10/01/16

"Le catacombe ebraiche di Roma" di Fabio Isman.



Anche gli ebrei, nei primi secoli della nostra era, possedevano le proprie catacombe. Al contrario di quelle cristiane, non erano dei rifugi dove esercitare il culto clandestino, ma l’ultima dimora: dei sepolcreti, dei cimiteri. Ne esistono negli Stati del Medio Oriente (in Palestina, per esempio), a Malta e in Libia. 

Ma anche nel Sud Italia: a Venosa (Potenza) e a Siracusa; e in Sardegna, a Sant’Antioco. A Roma, cinque sono andate distrutte nei secoli, due sopravvivono ancora (e non si possono vedere) e costituiscono un “unicum” al mondo: al contrario delle altre che restano, sono infatti quasi un palinsesto di simboli e di arte figurativa, quantunque proibita dalle norme religiose di questo popolo. 

Ma l’ebreo romano, che si insedia nella capitale dei papi due secoli prima della nascita del cristianesimo (sotto Nerone gli ebrei erano quarantamila, e con quindici sinagoghe), è sempre stato un po’ “sui generis”: forse, ancor prima romano che ebreo, pur osservando sempre il riposo del sabato e le regole alimentari prescritte. 

Con l’editto di Caracalla, nel 212, gli ebrei diventano “cives romani”, come tutti gli abitanti dell’impero; i primi guai cominciano soltanto dopo, con Teodosio e Giustiniano. 

Per cui, quelli romani precedono la divisione tra aschenaziti (ovvero gli ebrei di origine tedesca) e sefarditi (cioè gli ebrei di derivazione spagnola); anzi, secondo alcuni recenti studi di genetica, racconta Anna Foa in un libro recentissimo(1), i primi deriverebbero proprio dalla risalita fino all’area del Reno di ebrei italiani dopo il XIII secolo

Mentre a Roma si sono salvate numerose catacombe cristiane – tra cui quelle dei santi Sebastiano, Callisto, Valentino, Pancrazio, Ermete, Felicita, Ippolito; di Domitilla, Commodilla, Ciriaca, di via Anapo, dei Gordiani, dei santi Marcellino e Pietro, di Pretestato, Priscilla, Calepodio, Novaziano, Generosa e Baldina – una pessima fine hanno invece trovato quelle ebraiche

Ne esistevano a San Sebastiano e alla stazione di Trastevere: da tempo perdute; una, alla Caffarella, è stata colmata di cemento; di un’altra, a via Labicana, resta soltanto una descrizione dell’Ottocento. 

Ne sopravvivono due, pressoché impossibili da visitare: una, privata, aperta solamente un giorno al mese, o su richiesta, l’altra chiusa da sempre e dal 1984 in restauro. Insomma, un grande tesoro, anche culturale, è praticamente sconosciuto. 

Le catacombe superstiti sono a Vigna Randanini, sull’Appia, e sotto villa Torlonia, sulla Nomentana. 

Ironia della sorte, pur essendo cimiteri ebraici, fino al 1984 dipendevano dalla Pontificia commissione centrale per l’arte sacra, cioè dal Vaticano; soltanto dalla riforma dei Patti lateranensi sono controllate dalla Soprintendenza speciale per i Beni archeologici di Roma. 

A Vigna Randanini, scoperta nel 1859 e di proprietà dei Gallo di Roccagiovine, che hanno dato autorevoli monsignori di curia alla Santa sede, si arriva da un ambiente a cielo aperto, con due absidi realizzate tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. Non vi sono scritture in ebraico, ma tante in latino e, soprattutto, in greco. 

 Delle duecento lastre tombali ritrovate, nessuna era “in situ”: segno palese di numerose incursioni ladresche. Nei cubicoli si trovano la raffigurazione di una “menorah”, il candelabro a sette bracci del tempio di Salomone a Gerusalemme; le immagini di frutti, forse cedri; quattro palme dipinte; un vaso pitturato, con rami di rose; tanti animali: pavoni, galline, pesci; anche un ippocampo e addirittura un amorino; le tavole della Legge. Le tombe giungono fino al III-IV secolo.

Le scritte sulle lapidi lasciano individuare i “grammatei”, scribi o segretari; un “archon”, capo o presidente, forse della comunità o di una sinagoga; e anche un «ar-ci-sinagogo», forse un rabbino capo. Ancora a Vigna Randanini, a poca distanza da un cubicolo detto “delle palme” per le quattro dipinte negli spigoli, perfino tombe “a forno”, scavate – spiegano Bice Migliau e Micaela Procaccia(2) – a filo terra e perpendicolari alle pareti delle gallerie, «tipiche dell’area medio-orientale e non-africana, ma assenti nelle altre catacombe di Roma», probabile testimonianza di una certa parte della comunità nell’Urbe. 

Sotto villa Torlonia sono state invece inumate almeno quattromila persone, «dal II al V secolo», spiega l’architetto Marina Magnani Cianetti, funzionaria della Soprintendenza speciale archeologica di Roma, nei due piani della catacomba: quello inferiore è meno “ricco” di quello superiore, destinato a una comunità più povera, che viveva nell’area della Suburra. 

E, paradosso della storia, la catacomba è proprio sotto l’edificio che è stato per vent’anni la residenza di Benito Mussolini: Giovanni Torlonia gli aveva ceduto la propria villa, e si era ritirato nella Casina delle civette. è l’ultima a essere stata scoperta: soltanto nel 1918. 

E le sue gallerie si sviluppano per più di un chilometro; ha una superficie di oltre tredicimila metri quadrati. 

In un’area, i loculi sono disposti in maniera regolare, sulle pareti scandite da lesene scavate nel tufo; alcuni hanno un arco, leggermente ribassato. In un’altra area, su una parete, anziché dalle lesene, le sepolture sono scandite da semplici linee di calce. Su un muro, una deliziosa piccola testa femminile in marmo, di tipo ellenistico; in un locale di tre metri per tre, e alto due e mezzo, il soffitto a quattro vele ridonda di figurazioni, anche con svariati delfini.

Sparse nelle gallerie, più di una “menorah”. Si vedono il cedro; una palma; un “lulàv”, fascio di cinque erbe, agitato nelle quattro direzioni nella festa di Succoth, quella delle Capanne. Scritte in ebraico e in greco. In una tomba di famiglia, locali affrescati e dedicati a sepolture più signorili, è dipinto un tendaggio, che copre un tabernacolo mobile. 

Quasi come se si fosse, almeno idealmente, nel tempio di Gerusalemme. Anche qui, dalle lapidi provengono interessanti scoperte. Intanto, il nome ignoto di una carica probabilmente rituale, lo “sckonòn”; poi, almeno sei “ar-chontes”, alti dignitari; sette “grammatei”, scribi o segretari, come si è già detto; un gerusiarca, consigliere anziano; due cristiani convertiti all’ebraismo; un salmista; un “padre” della sinagoga. Sono state rinvenute tante lucerne fittili; ma le scoperte di maggiore importanza sono da tempo nei Musei vaticani. Annie Sacerdoti, che ha studiato queste sepolture, racconta: 

«Tra quanti vi sono inumati, si identificano un figlio che, sulla lapide, la madre commemora con accenti strazianti: “Eri tu che dovevi piangere me, non io te”; un Eudoxios che faceva il pittore; una Ursacia, originaria di Aquileia; una Marcia. E un Niceto che si era convertito. Su una tomba di millesettecento anni fa, per la prima volta è inciso il nome tipicamente germanico di Sigismondo, accompagnato però da un’iconografia sicuramente ebraica». 

