Ma che straordinario libro è questo.
Il Signore di Ballantrae, scritto da Robert Louis Stevenson nel 1888 è un compendio sulla ambiguità dei caratteri umani, e dei rapporti. E sulla follia del male.
La storia dei due fratelli James e Henry, l'uno - il maggiore - erede designato della casa nobile a cui appartiene, pura anima criminale, l'altro, il secondo, gregario e apparentemente sottomesso, sempre alle prese con un agognato e disperato riscatto, è la descrizione della disintegrazione di quei valori umani che per molti secoli segnarono la rotta della civiltà e che sul finire dell'Ottocento entrarono definitivamente in crisi.
James, dopo essere creduto morto una prima volta, durante una battaglia, torna per vendicarsi sul fratello minore che gli ha usurpato il titolo e la moglie.
Dopo un duello notturno, in cui per la seconda volta viene creduto morto, scompare ancora.
E ancora ritorna per l'ultimo faccia a faccia, che si conclude in un parossistico finale dove, per la terza volta, James sembra risorgere, questa volta addirittura dal suo letto di morte, dalla sua sepoltura.
Nella pregevolissima riedizione della Nutrimenti - corredata delle illustrazioni d'epoca, delle cartine geografiche, delle appendici con le lettere dell'autore (una indirizzata anche a Henry James - si possono scoprire le perplessità di Stevenson che accompagnarono la stesura di quest'opera, la sua insoddisfazione, il senso profondo che voleva dare a questo Diavolo, incarnato nel personaggio di James.
E' una lettura splendida, che davvero merita attenzione. Nei tempi così confusi che viviamo, il racconto di Stevenson appare quasi profetico, nella teoria di questo male insensato che esiste solo per il gusto di esistere.
Un romanzo così moderno, che sembra scritto oggi, per l'oggi.
Fabrizio Falconi
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