Riporto qui la bellissima intervista realizzata da Donatella di Cesare a uno dei massimi filosofi contemporanei, Peter Sloterdijk, autore della trilogia delle Sfere, comparsa sul numero del 6 dicembre 2015 de La Lettura - Corriere della Sera.
Vorrei iniziare il nostro dialogo dal tema del terrore. Ho letto in questo periodo commenti che mi sono parsi dettati da una forte reazione emotiva. Come se il clima bellico influisse anche sui media. In diverse circostanze lei ha detto che il terrore moderno ha una lunga storia e risale almeno alla rivoluzione francese e all’uso della ghigliottina. Il terrore è inscritto nella democrazia?
PETER SLOTERDIJK — Certamente. Democrazia vuol dire non avere più bisogno del terrore. Qui parla l’hegeliano che è in me: il terrore è uno stadio inaggirabile nel cammino verso lo Stato moderno. Bisogna avere attraversato il terrore per aprirsi alla democrazia. Ma proprio per questo il terrore resta un aspetto della politica nella modernità.
DONATELLA DI CESARE — Ritengo però che il terrorismo attuale sia un fenomeno postmoderno. Sbaglia chi usa con una certa facilità l’etichetta «barbarie», perché questo impedisce di considerarne la complessità. E credo che sia anche una grossolana semplificazione interpretare quel che avviene come il conflitto tra la religione (o le religioni) da un canto e la democrazia illuminata dall’altro.
PETER SLOTERDIJK — Non vorrei fare dell’islamismo una ideologia. Pur essendo un critico della religione, vedo qui un abuso della religione che, ridotta a un legame costrittivo, viene piegata a fini politici, primo fra tutti quello di costituire una comunità.
DONATELLA DI CESARE — A questo proposito credo che il presunto «Stato islamico» sia anche una disposizione d’animo molto diffusa non solo in Medio Oriente, ma nelle periferie delle metropoli occidentali.
PETER SLOTERDIJK — I terroristi sono per me attivisti del «terzo sogno», del sogno islamico che si oppone a quello americano. Ecco perché sono postmoderni: da un canto abitano nella realtà virtuale del XXI secolo, dall’altro fuggono nel passato del VII secolo. Mentre usano internet, attraversano il deserto — la testa piena di miti e sogni. E a questa paranoia favolistica ed eroica convertono molti giovani.
DONATELLA DI CESARE — Che cosa li spinge a farsi esplodere? Non mi convince l’idea che — come alcuni hanno insinuato — abbiano un concetto di vita diverso dal «nostro». Ho l’impressione che ci sia un tratto apocalittico nella loro decisione di dare e darsi la morte.
PETER SLOTERDIJK — Direi che sono acceleratori dell’incendio. Per capire l’esito nichilistico delle enormi frustrazioni accumulate da questi giovani, occorre rileggere le analisi di Nietzsche e di Schiller sul risentimento. Parlerei di una fenomenologia della umiliazione. È grazie a un contatto più o meno superficiale con l’ideologia jihadista che una enorme riserva di sentimenti negativi assume una direzione politica. La criminalità spicciola assurge ad azione bellica. Il piccolo delinquente — e nessuno di questi giovani vuole esserlo, sebbene molti di loro purtroppo lo siano — si muta allora in combattente.
DONATELLA DI CESARE — Ecco allora il loro riscatto, la loro redenzione.
PETER SLOTERDIJK — Sì, vengono riscattati dalla guerra. Qualcosa di analogo è accaduto d’altronde nell’agosto del 1914, quando in migliaia celebrarono l’inizio del conflitto mondiale, pervasi quasi da un’estasi, come se, diventando vittime sacrificali, venissero nobilitati. Questo per me vuol dire che occorre evitare di conferire alla lotta al terrorismo lo statuto di guerra. E vuol dire anche che questa ondata di terrorismo non durerà più di un paio di anni. Il rischio è invece che la democrazia regredisca a non-democrazia.
DONATELLA DI CESARE — Non crede allora che ci troviamo all’inizio di una guerra globale dove non esistono più fronti?
PETER SLOTERDIJK — Certamente. Ma già da decenni siamo in questa mobilitazione totale che volge verso l’incerto, dove tutti combattono contro tutti, e dove — come aveva già detto Karl Jaspers nella sua opera del 1930 La situazione spirituale del tempo — non ci sono più fronti.
DONATELLA DI CESARE — Convivere con chi è estraneo è la sfida del nostro tempo.
PETER SLOTERDIJK — Proprio così. Il fenomeno epocale del nostro secolo è l’enorme spostamento di masse che con un termine troppo riduttivo chiamiamo emigrazione. Questo fenomeno non finirà in tempi brevi.
DONATELLA DI CESARE — Vede come causa di questo fenomeno motivi peculiari oltre, s’intende, le guerre locali, le dittature e la fame?