Ma se alla catacomba di Vigna Randanini è problematico accedere, quella di villa Torlonia non è nemmeno visibile: in restauro dal 1984, quando è stata attribuita alla competenza della soprintendenza. Ai primi accessi, ci si è perfino accorti che quelle pareti emanavano gas pericolosi, e comunque insalubri: era il radon, scoperto dopo una prima campagna completa di indagini e rilevamenti. 

La soprintendente, che ora è Mariarosaria Barbera, e l’architetto Magnani hanno avviato, seguito e firmato la progettazione di complessi ed estesi interventi di consolidamento e restauro, affreschi compresi. Il progetto esecutivo è stato completato nel 2005, dopo un accurato studio sui problemi statici, idrogeologici, chimici, microbiologici, mineralogici e botanici, e su quelli conservativi degli affreschi che decorano cubicoli e arcosoli. 

«La presenza di differenti problematiche apparentemente contrastanti, come la tutela archeologica e gli affreschi, il rispetto delle sepolture, i problemi ambientali, strutturali e di sicurezza da risolvere senza alterare l’immagine del monumento, hanno suggerito un progetto, con interventi “minimi” e “calibrati”», racconta Magnani. Tutto è stato consegnato al Comune che, dopo un finanziamento speciale e una convenzione del 2005 con la Soprintendenza, ha assunto la gestione del procedimento: dalla predisposizione della gara d’appalto alla formalizzazione degli atti, alla direzione dei lavori; alla Soprintendenza resta soltanto l’alta vigilanza; i tempi, sono quelli del Comune. 

E, a giudicare dai più recenti eventi della cultura nella capitale, c’è, purtroppo, ben poco di che essere ottimisti. Si può solo sperare di rivedere, prima o poi, quel complesso unico al mondo: le sole catacombe ebraiche, in Italia, potenzialmente ancora agibili e di proprietà pubblica.

 Per poi poter discutere, magari, anche dell’interdizione religiosa alla rappresentazione della figura umana; proibizione che, però, non è stata sempre rispettata, «come dimostrano ad esempio le pitture della sinagoga di Europos-Dura, in Siria, della prima metà del III secolo, o i mosaici di quelle in Galilea, del V-VI secolo»(3). Insomma, quando finalmente si potranno rivedere, costituiranno un gran bel tema anche per la storia dell’arte

(1) A. Foa, Andare per ghetti e giudecche, Firenze 2014, p. 13. 
(2) Lazio, itinerari ebraici, i luoghi, la storia, l’arte, Venezia - Roma 1997, p. 155. 
(3) Ivi. Cfr. anche, in questo numero della rivista, l’articolo di Claudio Pescio su Europos-Dura, pp. 72-77.

Fabio Isman

Fonte: Fabio Isman per Art e Dossier, settembre 2014.

09/01/16

Tornano in libreria in edizione tascabile "I fantasmi di Roma".



Tornano in libreria dal 14 gennaio I fantasmi di Roma di Fabrizio Falconi

Cop. flessibile € 9,68
Cop. rigida € 4,43


La storia della città eterna attraverso i suoi misteri, le inquietanti presenze, le figure spettrali. Lo spirito di Messalina, le ombre che frequentano le catacombe cristiane, i celebri spettri di Beatrice Cenci e Lucrezia Borgia; altri meno conosciuti come la bella Costanza De Cupis, il fantasma dalle mani mozze o l’infelice Emmeline che abitò la splendida Villa Stuart, e poi i fantasmi di Shelley e Keats fino alle ossessioni di Dario Argento: questo libro ripercorre la storia millenaria della città dei papi e degli imperatori da un punto di vista insolito, attraverso i racconti dei suoi fantasmi e delle sue presenze occulte. Ne emerge una Roma dai tratti magici, legata alle religioni e ai riti misterici del passato, alla tradizione etrusca, ai culti orientali, ai primi riti cristiani. Si parte dai fantasmi che si dice infestino i teatri della città antica e imperiale, per passare a quelli creati dai roghi e dai processi della Santa Inquisizione, e arrivare infine ad alcune presenze più vicine a noi: una finestra su una Roma esoterica misteriosa, inquietante e dal fascino sorprendente. 

Tra i fantasmi di Roma: 
Storia infelice di Berenice, l’amante dell’imperatore Tito, e del suo fantasma 
Il Pantheon, monumento esoterico per eccellenza, e i suoi abitanti misteriosi 
La notte delle streghe e il fantasma di Salomè al Laterano 
Le geometrie di Athanasius Kircher e il suo spaventoso museo del Collegio Romano 
Il fantasma di Donna Olimpia Maidalchini, la Pimpaccia, la donna più temuta di Roma 
Piazza Vittorio e la porta magica degli alchimisti 
Il fantasma di Lorenza, moglie del Conte di Cagliostro 
I fantasmi del Museo delle Anime del Purgatorio 
Beatrice Cenci, il più famoso fantasma di Roma 
I Borgia a Roma, una storia di fantasmi 
Costanza de Cupis, la nobildonna dalle mani mozze 
Il fantasma della chiesa dei Cappuccini e il racconto gotico di Hawthorne 
Shelley e Keats, fantasmi a Roma 
I fantasmi di Emmeline e di Lord Allen e Villa Stuart 
Il Quartiere Coppedè, set per Dario Argento

08/01/16

Presentazione di "Roma segreta e misteriosa", Martedì 12 gennaio alle 19.





Il prossimo 12 gennaio, alle ore 19, presenteremo Roma segreta e misteriosa, da poco uscito in libreria per Newton Compton,  alla Galleria Honos Art, in Via dei Delfini, 35, dove è attualmente in corso la mostra Everywhere, Nowhere di Renzo Bellanca.

Insieme a Gaetano Savatteri e Luigi Galluzzo discuteremo di Roma e del libro. 

Vi aspettiamo. 



06/01/16

"Il ponte delle spie" di Steven Spielberg (RECENSIONE).



Non è solo una 'operazione nostalgia', questo nuovo film di Steven Spielberg.

Il ponte delle spie (Bridge of Spies), con protagonista Tom Hanks, narra la crisi degli U-2 tra Stati Uniti d'America e Unione Sovietica durante la guerra fredda, quando Francis Gary Powers, pilota di un aereo-spia Lockheed U-2, fu abbattuto, catturato e condannato dai sovietici

Un avvocato statunitense abitante a New York (nel quartiere di Brooklyn), di nome James Donovan, si ritrova al centro della guerra fredda quando la CIA gli incarica di negoziare il rilascio di Powers, scambiandolo con la spia comunista catturata a New York di nome Rudolf Abel. 

Lo scambio avviene sul Ponte di Glienicke detto il "Ponte delle Spie", tra Berlino Ovest e Berlino Est. 

Donovan riesce anche nell'impresa di far liberare dalle autorità berlinesi della Repubblica Democratica Tedesca, al Checkpoint Charlie, anche uno studente statunitense di economia Frederic Pryor, arrestato dalla Volkspolizei, la polizia della Germania Democratica.

Il film si fa apprezzare oltre che per il solito solidissimo impianto dei film di Spielberg, anche e soprattutto per lo straordinario attore inglese, Mark Rylance, che interpreta il ruolo della spia russa, Rudolf Abel. 

Del tutto sconosciuto in Italia, Rylance è un attore di teatro,  vincitore di tre Tony Awards, grande interprete shakespeariano, dalle capacità espressive semplicemente mostruose.

Rylance fornisce una grande prova proprio perché - come insegnava Stanislavskij - la recitazione "in sottrazione" è la più difficile, molto molto più difficile di una recitazione istrionica. Rylance doveva mettere in scena l'impassibilità, l'apparente imperturbabilità di un personaggio controllatissimo, spia, ma sotto certi aspetti quasi un puro di cuore. Dunque tutto quello che può fare è lavorare su minime sfumature, tic, espressioni e variazioni dello sguardo: ed è incredibile come riesca a farlo, rendendo pienamente l'anima del personaggio.

