16/01/13

Il disastro della politica italiana. Un maestro dimenticato - Giuseppe Dossetti.




Cento anni fa, il 13 febbraio 1913, nasceva Giuseppe Dossetti, uno dei personaggi più significativi e influenti della storia della Repubblica.

Comandante partigiano senz’armi, costituente, tra i fondatori della Democrazia cristiana, unico a sfidare politicamente De Gasperi, unico a dimettersi dal partito e dal Parlamento.

Richiamato in politica dal cardinal Lercaro, affronta Giuseppe Dozza, storico sindaco comunista di Bologna, nelle elezioni comunali del 1956.

Negli anni Sessanta è tra i principali ispiratori del Concilio Vaticano II, poi si ritira di nuovo dalla vita pubblica, prima come ‘esule’ in Terrasanta, infine nella comunità monastica da lui fondata a Monte Sole, epicentro delle stragi naziste in Appennino.

Torna nel 1994, dopo la vittoria elettorale delle destre, per guidare i comitati in difesa della Costituzione fino alla sua morte, nel dicembre 1996.

Una vita come un fiume carsico, sospesa tra scomparse e riapparizioni. Un cammino istituzionale e intimo caratterizzato dalla passione e dall’integrità, che ha segnato l’impostazione di molti degli attuali cattolici democratici italiani, compresi alcuni leader del paese come Romano Prodi.

Una testimonianza ancora viva, che parla direttamente ai cattolici democratici di oggi, ma che resta un esempio limpido per tutti di come la politica possa essere davvero al servizio della comunità. Dossetti, il dovere della politica mette insieme la sua storia, la sua testimonianza e le scelte che sono di fronte ai cattolici democratici di oggi e, più in generale, a una classe politica che sembra aver smarrito il senso di responsabilità etica e civile del proprio ruolo.

La figura di Dossetti ritorna in un libro appena uscito, Dietro le quinte di Roberto Di Giovan Paolo, la cui bandella recita:  Mai come oggi la considerazione e la credibilità della classe politica presso l’opinione pubblica hanno raggiunto livelli così bassi. Anche per questo è utile riproporre la figura di Dossetti.

Edizioni Nutrimenti, Collana Igloo pp. 192 – 15,00 euro.

L’autore Roberto Di Giovan Paolo è stato giornalista, dirigente dell’Aiccre, l’associazione dei poteri locali italiani in Europa, docente di sociologia della comunicazione e di comunicazione politica, prima di essere eletto, nel 2008, senatore della Repubblica. Tra le sue pubblicazioni più recenti, I papi, la Chiesa e la pace (2009) e Piccoli padri (2010). Per Nutrimenti ha pubblicato Comunicare rende liberi (2007), con Maria Rita Moro.

15/01/13

Al via le celebrazioni dei 700 anni di Boccaccio.


In attesa della presentazione ufficiale delle manifestazioni del VII centenario della nascita di Boccaccio, che verrà fatta prossimamente dalla Regione Toscana, Certaldo, paese natale del grande scrittore del Trecento, presenta un appuntamento in anteprima attraverso la collaudata formula di «Si racconta le novelle del Boccaccio», a cura di Associazione Polis e L’Oranona Teatro.

A partire da domani, venerdì 11 gennaio, per tutto il 2013, una volta al mese, andrà in scena “10 di 100 - Il Decameron in 10 novelle”: ogni secondo venerdì del mese (tranne che nei mesi di luglio e agosto), verrà presentata la lettura integrale di una novella, accompagnata da musica dal vivo, per ognuna delle 10 giornate del Decameron, una sorta de “il meglio di” dell’opera massima di Giovanni Boccaccio.

Primo appuntamento a ingresso libero domani, venerdì 11 gennaio, alle ore 21.30 a Casa Boccaccio, con la prima novella della prima giornata, la celebre beffa di Ser Cepparello, uomo di malaffare che, sul letto di morte, con una falsa confessione inganna un santo frate per cui, pur essendo stato un pessimo uomo in vita, da morto viene reputato santo e chiamato san Ciappelletto.

A breve verrà presentato il programma nazionale delle celebrazioni per Boccaccio che avrà i suoi centri tra Certaldo e Firenze ma coinvolgerà altre numerose città, da Roma a Milano, con convegni, mostre, conferenze e spettacoli. Saranno previsti anche itinerari turistico-culturali alla scoperta della Toscana medievale narrata dal Boccaccio.

14/01/13

Che cosa è il tuo bene - di Fabrizio Falconi.