PETER SLOTERDIJK — Non dobbiamo sottovalutare la portata enorme del cambiamento climatico. La spogliazione della terra ha assunto proporzioni inimmaginabili. Continuiamo a chiudere gli occhi. Anche i filosofi dovrebbero occuparsi molto di più della questione delle fonti di energia. È una filosofia sociale che non è stata ancora scritta.
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DONATELLA DI CESARE — E poi? Quali altri motivi scorge dietro lo spostamento di masse?
PETER SLOTERDIJK — I media occidentali non fanno che trasmettere immagini di una vita ricca e confortevole. Si tratta di una vera e propria forma di evangelizzazione. Milioni, miliardi di uomini e donne si sono già convertiti e si convertiranno a questa forma di vita.
DONATELLA DI CESARE — La religione di un capitalismo globale.
PETER SLOTERDIJK — Ho cercato di mettere tra parentesi il concetto di «religione». Perché la religione era prima il legame che teneva insieme una società. La modernità ha reso la religione una sorta di ermeneutica dell’esserci, il mezzo di una introspezione di sé. Prima non sarebbe stato possibile. Così la religione entra in conflitto con l’arte o con la filosofia.
DONATELLA DI CESARE — A questo proposito vorrei rivolgerle una domanda che riguarda la sua biografia. So che lei è andato per un periodo a Poona in India; ha seguito l’insegnamento del Bhagwan Shree Rajneesh, figura di rilievo del misticismo indiano, ed è diventato sannyasin , raggiungendo dunque un grado importante dell’induismo. La teoria critica della scuola di Francoforte — almeno così mi immagino — doveva essere la sua patria teoretica. Come mai l’ha lasciata? E per seguire inoltre un’esperienza intimistica? Certo, in quel periodo era quasi ovvio passare da Marcuse al Siddharta di Hermann Hesse. Ma addirittura un viaggio in India…
PETER SLOTERDIJK — Erano gli anni della sperimentazione, della psicoterapia, della meditazione di gruppo. Il nostro viaggio a ovest era terminato da tempo; quello a est non era ancora iniziato. La mia avventura in India durò circa quattro mesi. Avevo scritto una tesi di dottorato all’Università di Amburgo sull’autobiografia come genere filosofico. Era un periodo complicato per la Germania, in cui si chiudeva drammaticamente la lotta armata della Rote Armee . Sono partito per l’India nell’autunno del 1979. Non solo ho avuto molti impulsi, ma mi sono costruito una nuova identità. In seguito sono andato in America. È stato allora che il sospetto di avere un cancro mi ha gettato nel panico. A quel punto ho pensato che non mi restava molto tempo. Prima rinviavo tutto, come fanno oggi molti giovani. Nell’inverno del 1981 ho iniziato a scrivere la Critica della ragione cinica . Quando il libro è uscito, nel 1983, è stato un grande successo. Oggi è tradotto in 32 lingue.
DONATELLA DI CESARE — Il successo è stato però anche un problema. Lei è stato coinvolto in molte polemiche, talvolta — mi sembra — scaturite da malintesi. Ha dovuto fronteggiare soprattutto Jürgen Habermas…
PETER SLOTERDIJK — Non solo lui, ma tutta la vecchia guardia dei filosofi del dopoguerra. Non credo, peraltro, che si tratti di malintesi, quanto di rivalità. Talvolta il malinteso è voluto e le differenze non sono allora eliminabili.
DONATELLA DI CESARE — Sloterdijk è il nuovo Nietzsche, lo spengleriano, l’antiumanista, lo pseudomistico, l’anarchico di stampo conservatore, la popstar del pensiero, il filosofo più in vista sulla scena mondiale. Eppure mi sembra che lei sia relativamente isolato in Germania. Il che non mi sorprende. La filosofia tedesca si dibatte in questo momento tra molte difficoltà. Lei è invece l’erede diretto di Nietzsche, di Heidegger e di tutta la tradizione.
PETER SLOTERDIJK — Ha ragione. I vecchi signori della filosofia tedesca hanno tentato di isolarmi. Ma dalla mia parte io ho il pubblico. E non mi sento in nessun modo marginale. Ho interlocutori sparsi ovunque nel mondo: Bruno Latour in Francia, Hans Ulrich Gumbrecht a Palo Alto. E i miei ispiratori sono nella storia: i grandi filosofi, ma anche i grandi narratori, da Gottfried Benn a Thomas Mann, da Robert Musil a Hermann Broch.
DONATELLA DI CESARE — In fondo lei è anche uno scrittore.
PETER SLOTERDIJK — In questi giorni sto scrivendo un romanzo epistolare che uscirà in primavera. Si intitola Das Schelling-Projekt . Più che di epistole si tratta però di email. Nella speranza di avere un finanziamento, sei studiosi lavorano a un progetto di ricerca sullo sviluppo dell’erotismo femminile. Le scienze cognitive si rivelano poco utili; decisiva è invece la filosofia della natura di Schelling…
DONATELLA DI CESARE — Le donne hanno nella sua filosofia un ruolo di primo piano.