La sceneggiatura del film è firmata da Joel ed Ethan Coen. Un'altra garanzia per un film che merita di essere visto, e rinnova la grandezza puramente cinematografica di Steven Spielberg. 

05/01/16

Pubblicati i Quaderni neri di Heidegger: Donatella Di Cesare: "serve riflettere e non fuggire".



All'indomani della pubblicazione dei "Quaderni neri" qualcuno si e' accanito a difendere i testi di Martin Heidegger; qualcuno ha girato le spalle al filosofo tedesco e qualcun altro ha adottato la terza via: riflettere. 

E farlo anche sulla "coscienza infelice", quella che deriva dalla riconoscenza dell'allievo verso il maestro. 

E' questo il caso di Donatella Di Cesare, che dopo "Heidegger e gli ebrei" del 2014, lo scorso novembre ha dato alle stampe "Heidegger & sons", titolo che richiama la "ditta" costituita da soci ed eredi dell'autore di "Essere e tempo", ma anche da investitori in fuga: esemplare il caso di Gunter Figal, autore di cinque libri e numerosi articoli sul filosofo, dal 2003 al 2015 presidente della fondazione Heidegger, che ha improvvisamente dichiarato "la fine dell'heideggerismo". 

Poco amata dalla famiglia Heidegger, e soprattutto dal figlio del filosofo, Hermann (custode a quanto pare poco disinteressato della proprieta' intellettuale del padre), anche Di Cesare nel marzo 2015 si e' vista costretta a lasciare la fondazione (dal 3 marzo vive sotto scorta per le minacce subite dall'estrema destra), senza per questo "diseredarsi", neanche dopo quella che lei stessa definisce la "tempestosa resa dei conti" con il filosofo di Messkirch, che nei suoi Quaderni e' arrivato a sostenere l'aberrante tesi dell'autoannientamento degli ebrei

Di Cesare non fa l'avvocato difensore del filosofo, ma non ama i rottamatori: "Il 'caso Heidegger' e soprattutto la pubblicazione dei Quaderni neri hanno fatto emergere un fenomeno altrimenti inconsueto nella filosofia, quello dell'incursione del rottamatore che si presenta nell'agorà non per discutere, bensì per fare piazza pulita. A questo scopo ha bisogno che tutto sia bianco o nero. Il terzo e' escluso, cosi' come e' escluso quel chiaroscuro che e' il luogo in cui, sopportando l'indecisione e la domanda aperta, soggiorna e si sofferma la filosofia".

 Hans Georg Gadamer, che di Heidegger fu allievo, avrebbe detto che "il comprendere e' l'originario modo di compiersi dell'esserci". 

 Ma la tentazione di proscrivere Heidegger e' molto diffusa e Di Cesare mette in guardia da che potrebbe essere una facile scappatoia: "La filosofia tedesca, incapace di uscire dal cono d'ombra proiettato dal suo pensiero, prova a demolirne la figura. Cosi' diventa molto piu' facile cancellare con un colpo di spugna non solo Heidegger, ma anche il passato recente che pesa sempre di piu': la fine dell'ebraismo tedesco, le leggi di Norimberga, la Shoah"

 Hannah Arendt, che di Heidegger fu allieva e amante, dopo l'adesione del filosofo al partito nazista e l'elezione a rettore nell'ateneo di Friburgo (mentre lei fuggiva prima di essere rinchiusa nel campo di internamento di Gurs) dira' di lui che e' un "potenziale assassino"

Questo non le impedisce, a guerra finita, tornata in Europa da New York, di incontrarlo di nuovo e fare marcia indietro sui suoi giudizi. 

Ma dal dopoguerra fino alla morte, avvenuta nel '76, Heidegger non ha mai pronunciato una parola di condanna della Shoah e dopo la pubblicazione dei Quaderni neri e' chiaro che la sua non era la posizione di un antipolitico per scelta, di cui si servi' persino il suo allievo Herbert Marcuse, il cui "L'uomo a una dimensione" fu "la rilettura in chiave rivoluzionaria di 'Essere e tempo'", spiega Di Cesare

L'autrice definisce quello di Heidegger un "antisemitismo metafisico", accentuandone cosi' la gravita'. 

Del resto il filosofo "ha aderito al nazismo per convinzione - scrive Di Cesare - muovendo dal suo pensiero. Percio' si e' trattato, non di un 'errore', bensi' di un rapporto lungo, profondo, complesso che non si e' esaurito con la fine della guerra". 

 E qui Di Cesare avverte che i Quaderni neri sono motivo per meditare non solo sull'antisemitismo del passato, ma anche su quello a venire". E intravede tracce di razzismo laddove le parole giocano a nascondersi: "Il neoantisemita non scrive sui muri 'morte agli ebrei', ma parla del 'business della Shoah'". 

DONATELLA DI CESARE 
"HEIDEGGER & SONS" 
BOLLATI BORINGHIERI 
PP.148, 13 EURO

02/01/16

Torna "Moby Dick" in una nuova traduzione, da Einaudi.




Cosi' come il classico capitano Achab al cinema resta quello grandioso di Gregory Peck con quella sua barba quacchera nel film di John Huston di 60 anni fa, diverso dal capitano Pollard appena approdato sugli schermi in 'Heart of the sea' di Ron Howard, che di Moby Dick ricostruisce le origini storiche partendo dall'omonimo libro diNathaniel Philbrick (Elliot, pp. 314 - 17,50 euro). 

Evidentemente la metafora della nave Pequod, col suo destino segnato e a bordo uomini di fedi e culture profondamente diverse, protagonisti nel bene e nel male, trascinati dalla pazzia lucida del captano Achab, in cerca di vendetta contro la balena bianca che gli porto' via una gamba, in un'epopea tragica e' anche una fra le opere piu' forti, intense, incisive e poetiche della letteratura moderna. 

Questo di Herman Melville e' del resto un romanzo in cui, sullo sfondo, e' sempre la Bibbia, con il senso calvinista di un Dio tremendo, e il narratore di tutta la storia si chiama Ismael ("l'uomo che si sa dotato di una superiorita' non riconosciuta dal mondo: il primogenito di Abramo, un bastardo cacciato nel deserto, fra altri reietti, dove impara a sopravvivere esule per antonomasia", Elemire Zolla), anzi il libro inizia proprio con questi che dice: "Chiamatemi Ismael". 

Moby Dick e' una grandiosa narrazione mitologica e metafisica che racconta, attraverso epiche avventure di mare, la vita come caccia e combattimento, l'eterna lotta dell'uomo contro il male, il suo bisogno e dovere di non tirarsi indietro, pur sapendo che la sconfitta sara' inevitabile.

Moby Dick e' una gigantesca balena dalla "testa bianca, dalla fronte rugosa e dalla mandibola storta", che vive nei Mari del Sud coperta dagli arpioni dei cacciatori e di cui tutti i balenieri temono la malvagita' eccezionale e la malizia. 

In quel "muro bianco" Achab vede il simbolo del male e delle cieche e brutali forze della natura. Per cercare di cacciarla e ucciderla ingaggia un gruppo di uomini, tra cui vi sono gli ufficiali Starbuck, Stubb e Flask, i ramponieri Tashtego e Deggu, e salpa dall'isola di Nantucket, nel Massachussets, a bordo della baleniera Pequod, oltre al marinaio Ismael, divenuto amico inseparabile del ramponiere polinesiano, ricoperto di tatuaggi, Queequeg. 

