - la rappresentazione completa del proprio dramma personale (e collettivo, umano) che si realizza nella frase: Se tu sei la mia morte, sii la benvenuta, o morte. Se tu sei la mia vita, sii la benvenuta, o vita.
E' quella totale accettazione - senza volontà, senza ego, senza sovrastrutture - della semplice verità della vita, che Peter, da sveglio, nel crogiolo della sua vita reale, complicata, inutilmente sovrastrutturata, egoistica, volontaristica, non riesce e non può in nessun modo né pronunciare, né sentire.
Fabrizio Falconi
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