Che cosa è il tuo bene


Che cosa è il tuo bene
se non sai vedere nel futuro
se non ti appartiene niente di questo presente
se lasci che la penombra nebbiosa
di un rimpianto popoli distrattamente
ogni anfratto umido in cui credi di rinchiuderti.

Che cosa è il tuo bene
se non hai il coraggio di chiedere
né quello di rispondere
se aspetti la tempesta di primavera
senza far nulla, sapendo che non arriverà
se temi te stesso come temi la morte e gli altri.

Che cosa è il tuo bene
se non vedi l'avanzare delle dune gialle
prima del curvo tramonto di stelle
se non hai la forza di essere
se non senti il vento selvaggio
che scuote ogni cosa dalla notte dei tempi.



16 febbraio 2009

 © Fabrizio Falconi

13/01/13

La perdita delle radici, l'abbandono della tradizione e il manicomio contemporaneo. - C.G.Jung.





Il mondo ci appare impazzito. 

Nessuno sembra aver più in mente punti di riferimento e l'impressione generale è quello di una deriva complessiva - almeno in Occidente - dentro la quale nessuno sembra in grado di orientarsi. 

Ma a cosa si deve tutto ciò. 

Una delle risposte forse più convincenti la fornisce, in poche righe, Carl Gustav Jung, in uno dei suoi grandiosi saggi, Aion. 

Leggiamo.

L'attuale tendenza a distruggere, a rendere inconscia ogni tradizione, può tuttavia interrompere per centinaia di anni il normale processo di evoluzione e sostituirlo con un intervallo barbarico. 

Là dove ha predominato l'utopia marxista, questo è già avvenuto, scrive Jung, ma, aggiunge, anche una formazione prevalentemente tecnico-scientifica, tipica per esempio degli Stati Uniti, può provocare una regressione spirituale e quindi un notevole incremento della dissociazione psichica. 

Igiene e prosperità non bastano perché l'uomo sia sano; altrimenti gli uomini più ricchi e più illuminati starebbero meglio degli altri.  Invece, per quanto riguarda le nevrosi, le cose non stanno affatto così, ma al contrario. 

La perdita delle radici e l'abbandono della tradizione nevrotizzano le masse e le predispongono all'isteria collettiva.  E questa richiede una terapia collettiva consistente nella privazione della libertà personale e del terrore.   

Là dove predomina il materialismo razionalistico (invece), gli Stati tendono a diventare non più prigioni, ma manicomi. 

Ed è quello, ahimè, che stiamo sperimentando, credo. 

Tratto da Carl Gustav Jung, Aion, traduz e cura di Lisa Baruffi, Bollati Boringhieri, 1982, pag.170. 




09/01/13

Un nuovo film su Hannah Arendt diretto da Margarethe Von Trotta.




Lei non si riteneva affatto una filosofa - "mi occupo di Teoria politica" precisava a riguardo - ma il film dedicato ad Hannah Arendt attira proprio perche' portera' nelle sale cinematografiche una donna nota per la forza del suo pensiero. Ed e' in uscita giovedi' prossimo, in Germania, l'ultima opera della regista tedesca Margarethe vonTrotta. 

L'autrice de 'La banalita' del male' sara' interpretata da Barbara Sukowa (che con la von Trotta ha gia' lavorato in 'Rosa Luxemburg'). 

E focus di una pellicola per la quale si e' presto rinunciato a ricostruire l'intera biografia - per non incorrere nella difficolta' di raccontare il nazismo e i lager - saranno i quattro anni del processo ad Eichmann, che si tenne a Gerusalemme. La filosofa lo segui' per il New Yorker, con articoli poi confluiti nel suo lavoro piu' noto. A partire da una celebre intervista rilasciata nel 1964 a Guenther Gaus, la Sukowa ha costruito la sua immagine della figura di Hannah: "Ho visto l'intervista piu' di una volta - ha raccontato al Tagesspiegel - per vedere i movimenti della bocca, i gesti, rispondermi alla domanda in quale mano tenesse la sigaretta, dove guardava, come giocava con i capelli". 

E a proposito di sigarette, rivela: "E' stupido che nel trailer non fumi: e' praticamente inimmaginabile una Hannah Arendt senza la sigaretta". 

 Anche la regista e' rimasta affascinata da quella intervista: "Prima l'avevo soltanto ascoltata in cassetta; la mia reazione era stata: Dio mio, e' arrogante, non posso girare un film su di lei. Poi quando l'ho vista c'erano anche il suo charme, il suo sorriso, il suo umorismo". 