La forza di queste pagine sta anche nell'essere quasi un trattato sulla caccia alle balene, con un Prologo composto di tante citazioni da ogni tipo di letteratura sul tema, dalla Bibbia a Milton, da Darwin a Rabelais, dai viaggi di Cook a canzoni popolari. Pagine di descrizioni, digressioni e riflessioni, che non distraggono ma anzi aiutano a dar spessore ai personaggi, alla vicenda principale avventurosa e, assieme, rappresentano quella maniacalita' del dettaglio che risulta alla fine coinvolgente e rinforza la metafora generale, quella che ha fatto di questo libro un classico. 

Lo stile di Melville e' potente, ha un suo senso di implacabilita' anche quando trova momenti di tenerezza e comprensione per le debolezze umane, acquista ritmo nei momenti cruciali, prende un andamento quasi da monologo teatrale in tante riflessioni, del capitano come dei suoi ufficiali. 

Il romanzo lo pubblico' nel 1851, dieci anni dopo il suo imbarco proprio su una baleniera, la Acushnet, e aver scritto altri libri di argomento marino, acquisendo esperienza e documentazione, leggendo di tutto, da Shakespeare (innanzi tutto 'Re Lear') al Coleridge della 'Ballata del vecchio marinaio' sino a Nathaniel Hawthorne, cui Moby Dick e' dedicato con "la mia ammirazione per il suo genio". 


Fonte Paolo Petroni per ANSA

01/01/16

"Futuro e presente" - Una meravigliosa pagina di Benedetto Croce.



Lavorare per il futuro ? Lavorare per le generazioni avvenire ? Sia pure; ma è un modo di dire, un'immagine.

Preso quel detto come affermazione di un fatto reale, risorgerebbe il sentimento del gaudente deluso, che fu l'autore dell'Ecclesiaste: Rursus detestatus sum omnem industriam meam quam sub sole studiosissime laboravi, habiturus heredem post me, quem ignoro utrum sapiens an stultus futurus sit et dominabitur in laboribus meis, quibus davi et sollicitus fui; et est quidnam tam vanum ?

Ma come definizione di concetti, è facile confutarlo, ed è stato confutato, giacché o le generazioni avvenire sarebbero per effetto del nostro lavoro messe in condizione di non dover più lavorare e non sarebbero più generazioni umane, ma putredine; o a loro volta lavorerebbero ciascuna di esse per le generazioni avvenire, e del lavoro non si ritroverebbe mai il puro e semplice beneficiario, colui che non dovrà più "desudare". 

Il pensiero vero, adombrato nell'immagine, è che buon lavoro è quello che oltrepassa le nostre persone e s'indirizza all'universale. 

Si lavora sempre per sé e per il presente, e non per altri e l'avvenire; ma per quel "sé" che è lo spirito, e per quel sempre che è l'eterno. 

Tale ermeneutica, che dall'immagine fa da passaggio al concetto, non è fuor di luogo per sgombrare la tristezza che occupa talvolta anche gli uomini giusti e tenaci nei loro propositi, alacri nell'opera di verità, i quali si domandano nei momenti di smarrimento: "A che servirà tutto ciò ? le generazioni avvenire saranno degne del nostro sforzo e del nostro sacrificio?" 

Saranno forse, salvo in pochi eletti, immemori e ingrate verso i loro padri, come di solito accade: ma che perciò?

Questo riguarderà loro, l'anima loro; e dovranno soffrire poi il travaglio dei loro errori e correggersi. 

Per intanto, noi nel nostro lavoro stesso abbiamo la ragione del lavoro e la soddisfazione nostra, vivendo e sentendo di vivere nel presente da uomini, che è quanto di meglio si possa fare al mondo. 

Qualsiasi più bramata attuazione di sogno non renderebbe più alta e più pura questa coscienza, se anche recherebbe gioia a quanto è in noi di terreno: una gioia, per altro, non scevra mai di sospettoso timore e di delusione.






31/12/15

Robert Nathan, Ritratto di Jennie (RECENSIONE).




Merito della neonata casa editrice Atlantide, l'aver riportato in luce, questo piccolo gioiello della letteratura americana, pubblicato originariamente nel 1940 e portato sullo schermo qualche anno più tardi in un fortunato film di William Deterle, con l'interpretazione di Joseph Cotten e Jennifer Jones. 

Newyorchese, nato nel 1894 (e morto a Los Angeles dopo una lunghissima vita, nel 1985), Nathan conobbe una grande popolarità negli anni '30 e '40, ammirato da scittori come Francis Scott Fitzgerald e Ray Bradbury, anche se ha finito per essere dimenticato, negli ultimi decenni. 

Ritratto di Jennie, considerato il suo capolavoro, fu pubblicato in Italia da Bompiani nel 1948 e successivamente da Mondadori nel 1958. 

Da allora non era stato più stampato, ed eccolo oggi tornare in libreria con la traduzione e la cura di Simone Caltabellota. 

E' una sorta di romanzo magico. Per la storia che vi è raccontata, e per lo stile di Nathan, puro ed essenziale, giocato su ogni sfumatura di toni e di colore, in un raro prezioso equilibrio, che regge miracolosamente fino all'ultima pagina. 

Jennie è all'inizio del romanzo una bambina che - nei suoi vestiti un po' antiquati - viene notata dal giovane artista Eben Adams, mentre passeggia per il Central Park. 

Eben scambia con lei solo qualche parola, meravigliandosi del fatto che sia sola lì, che sembra lo stia aspettando.  La bambina gli lancia un enigmatico messaggio: Vorrei che tu aspettassi che io diventi grande. 
E quell'incontro, cambia improvvisamente la vita del pittore. Sfiduciato e perdente, fino a quel momento,  Eben comincia ad essere notato da una coppia di facoltosi galleristi, e proprio a causa del ritratto che l'artista ha ricomposto nella sua mente, della bambina incontrata a Central Park. 

Ben presto, Jennie torna a fargli visita. Ed Eben in un misto di incredulità e attrazione, si accorge che quella bambina sta crescendo sotto i suoi occhi: ogni volta che torna da lui è un po' più grande, un po' più donna. 

L'amore tra Eben e Jennie dunque, sfida il tempo, le generazioni, il passato e il presente.  Coinvolge a tal punto l'artista, da rivelargli un nuovo modo di intendere la vita, la capacità di amare che è fatto di cura e di attesa. 

Negli ultimi due capitoli il nuovo incontro tra Eben e Jeannie ha per teatro la forza di un terribile uragano, che sembra trascinare con sé la perfezione di questa unione karmica e poter valicare la stessa distinzione tra vita e morte, come quella tra verità e apparenza.

Ma è la qualità della scrittura di Nathan che rende memorabile il racconto fantastico, nella descrizione dei sentimenti indefiniti, della sostanza misteriosa della sorte, del fascino superbo della natura. 
Ne è un esempio questo brano, a pag.62 del libro.

A volta nella tarda estate o nel primo autunno c'è un giorno più bello di tutti gli altri, un giorno perfetto, così puro che il cuore ne rimane estasiato, sospeso in una specie di sogno, preso in un incantamento oltre il tempo e lo scorrere delle cose. La terra, il cielo e il mare rifulgono del loro colore più vero, e brillano, non toccati da nulla nella loro fissità; lo sguardo vola come un uccello attraverso le distanze, nell'aria immobile.
Tutto è fermo e chiaro, non c'è nulla che finisce, nulla che cambia. Ma con la sera si alza la nebbia; e dal mare arriva un presagio di grigio. 

In fondo, di questo è fatto questo romanzo, come la vita di tutti, di natura e psiche. 

Fabrizio Falconi



29/12/15

Un convegno su Sciascia e la cultura francese, a Firenze.



La Francia fu per Leonardo Sciascia "patria dell'anima", fonte di ispirazione e riferimento intellettuale

Al rapporto tra lo scrittore siciliano e la cultura francese e' dedicata una giornata di studi che si terra' a Firenze il 25 gennaio 2016. 