PETER SLOTERDIJK — Sì, è vero. Anziché Essere e tempo , si può dire: Frau und Raum , «Donna e spazio».
DONATELLA DI CESARE — A questo punto non posso fare a meno di chiederle di Heidegger, il suo principale ispiratore. Lo ha conosciuto di persona?
PETER SLOTERDIJK — No. Ho letto e leggo la sua opera, per me imprescindibile. Una chiave per interpretare Heidegger mi è stata fornita da uno dei miei maestri, Hermann Schmitz, il fondatore della nuova fenomenologia. Schmitz ha tentato di portare la filosofia a una catarsi di se stessa — un po’ come quello che Papa Francesco fa oggi nella Chiesa.
DONATELLA DI CESARE — Dopo Heidegger è difficile assumere un ruolo, come filosofo, in Germania. Non crede?
PETER SLOTERDIJK — Eppure Heidegger ha visto giusto quando, nei Quaderni neri, non parla più di «chiacchiera», ma del «diffuso rumore dei media» e di quel permanente stress mediatico in cui tutti noi ci troviamo. Questo impedisce ogni riflessione filosofica.
DONATELLA DI CESARE — Heidegger è stato il fenomenologo dell’abitare. Ma nella sua filosofia ha privilegiato il tempo piuttosto che lo spazio. Anche perché ha guardato sempre con sospetto alla globalizzazione. Nella sua critica della globalizzazione lei riprende questo spunto da Heidegger, facendone il cardine del suo pensiero.
PETER SLOTERDIJK — Beh, sì. La mia opera in tre volumi, Sfere , ne è la prova.
DONATELLA DI CESARE — Il terzo volume di Sfere , intitolato Schiume , è uscito in questi giorni in italiano per la casa editrice Cortina. Nel complesso l’opera arriva a 2.500 pagine circa. In Germania è stata un bestseller (il primo volume ha venduto ventimila copie). Una volta lei ha detto che un lettore dovrebbe prendersi una vacanza per poter leggere con continuità i tre volumi.
PETER SLOTERDIJK — Viviamo nel mondo dominato dal computer, dove si legge poco perché manca l’allenamento. Ma soprattutto manca la disponibilità a pagare i costi del viaggio che la lettura impone, ad affrontare il dolore dell’esperienza — subito dopo ampiamente ripagato. Le persone più giovani credono di poter acquisire cultura così come si scarica un programma da internet.
DONATELLA DI CESARE — Quando è nata quest’opera Sfere ? In quale contesto?
PETER SLOTERDIJK — L’intero progetto risale agli anni Novanta, quando insegnavo all’Accademia di belle arti di Vienna. Mi chiedevo: come posso avvicinare i giovani artisti alla filosofia? La sfera rappresenta per me la spazialità. Nel primo volume Bolle parlo delle sfere intime, della madre, della nascita, di una «ginecologia negativa», della nostra condizione non di individui, bensì di «dividui», dato che ciascuno è la metà di una coppia, di cui non si vede l’altra parte. Il modo in cui siamo stati concepiti come individui non è che una astrazione della modernità. La coesistenza precede l’esistenza. Nel secondo volume Globi rifletto su quella che Heidegger chiama l’epoca della metafisica, della razionalizzazione monosferica. Cosmologia e teologia filosofica sono i due grandi temi del secondo volume. Non solo il mondo, ma anche Dio è una sfera, una sfera infinita.
DONATELLA DI CESARE — E il terzo volume?
PETER SLOTERDIJK — Il terzo volume Schiume è venuto alla luce molto più tardi, nel 2004. L’epoca considerata è quella postmetafisica. Ricorro perciò alla metafora della schiuma per indicare le sfere pluralistiche. Viviamo negli anni della globalizzazione virtuale che ha portato a una crisi definitiva dello spazio. La schiuma rende bene questo implodere ed esplodere di sfere che si intersecano. Non c’è più un centro, perché ogni punto è virtualmente il centro. Non abbiamo più un posto saldo e sicuro sotto un cielo eterno e onnicomprensivo.
DONATELLA DI CESARE — In questo ultimo volume di Sfere lei parla di temi che ci sono molto vicini, dal terrorismo al mutamento del clima. Ma i toni non sono tragici e, anzi, malgrado l’insicurezza, si potrebbe pensare a una nuova gaia scienza suggerita dall’immagine aperta della schiuma.
PETER SLOTERDIJK — All’insicurezza dovremo abituarci. Fa parte integrante della civiltà. È la sfida per il futuro che potremo accogliere se, piuttosto che pretendere di immunizzarci dai pericoli che vengono dall’esterno, sapremo procedere insieme, non come rigide monosfere, ma come parti di schiume che sanno coesistere.
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