tratto da Fabrizio Falconi, Roma segreta e misteriosa, Newton Compton Editori, appena uscito in libreria.
La bellissima chiesa di San Giovanni dei Fiorentini alla quale lavorò il genio dei più grandi architetti dell’epoca, da Jacopo Sansovino ad Antonio da Sangallo il giovane a Giacomo Della Porta a Carlo Maderno, e conosciuta dai Roma con il soprannome di “confetto succhiato”, a causa della sua forma allungata apre la sua facciata su una piccola piazza triangolare, risultato di moderne urbanizzazioni, proprio all’imbocco del rettifilo della Via Giulia (lungo un chilometro), chiamata Piazza dell’Oro.
Esattamente in questo luogo, sul limitare del quartiere del Campo Marzio, esisteva anticamente un abisso spaventoso, dal quale emanavano fetidi odori di zolfo.
Conosciuto sin dai tempi fondativi della città di Roma, l’abisso era creduto abitato da dèmoni ed esseri infernali, anzi una vera e propria porta d’ingresso o di comunicazione con l’Ade.
Per questo ricevette da tempo immemorabile il nome di Tarentum che secondo gli studi più recenti, deriverebbe dal nome di una divinità dal corpo d’orso e dalla testa di cervo (o di renna) che si dice apparisse nelle notti di plenilunio.
A questa divinità – diretta discendente a sua volta della divinità punica di Baal Kamon e da Moloch – si offrivano riti orgiastici e sacrifici umani.
Anche in questo luogo, dunque, riti dionisiaci andarono ripetutamente in scena, che finivano con la dispersione nell’abisso sotterraneo, degli animali e degli oggetti sacrificati (come avveniva parallelamente dall’altra parte del globo nei Cenotes messicani).
Questa usanza si spezzò nei primi anni del 500 a.C. quando, forse per la crudeltà di questi riti sanguinari, un decreto ne vietò lo svolgimento.
La tradizione fu ripresa proprio sotto Augusto, nel 17 d.C. quando l’imperatore nel quadro dei ludi saeculares (le celebrazioni che si svolgevano a Roma ogni secolo), volle far rientrare anche il Tarentum con baccanali, riti dionisiaci e sacrifici (di animali col mantello scuro) che venivano officiati da sacerdoti completamente vestiti di abito nero.
E’ suggestivo immaginare questo rito, che si svolgeva all’aperto, aspettando il transito favorevole della luna, al canto del Carmen Saeculare composto dal divino Orazio per incarico diretto dell’Imperatore.
Il canto era affidato a un coro di cinquantaquattro adolescenti, ventisette maschi e ventisette femmine, che lanciavano l’invocazione alle divinità infere per ottenere la loro protezione su Roma, sul destino, sui favori personali, nel corso di queste solenne cerimonie che ciascun cittadino romano poteva dire di aver visto una sola volta nella vita (se assistito da fortuna).
tratto da Fabrizio Falconi, Roma segreta e misteriosa, Newton Compton Editori, appena uscito in libreria.
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