L'iniziativa e' dell'associazione Amici di Leonardo Sciascia che organizza convegni itineranti sullo scrittore. 

L'ultimo si e' svolto poche settimane fa a Palermo nel quarantennale della prima edizione de "La scomparsa di Majorana". 

Studiosi, ricercatori, docenti universitari approfondiranno il rapporto di Sciascia con la Francia (tema al quale e' dedicato l'ultimo fascicolo di "Todomodo", rivista edita da Olschki). 

Fu una relazione che ebbe un peso determinante sul percorso culturale e letterario di Sciascia che ispirandosi alla cultura d'Oltralpe interpreto' la parte del "moralista" illuminista e di un "philosophe" del Novecento. 

Lo testimoniano i suoi richiami a Gustave Flaubert, l'influenza di Michel Foucault, le riflessioni sulla centralita' del pensiero di Michel de Montaigne e dei filosofi del "secolo educatore" come Voltaire e Diderot. 

28/12/15

Rovine - La forza delle rovine. Una mostra da non perdere a Palazzo Altemps.





Le allegorie sono, nel campo del pensiero, ciò che le rovine sono in quello delle cose. 
Walter Benjamin 

Provenienti da collezioni pubbliche e private, italiane e straniere, 120 opere ricostruiscono un ampio discorso sulle rovine: sentinelle del passato, luoghi di memoria, traccia di eventi bellici, ricordo di cataclismi naturali, segno di danni provocati all’ambiente. 

Tutto questo diviene monito, ma anche fonte di energia creativa per il futuro. 

La mostra La forza delle rovine, dall’ 8 ottobre 2015 al 31 gennaio 2016, si snoda attraverso tutte le sale del Museo Nazionale Romano a Palazzo Altemps, integrando le opere della collezione permanente, che contribuiscono alla ricchezza della narrazione. 

La mostra inaugura anche nuovi spazi, che resteranno a disposizione del Museo per ampliare il suo percorso espositivo. 

Promossa dalla Soprintendenza Speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l’Area archeologica di Roma, con Electa, la mostra nasce da un’idea di Marcello Barbanera, che insegna archeologia classica a La Sapienza. 

Lo stesso Barbanera la cura assieme al direttore del museo di Palazzo Altemps Alessandra Capodiferro, abbinando nelle nove sezioni materiali classici, come sculture, pitture, incisioni, acquerelli, antichi volumi, e testimonianze moderne come fotografie, brani musicali e cinematografici. 

Catastrofi: rovine moderne e contemporanee. Sono le catastrofi, naturali e artificiali: guerre, disastri nucleari e ambientali, terremoti. 
Torso: dal desiderio di integrità al culto del frammento. Ruota intorno al frammento di statua colossale, il cosiddetto Polifemo della collezione Altemps, e alle sculture di divinità restaurate e integrate nel Sei- e Settecento da grandi artisti come Bernini e Algardi, conservate nel museo. Paesaggi di rovine. Dove Roma è protagonista nel percorso di formazione di quegli artisti che dal XVI secolo in poi dipingono paesaggi con quanto resta dei monumenti del passato.
Paesaggi rovinati. L’occhio dei fotografi mette a nudo paesaggi violentati, sfruttati, dove in breve tempo gli uomini hanno accumulato relitti industriali e umani. 
Anatomia delle rovine. Interamente dedicato a Giambattista Piranesi. Frammento, memoria, creazione: il cammino della musica. Dove si propongono brani musicali costruiti intorno al concetto di frammento come elemento generatore.
Il canto delle rovine. Componimenti poetici che narrano storie di distruzione dal realismo all’età contemporanea. 
L’errore di Diderot: le rovine nell’antichità classica e orientale. Si propone il confronto con la percezione delle rovine nel mondo antico, nell’assenza della distanza temporale che oggi separa noi dall’antichità. (Ri)costruire le rovine. 
Un dibattito di grande attualità chiude il percorso espositivo: quello della relazione tra archeologia e modernità
Alla mostra si affianca un volume edito da Electa, ricco di contributi su storia, filosofia, letteratura, archeologia, cinema e musica per amplificare il racconto delle opere esposte.  

La forza delle rovine sede Roma,
 Museo Nazionale Romano in Palazzo Altemps 
 Piazza di Sant’Apollinare 46 

date al pubblico 8 ottobre 2015 – 31 gennaio 2016

progetto della mostra Marcello Barbanera mostra a cura di Marcello Barbanera e Alessandra Capodiferro promossa da Soprintendenza Speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l’Area archeologica di Roma produzione, organizzazione Electa catalogo Electa 

orari dalle 9.00 alle 19.30 - chiuso il lunedì la biglietteria chiude alle 18.30 biglietti intero 13 €, ridotto 9,50 €. Valido 8 giorni, consente l’accesso alle altre sedi e mostre del Museo Nazionale Romano (Palazzo Massimo, Terme di Diocleziano, Crypta Balbi) informazioni e visite guidate tel. +39 06 39967700 

27/12/15

Un video davvero geniale: La mattina di Natale immaginata se fosse girata dai grandi registi.




Buone Feste da questo Blog. 
Gustatevi questo video di tre minuti, realizzato da un amatore americano che ha provato ad immaginare come avrebbero ripreso la mattina di Natale i più grandi registi. 
Capolavoro. 



26/12/15

Le meravigliose Case Cantoniere italiane, abbandonate: parte un piano per il recupero.



Sono per me luoghi quasi mitici: appartengono a un'Italia che non c'è più, ma hanno contrassegnato l'infanzia di molti di noi, e sono inconfondibili ancora oggi, con il loro fascino in rovina. Sono perciç particolarmente felice di questa notizia: 


E' stato sottoscritto, alla presenza del ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Graziano Delrio, del ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Dario Franceschini, del Presidente di Anas, Gianni Vittorio Armani e del Direttore dell’Agenzia del Demanio, Roberto Reggi, un accordo per la riqualificazione e il riuso di beni pubblici, a partire dalle Case Cantoniere dell’Anas, a supporto di nuovi piani di valorizzazione turistico-culturali del territorio italiano, al servizio della clientela stradale

 L’accordo sottoscritto da Anas, Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Ministero delle Infrastrutture e Trasporti ed Agenzia del Demanio, definirà le linee guida per l’attuazione di un progetto pilota che partirà dall’analisi delle potenzialità di un primo portafoglio di 30 case cantoniere individuate su tutto il territorio nazionale, che sarà progressivamente integrato con ulteriori beni pubblici dismessi, appartenenti allo Stato, agli Enti territoriali e ad altri Enti pubblici. 

Si tratta di immobili di particolare interesse presenti in prossimità di specifiche reti e circuiti culturali, turistici e di mobilità: la via Francigena ed il tracciato dell’Appia antica. Successivamente saranno poi compresi il Cammino di Francesco (La Verna-Assisi), il Cammino di San Domenico, il Circuito del barocco in Sicilia, la Ciclovia del Sole (Verona-Firenze), la Ciclovia Ven.To (Venezia Torino). 

Il progetto pilota sarà pronto entro il 30 giugno 2016 e subito dopo partiranno i relativi bandi.

“L’operazione rientra in una politica di cura dei beni pubblici e di attenzione al territorio – ha dichiarato il ministro Graziano Delrio – che si esprime in altre azioni del Governo, volta alla valorizzazione di edifici e infrastrutture esistenti, per favorirne la fruizione da parte dei cittadini in tutto il Paese. Oltre a garantire servizi e infrastrutture di trasporto efficaci, veloci e intelligenti, vogliamo in questo modo evidenziare anche un altro modo di viaggiare, più lento e sostenibile, più attento al paesaggio, alla sosta, alle emergenze storiche e culturali. Con la firma di questo protocollo, le Case Cantoniere di Anas ritorneranno ad essere simbolo positivo di un’identità italiana diffusa di accoglienza e di relazione tra le persone”. 

