Bauman: «Ha portato il papato a un livello umano»
intervista a Zygmunt Bauman
a cura di Alberto Guarnieri e Massimo Pedretti
in “Il Messaggero” del 13 febbraio 2013
Un Papa che getta la spugna, come dice lui stesso «per il bene della Chiesa», è un gesto totalmente
nuovo che si pone l’ambizioso obiettivo di restituire dignità morale a una Chiesa in crisi. Così pensa
Zygmunt Bauman, sociologo e filosofo polacco che dal 1971 vive e insegna in Inghilterra. Bauman
è divenuto celebre per la teoria della “società liquida”, con cui spiega una “postmodernità”
diventata sempre più preda del consumismo e di una vita frenetica quasi priva di valori che le
istituzioni in crisi non sanno più tenere vivi.
Professore, le dimissioni di Benedetto XVI sono state lette anche come il sacrificio di un
pontefice intellettuale probabilmente sconfitto, oltre che dall’età e dagli acciacchi, dalla crisi
di identità della Chiesa-istituzione. È d’accordo?
«Quella della Chiesa è una realtà istituzionale molto importante, che si differenzia da tutte quelle
laiche, in quanto funge da mediatrice tra Dio e uomo. Benedetto XVI con la scelta di dimettersi ha
portato il papato a un livello umano, confessandosi pubblicamente e ammettendo che ogni essere
umano, anche se Papa, ha dei limiti».
Ma recuperando individualmente questa umanità, Joseph Ratzinger non mette a rischio la
sacralità della Chiesa e della figura del vicario di Cristo?
«La grandezza del gesto di Benedetto XVI si può anche spiegare così: l’uomo che è erede di San
Pietro ha deciso di spogliarsi della sacralità del suo essere riconoscendo il conflitto, in questo caso
specifico tra il ruolo e l’uomo (anziano, debole, forse malato). Papa Wojtyla scelse il ruolo, Papa
Ratzinger, a conclusione di una lunga riflessione, ha scelto l’uomo».
Molte delle sue teorie richiamano l’insegnamento della Chiesa. Parlando di crisi della
speranza lei mette in risalto l’eccessiva fiducia nel progresso tecnologico e i danni che provoca
l’economia capitalistica priva di regole.
«Esatto. Spesso ci si chiede se l’umanesimo, categoria in cui rientra l’insegnamento della Chiesa,
abbia un futuro. Io domando: il futuro ha un umanesimo?».
Se quella del Papa è una resa, non teme che la crisi che lei denuncia si aggravi?
«Essere umani vuol dire avere speranza. Gli animali avvertono la fine prima di noi, ma solo per
istinto. Se legassimo la cultura alla mortalità non avrebbe avuto senso creare la cultura. La scelta del
Papa è socratica? Anche fosse, non significherebbe certo la fine dei valori della Chiesa».
Lei rifiuta di definire pessimistiche le sue analisi. Dove sta la possibilità di un cambiamento?
«Sperare significa coltivare la solidarietà umana. Istituzioni e individuo sono in crisi, è vero. Va
riaperto un dialogo che passo dopo passo rinforzi la cooperazione sociale, un gioco dove non ci
sono vincitori e vinti ma vantaggi per tutti».
Quindi è ottimista?
«Conosco bene il vostro Gramsci: l’ottimismo della volontà contro il pessimismo dell’intelligenza».
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