7.
Il cigno, l'angelo e Piero
Nel celebre affresco di Piero della Francesca, nel Duomo di Arezzo,
ispirato alla Leggenda della Vera Croce, tratto dal racconto di Jacopo
da Varagine, nell’episodio del Sogno di
Costantino, Piero ha immaginato e dipinto la figura di un angelo che con
intuizione prospettica
straordinariamente moderna, scende dall'alto da sinistra verso destra, con il
braccio dritto verso l'imperatore dormiente nella tenda, stringendo in mano una
minuscola croce.
E’ ora sorprendente notare come la figura ritratta da Piero
assomigli in forma e volume alla figura del Cigno, come riprodotta in molte
tavole astronomiche-zodiacali.
A seguito dei recenti
restauri del ciclo di affreschi, durante i lavori del convegno Lo spazio di
Piero svoltosi a Sansepolcro nel
2003 (9), alcuni interventi hanno
approfondito i contorni della scoperta - resa possibile proprio dai nuovi
restauri - che sullo sfondo dietro la tenda dell'Imperatore, Piero ha dipinto
un vero cielo stellato (uno dei primi nella Storia dell'Arte).
Il
prof. Vladimiro Valerio, storico dell’architettura all’Università di Venezia,
nella sua relazione in quel convegno, ha dimostrato come Piero avesse dipinto
un cielo reale, con le giuste posizioni delle costellazioni, anche se
invertite, probabilmente a causa dell’utilizzo di un piccolo planetario forato,
con il quale l’artista o chi per lui aveva proiettato i punti delle singole
stelle, al negativo, sulla parete.
In quello stesso convegno, un altro relatore, la prof.ssa Marisa
Dalai-Emiliani, dell’Università La Sapienza di Roma, è giunto alle stesse conclusioni, peraltro
già illustrate dallo stesso studioso in
una conferenza precedente (10):
"il riquadro con il Sogno di Costantino è sempre
stato considerato come uno tra i primi esempi di notturno della storia della
pittura moderna. Ma il restauro ha ora rivelato che il
buio della notte dietro l’accampamento imperiale è trapunto di stelle, nella
luce chiara dell’alba. L’attenzione riservata sinora a
questo particolare si è limitata a sottolinearne l’aspetto lirico, quasi si
trattasse soltanto di una raffigurazione impressionistica del firmamento.
Si avanza invece qui l’ipotesi che Piero della Francesca abbia per la prima
volta proiettato scientificamente sulla superficie piana della parete del coro
di San Francesco un settore di planisfero celeste, di cui si leggono
distintamente infatti alcune costellazioni nella corretta posizione reciproca,
ma invertita rispetto alla visione della realtà. Si apre quindi il
problema delle fonti astronomiche antiche che l’artista poté conoscere e di un
eventuale modello visivo per la rappresentazione di una parte del globo
celeste. Non meno importante, sul piano del significato iconografico, è la scelta
dell’aurora come tempo del sogno profetico, secondo un’antica
credenza attestata tra gli altri da Ovidio, Orazio, Cicerone, Avicenna e
ripresa da Dante nel XXVI Canto dell’Inferno: Ma se presso al mattin del ver
si sogna… "
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