“Le Case Cantoniere distribuite lungo tutto il territorio nazionale e contraddistinte dall’inconfondibile colore rosso pompeiano – ha dichiarato il ministro Dario Franceschini - costituiscono un brand formidabile per promuovere quel turismo sostenibile necessario allo sviluppo sociale, economico e culturale dei tanti territori ricchi di arte, tradizioni enogastronomiche e bellezze paesaggistiche che rendono l’Italia un Paese unico al mondo. Grazie alla voglia di fare di chi saprà cogliere questa opportunità, luoghi oggi abbandonati diverranno ostelli, ciclofficine, punti di ristoro per tutti quei viaggiatori che vogliono scoprire l’Italia al giusto ritmo”. 

 “La valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico - ha dichiarato Roberto Reggi - è oggi una grande opportunità per realizzare progetti concreti di slow travel, rimettendo in funzione beni abbandonati lungo itinerari turistici e culturali di grande valore. L’Agenzia del Demanio è impegnata a fianco degli altri Enti pubblici per promuovere iniziative che restituiscano nuova vita agli immobili in disuso, anche minori, lungo i più suggestivi percorsi religiosi, culturali e naturalistici italiani, rispondendo così a un’esigenza collettiva sempre più forte di recupero di luoghi pubblici, con il rilancio dell’imprenditoria e dell’occupazione.” 

 “Il nostro patrimonio immobiliare – ha sottolineato il presidente di Anas, Gianni Vittorio Armani - rappresenta un valore sociale ed economico di fondamentale importanza per il Paese che, attraverso l’avvio di concrete iniziative di riqualificazione, può costituire un fattore di crescita per l’economia e per l’occupazione”. 

Nei prossimi mesi saranno quindi definiti i piani di utilizzo (Turismo, Cultura, Accoglienza, Ristorazione, Ospitalità, etc.) delle Case Cantoniere inserite nel progetto, la tipologia dei servizi che offriranno e che andranno ad ampliare quelli a supporto delle attività di esercizio e manutenzione della rete stradale mantenendone la disponibilità

 Su tutto il territorio nazionale l’Anas possiede 1.244 Case Cantoniere (di cui 607 sono utilizzate a vario titolo – uso istituzionale o di supporto alle attività di esercizio) di cui il 35% indisponibile per valorizzazione perché sedi istituzionali, il 55% parzialmente disponibili sulla base delle analisi dei flussi di clienti, il 10% ad alto potenziale turistico. 

 L’iniziativa è orientata su target specifici e qualificati, in particolare quella dei giovani italiani ed europei classificati come “Energy”, stranieri senior e italiani locali “Relax”, italiani e stanieri all ages “Foodies” e stranieri e italiani che cercano percorsi alternativi ed originali stile “Routard”. 

 “L’idea è di aumentare i servizi al cliente stradale – ha aggiunto il Presidente di Anas Gianni Vittorio Armani – sviluppare un brand associabile a concetti di autenticità, genuinità, legame con il territorio. Inoltre questo progetto vuole essere un impulso all'imprenditoria, soprattutto giovanile, e all'occupazione sociale, nel rispetto dei profili di sostenibilità ambientale, efficienza energetica, di sicurezza e di innovazione delle infrastrutture e rientra nell’importante riassetto e nella ridefinizione delle competenze e delle responsabilità sociali di Anas”. 

 “Il progetto nasce dalla considerazione che le Case Cantoniere rappresentano delle vere e proprie ‘icone’ - ha concluso Armani – sono il simbolo tangibile dell’impegno e della presenza costante di Anas sul territorio. Una presenza che la nuova Anas vuole rilanciare ampliando i servizi dedicati all’utenza stradale, che sono e restano la loro finalità, con l’offerta di nuovi funzionalità in grado anche di sviluppare delle sinergie con il territorio in cui si trovano”.

L’istituzione della casa cantoniera risale al 13 aprile 1830, giorno in cui, con Regio Decreto del re di Sardegna Carlo Felice, viene ufficialmente creata la figura del Cantoniere al quale viene demandata la manutenzione e il controllo di un ‘cantone’ della strada (un tratto di circa 3-4 chilometri). 

 Per svolgere questo compito i cantonieri dovevano abitare in case site ai margini di ciascun cantone - di quel colore rosso pompeiano che le ha rese ormai celebri - che ricevevano in uso gratuito affinché restassero vicini al luogo ove svolgevano il loro lavoro.

Il cantoniere doveva mettere a disposizione la casa cantoniera per soccorrere feriti o per ricoverare agenti della forza pubblica e militari in servizio, un luogo simbolo della presenza sul territorio del Regno prima e dello Stato repubblicano poi. 

La pagina del sito web Anas dedicata al progetto “Case Cantoniere” è a questo indirizzo: http://www.stradeanas.it/index.php?/content/index/arg/case_cantoniere

25/12/15

Le strenne di Natale ? Le hanno inventate i romani.





In tutto il mondo c'è l'abitudine, a Natale, di ricevere e fare doni, le cosiddette strenne. Chi però riallaccerebbe l'origine di esse ai Romani ? Eppure è così: in dicembre si celebravano nell'Urbe i famosi Saturnali che, per alcuni giorni, vedevano servi e liberi uniti nel divertimento, padroni e schiavi trattarsi giocondamente da pari a pari; tutti poi si scambiavano donativi, le strenne in segno di affetto e protezione. 

Secondo Simmaco, l'usanza di queste risaliva addirittura al re Tito Tazio che soleva cogliere nella selva, dedicata appunto alla dea Strena, rami degli alberi a lei sacri, onde trarne felici presagi e fausti auspici per l'anno nuovo. 

Di qui il termine dato ai regali, che se si volesse stare all'etimo del nome di Strena, dea della forza e del valore (donde deriva l'aggettivo strenuus gagliardo, senza paura), andrebbero dati ai più forti. Si danno inconsapevolmente forse, ai più piccini, per spronarli a divenire appunto strenui


24/12/15

Natale: Tutte le mostre aperte il 25 e 26 !


fonte: Nicoletta Castagni per ANSA

Da Giotto a Matisse a Balthus, quasi tutte le grandi mostre attualmente in svolgimento in Italia rimarranno aperte per le feste di Natale

Senza contare che proprio a ridosso del 25 dicembre si sono inaugurate due importanti esposizioni, a Cagliari 'Eurasia' e a Firenze 'Carlo Portelli. Pittore eccentrico tra Rosso fiorentino e Vasari'. 

MILANO - Prosegue l'onda lunga di Expo 2015 con numerose rassegne di indiscusso richiamo, ancora allestite nelle sedi espositive milanesi, e che resteranno aperte in questo week end natalizio. A Palazzo Reale si potranno infatti visitare la bellissima 'Giotto e l'Italia', in cui sono riuniti per la prima volta rarissimi capolavori provenienti da tutto il mondo, 'Da Raffaello a Schiele', con opere straordinarie del genio urbinate, Tintoretto, Durer, Velasquez, Rubens, Goya, Canaletto, Manet, Cezanne, Gauguin custodite al Museo di Belle Arti di Budapest, nonche' 'Mito e Natura' dall'antica Grecia a Pompei. Gli orari di ingresso alla famosa sede espositiva saranno i seguenti: oggi dalle 9.30 alle 14.30, il 25 dalle 14.30 alle 18.30, il 26 dalle 9.30 alle 22.30. 

Porte aperte anche a Palazzo Marino, dove si potranno ammirare la collezione di opere del Municipio del Comune di Milano nella Sala Alessi, e L'Adorazione dei pastori di Rubens, proveniente dalla Pinacoteca Civica di Fermo, che anticipa l'attesa mostra dedicata al pittore fiammingo prevista nel 2016 a Palazzo Reale. Ecco gli orari: domani 9.30-18, per Natale e Santo Stefano dalle 9.30 alle ore 20.00. 

ROMA - Ormai tradizione consolidata, anche nella capitale resteranno aperte le mostre di maggior richiamo, quelle di livello internazionale allestite nelle sedi espositive piu' prestigiose. Per ammirare i capolavori di Balthus, il grande artista francese che fu direttore dell'Accademia di Francia a Villa Medici, riuniti alle Scuderie del Quirinale nella vigilia di Natale oggi si dovra' rispettare l'orario d'ingresso ridotto, dalle 10 alle 15, mentre il 25 l'apertura sara' dalle 16 alle 22.30. Dalle 10 alle 22, invece, per Santo Stefano.

Stessi orari per Palazzo delle Esposizioni, dove sono allestite due bellissime rassegne, 'Impressionisti e Moderni', con opere strepitose della Phillips Collection di Washington e 'Una dolce vita? Dal Liberty al design italiano. 1900-1940', curata dal Museo d'Orsay. Sempre dal museo parigino provengono i capolavori della mostra 'Impressionisti tete a tete', che si potra' visitare al Complesso del Vittoriano domani dalle 9.30 alle 15.30, il giorno di Natale dalle 15.30 alle 20.30 e il 26 dalle 9.30 alle 22. 

Il Chiostro del Bramante, infine, che con un'importante esposizione fa scoprire le suggestioni di James Tissot, sara' aperto per la vigilia dalle 10 alle 17, per Natale dalle 16 alle 21 e il 26 dalle 10 alle 21

FIRENZE - Se a Palazzo Strozzi, la grande rassegna 'Bellezza divina tra Van Gogh, Chagall e Fontana', dedicata alla riflessione sul rapporto tra arte e sacro da meta' '800 a meta' '900 rispettera' l'orario normale dalle 10 alle 20 in tutti e tre i giorni del week end natalizio, alla Galleria dell'Accademia c'e' una vera primizia, appena inaugurata: 'Carlo Portelli. Pittore eccentrico tra Rosso fiorentino e Vasari' con 50 opere del pittore cinquecentesco, che rimarra' chiusa per Natale. Ma oggi e il 26 si potra' entrare dalle 8.15 alle 18.50. 

TORINO - A Palazzo Chiablese, la bella mostra 'Matisse e il suo tempo', grande affresco delle Avanguardie parigine in oltre 100 opere provenienti dal Centre Pompidou, potra' essere visitata anche nelle festivita' con il seguente orario: oggi dalle 9.30 alle 17.30, per Natale dalle 14.30 alle 19.30 e il 26 dalle 9.30 alle 19.30. La rassegna di maggior richiamo del momento, che attraverso le collezioni del Museo d'Orsay racconta il genio impressionista di Monet, allestita alla Gam, pur restando chiusa il giorno di Natale, sara' visitabile oggi  dalle 10 alle 14 e il 26 dalle 10 alle 19.30. 

CAGLIARI - Conclude l'anno di Cagliari Capitale italiana della Cultura 2015 la grande mostra 'Eurasia', inaugurata ieri, che presenta per la prima volta oltre 350 opere provenienti dal Museo Ermitage di San Pietroburgo. Reperti eccezionali, che in questo progetto espositivo sono stati affiancati a 130 manufatti conservati nei musei sardi per raccontare il progresso della civilta' nell'Eurasia dal Neolitico fino al I millennio a.C. . La mostra durante il week end natalizio sara' visitabile dalle 10 alle 18.

19/12/15

David Garnett, "Aspetti dell'amore" (RECENSIONE).


David Garnett ha scritto questo romanzo nel 1955, e per me è abbastanza misterioso comprendere come mai, in Italia sia passato così inosservato. 

Narratore, critico e protagonista del circolo di Bloomsbury, Garnett ha immaginato questo romanzo ambientandolo, all'inizio, in Provenza, quando un giovane inglese, Alexis, coglie al volo l'occasione di una prima avventura amorosa: una giovane attrice di teatro, Rose, capricciosa e sensuale che conosce tramite lo zio poeta di Alexis, George. 

Con Rose Alexis vive una breve e intensa storia d'amore, interrotta da un escamotage con il quale la ragazza decide di tornare da Marcel, il capo compagnia, per un nuovo spettacolo da mettere in scena. 

Quando torna da due anni all'estero, come militare, Alexis scopre che Rose vive ora insieme a George e ha intenzione di sposarlo.  Ne nasce una scenata, e un ferimento della ragazza, che però non solo non cambia idea, ma decide anche di avere un figlio dal nobile George, molto più grande di lei. 

Da quel momento, tutte le possibili implicazioni amorose tra questi esseri vengono scandagliate in una storia che pur apparendo lieve e aerea, nasconde un fondo assai bruciante. 

E' proprio questo il maggior pregio di questo romanzo di Garnett: parlare con levità e assenza totale di moralismo, delle questioni d'amore, dei capricci, dei fraintendimenti, dei bisogni, della superiorità della fortezza d'animo, della liberalità, della felicità intravista e ricercata, di tutto ciò insomma di cui è fatta l'esperienza amorosa, culmine di ogni possibilità vitale. 

La prosa di Garnett è precisa, elegantissima e controllata.  I sentimenti e le passioni sono asservite a questo controllo magistrale della lingua. 

E' insomma un libro da non perdere, per chi ha voglia di scoprire la maestria di David Garnett.

18/12/15

Da oggi il Parco nazionale delle Cinque Terre diventa Parco Letterario Eugenio Montale.




Da oggi il Parco Nazionale delle Cinque Terre è anche Parco Letterario® Eugenio Montale e delle Cinque Terre. 

Con questo progetto dell'Ente Parco e del Comune di Monterosso il territorio delle Cinque Terre entra a far parte della rete dei Parchi Letterari® che fanno capo alla Società Dante Alighieri con l'intento di legare la valorizzazione dell'ambiente e del paesaggio alle ispirazioni letterarie che quella natura e quel paesaggio hanno raccontato, favorendo una offerta turistica mirata alla conoscenza dei luoghi e delle tradizioni italiane

I versi di Eugenio Montale e i suoi scritti sui luoghi che egli ha a lungo frequentato rimangono fanno parte di questo territorio che ha ospitato e ispirato molti artisti. 



Dopo la menzione speciale del Premio Europeo del Paesaggio conseguita nel 2015 elargita dal Ministero dei Beni Culturali al Parco Nazionale delle Cinque Terre e la Carta Europea del Turismo Sostenibile ricevuta nei giorni scorsi presso il Parlamento Europeo, arriviamo a un progetto di protezione attiva rivolta all'ambiente e al paesaggio non come risorse di un museo severo, ma di una fonte viva e cangiante di cultura, di ispirazione e di sempre nuove espressioni artistiche. 

Un processo che grazie alla sensibilità dei Comitati della Società Dante Alighieri nel mondo abbraccia oggi anche quelle seconde e terze generazioni di italiani che vivono lontano dalle nostre coste ma che sono consapevolezza e conoscenza delle memorie dei luoghi di origine delle loro famiglie.

Istituire un Parco letterario dedicato a Montale in un luogo, le sue Cinque Terre, tra gli esempi più evidenti di quanto l'iterazione tra uomo e ambiente possa generare una bellezza perfetta ma fragile e bisognosa di cure continue, non significa quindi aprire o riscoprire solo dei percorsi letterari o contemplativi, ma contribuire a introdurre il lettore/viaggiatore al rispetto di un ambiente unico. 

Da qui i Parchi Letterari che Stanislao Nievo chiamava spazi fisici e mentali, angoli magici, luoghi di autori e poeti ancora presenti nel paesaggio. L'autore diventa testimonianza dell'evoluzione dell'interazione tra uomo e ambiente e identificazione delle sensibilità locali, delle credenze, delle memorie e delle economie artigianali e agroalimentari. Un panorama che ad un visitatore può sembrare incontaminato, agli occhi di un abitante può rappresentare un libro aperto sul proprio passato, la propria storia, i propri miti. Il lettore dispone così di una chiave di lettura che stimola la visita di luoghi altrimenti considerati solo per il loro panorama, un viaggio reso reale dall'incontro con personaggi viventi che introducono a un racconto inseparabile dalla località che li ospita.


I Parchi Letterari ® Eugenio Montale e delle Cinque Terre 0187 762632 – comunicazione@parconazionale5terre.it

17/12/15

Bob Dylan fonte di ispirazione per scienziati...





Bob Dylan, fonte d'ispirazione per scienziati. 

Le sue canzoni sono citate in ben 213 studi scientifici e il numero e' aumentato esponenzialmente dal 1990. 

A rivelare la curiosità e' un'indagine apparsa su the BMJ. Tutto inizia un po' per gioco. Nel 2014 viene infatti rivelato che un gruppo di scienziati del Karolinska Institutet in Svezia aveva nascosto parti dei testi di Bob Dylan nei loro studi, per una scommessa iniziata ben 17 anni prima

Cosi', un altro gruppo di ricercatori del Karolinska ha deciso di indagare come le canzoni del 'menestrello' americano venissero citati in letteratura biomedica: il risultato e' stato 213 referenze. 

Secondo la ricerca, il primo articolo che lo citava era apparso nel 1970 su Practical Nursing

Dopo una manciata di citazioni durante periodo di massimo splendore di Dylan nella prima meta' degli anni 1970, pochissime ne sono risultate fino al 1990, ma da allora il numero e' aumentato esponenzialmente

Risale, infatti, al 1997 la pubblicazione su Nature Medicine dell'articolo di Jon Lundberg e Eddie Weitzberg, entrambi professori presso l'istituto svedese. Il titolo era 'Ossido nitrico e infiammazione: la risposta sta soffiando nel vento', ovvero 'The Answer is blowing in the wind'. 

Da li', per scommessa, decisero di proseguire con le citazioni 'nascoste', ma non furono i soli. 

Le due canzoni piu' quotate sono The Times They Are A-Changin'(135 articoli) e Blowin' in the Wind (36 articoli), seguite da All along the Watchtower, Knockin'on heaven's door e Like a Rolling Stone

La nota rivista Nature ne cita almeno in sei articoli.

15/12/15

Società schiumosa, "siamo sfere che esplodono e implodono". Intervista a Peter Sloterdijk di Donatella di Cesare.






Vorrei iniziare il nostro dialogo dal tema del terrore. Ho letto in questo periodo commenti che mi sono parsi dettati da una forte reazione emotiva. Come se il clima bellico influisse anche sui media. In diverse circostanze lei ha detto che il terrore moderno ha una lunga storia e risale almeno alla rivoluzione francese e all’uso della ghigliottina. Il terrore è inscritto nella democrazia? 

PETER SLOTERDIJK — Certamente. Democrazia vuol dire non avere più bisogno del terrore. Qui parla l’hegeliano che è in me: il terrore è uno stadio inaggirabile nel cammino verso lo Stato moderno. Bisogna avere attraversato il terrore per aprirsi alla democrazia. Ma proprio per questo il terrore resta un aspetto della politica nella modernità. 

DONATELLA DI CESARE — Ritengo però che il terrorismo attuale sia un fenomeno postmoderno. Sbaglia chi usa con una certa facilità l’etichetta «barbarie», perché questo impedisce di considerarne la complessità. E credo che sia anche una grossolana semplificazione interpretare quel che avviene come il conflitto tra la religione (o le religioni) da un canto e la democrazia illuminata dall’altro. 

PETER SLOTERDIJK — Non vorrei fare dell’islamismo una ideologia. Pur essendo un critico della religione, vedo qui un abuso della religione che, ridotta a un legame costrittivo, viene piegata a fini politici, primo fra tutti quello di costituire una comunità. 

DONATELLA DI CESARE — A questo proposito credo che il presunto «Stato islamico» sia anche una disposizione d’animo molto diffusa non solo in Medio Oriente, ma nelle periferie delle metropoli occidentali. 

PETER SLOTERDIJK — I terroristi sono per me attivisti del «terzo sogno», del sogno islamico che si oppone a quello americano. Ecco perché sono postmoderni: da un canto abitano nella realtà virtuale del XXI secolo, dall’altro fuggono nel passato del VII secolo. Mentre usano internet, attraversano il deserto — la testa piena di miti e sogni. E a questa paranoia favolistica ed eroica convertono molti giovani

DONATELLA DI CESARE — Che cosa li spinge a farsi esplodere? Non mi convince l’idea che — come alcuni hanno insinuato — abbiano un concetto di vita diverso dal «nostro». Ho l’impressione che ci sia un tratto apocalittico nella loro decisione di dare e darsi la morte.

PETER SLOTERDIJK — Direi che sono acceleratori dell’incendio. Per capire l’esito nichilistico delle enormi frustrazioni accumulate da questi giovani, occorre rileggere le analisi di Nietzsche e di Schiller sul risentimento. Parlerei di una fenomenologia della umiliazione. È grazie a un contatto più o meno superficiale con l’ideologia jihadista che una enorme riserva di sentimenti negativi assume una direzione politica. La criminalità spicciola assurge ad azione bellica. Il piccolo delinquente — e nessuno di questi giovani vuole esserlo, sebbene molti di loro purtroppo lo siano — si muta allora in combattente. 

DONATELLA DI CESARE — Ecco allora il loro riscatto, la loro redenzione. 

PETER SLOTERDIJK — Sì, vengono riscattati dalla guerra. Qualcosa di analogo è accaduto d’altronde nell’agosto del 1914, quando in migliaia celebrarono l’inizio del conflitto mondiale, pervasi quasi da un’estasi, come se, diventando vittime sacrificali, venissero nobilitati. Questo per me vuol dire che occorre evitare di conferire alla lotta al terrorismo lo statuto di guerra. E vuol dire anche che questa ondata di terrorismo non durerà più di un paio di anni. Il rischio è invece che la democrazia regredisca a non-democrazia

DONATELLA DI CESARE — Non crede allora che ci troviamo all’inizio di una guerra globale dove non esistono più fronti? 

PETER SLOTERDIJK — Certamente. Ma già da decenni siamo in questa mobilitazione totale che volge verso l’incerto, dove tutti combattono contro tutti, e dove — come aveva già detto Karl Jaspers nella sua opera del 1930 La situazione spirituale del tempo — non ci sono più fronti. 

DONATELLA DI CESARE — Convivere con chi è estraneo è la sfida del nostro tempo. 

PETER SLOTERDIJK — Proprio così. Il fenomeno epocale del nostro secolo è l’enorme spostamento di masse che con un termine troppo riduttivo chiamiamo emigrazione. Questo fenomeno non finirà in tempi brevi. 

DONATELLA DI CESARE — Vede come causa di questo fenomeno motivi peculiari oltre, s’intende, le guerre locali, le dittature e la fame? 

PETER SLOTERDIJK — Non dobbiamo sottovalutare la portata enorme del cambiamento climatico. La spogliazione della terra ha assunto proporzioni inimmaginabili. Continuiamo a chiudere gli occhi. Anche i filosofi dovrebbero occuparsi molto di più della questione delle fonti di energia. È una filosofia sociale che non è stata ancora scritta. 


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