 Adolf Eichmann, nel film, sara' invece quello autentico filmato come documento durante il processo: 
"Thomas Kretschmann lo ha interpretato molto bene, in modo toccante, nel 2007, in una serie televisiva. Ma non si vede questa mediocrita' di questo burocrate dell'olocausto, la banalita' di cui si e' tanto occupata Hannah Arendt". 

Ecco perche' stavolta non ci sara' un attore, nei panni del criminale nazista.

fonte ANSA

08/01/13

Manuela La Ferla: a Firenze nasce la "Casa dell'Autore."





A Firenze nasce CASA DELL’AUTORE: intervista a Manuela La Ferla
di Massimo Maugeri per letteratitudinenews



Nasce a Firenze la CASA DELL’AUTORE di Manuela La Ferla. L’obiettivo dichiarato è quello di rimettere al centro del lavoro il testo e il suo autore, nel rispetto estremo della scrittura e fuori dalle forzature del mercato: un luogo dove le storie potranno circolare liberamente e le idee trovare terreno fertile, una modalità di lavoro che conserverà il nucleo antico del lavoro editoriale, ma guarda al futuro, alle nuove forme che con il digitale assumeranno un aspetto ancora difficile da immaginare. Uno spazio per autori italiani di eccellenza, per testi di narrativa e progetti di saggistica contemporanea. 

Manuela La Ferla, catanese di nascita ma fiorentina di adozione, vive e lavora a Firenze Ha collaborato a vario titolo con: Rizzoli, Feltrinelli, Adelphi, Einaudi, Theoria, Giunti, Mondadori, Fazi, Il Saggiatore, Cadmo e Longanesi. Ha collaborato a lungo anche con diverse testate, tra cui Diario e La Stampa e curato testi di Letteratura fantastica per diversi editori. Da un paio di anni cura la rubrica «Piccole Italie», su Latitudes. Come curatrice e autrice, è onorata di far parte nel suo piccolo del catalogo Sellerio. Da molti anni insegna editing alla Scuola Europea di Traduzione Letteraria. Nel 2013, in linea con l’evoluzione del mondo editoriale aprirà la casa dell’autore®, un crogiolo di eccellenza per testi e autori di qualità. Il vero lavoro editoriale, prima e oltre le case editrici. A Firenze, in via maggio 35. info@casadellautore.it

- Cara Manuela, da quanto tempo lavori del mondo dell’editoria? Ti andrebbe di raccontarci un po’ di te?
In breve: lavoro da venticinque anni in campo editoriale, come Editor Italiani, sia di narrativa che di saggistica contemporanea. Nasco in Sicilia cinquantanni fa, nella città da cui mi scrivi e che saluto. Vivo con mio marito e mio figlio Natnael di anni sette, a Firenze, mia città adottiva da oltre trent’anni (con tutti questi conti finirò per sentirmi vecchissima). Ho dedicato gran parte della mia vita alla letteratura e alle parole, fare l’editor è il mio modo di stare al mondo e quando penso penso da sempre sotto forma di libro. E per libro intendo un testo, originale, in lingua italiana, che poi vada in cartaceo o digitale è un’altra storia, ma non è questo il punto fondamentale, almeno per me. 
- A tuo avviso, cosa è cambiato nell’attuale sistema editoriale italiano dall’inizio della tua attività a oggi? Quali i pro e i contro?
Non è cambiata la passione dei giovani che vorrebbero entrare a far parte di questo nostro piccolo mondo, molto conservatore. Non è cambiata la dedizione dei molti che si prendono cura dei testi e non è cambiato il desiderio degli autori di arrivare ai propri lettori attraverso il filtro editoriale di una casa editrice. Per il resto, sembra di stare in un mondo capovolto. Chi guarda al mondo editoriale da fuori non credo lo sappia: ma l’industria editoriale è spesso strozzata da tempi di produzione accelerati e vittima colpevole della dittatura delle tirature (tranne che per il digitale). La cornice insomma si è un po’ mangiata il quadro. E il quadro, almeno per me, era e resta l’autore e il suo testo. 
- Credi che il ruolo e i compiti dell’editor, in particolare, siano cambiati in questi anni? Perché la figura dell’editor è ancora importante? 
Oggi l’editor è soprattutto un publisher, una persona molto competente che però compra libri già fatti altrove, mentre io mi sono sempre dedicata a farli i libri, e per farli non intendo costruirli a tavolino, anzi, intendo dire, anche pensarli, sì, se si tratta di saggistica, ma soprattutto aiutare l’autore a riflettere sul senso del proprio lavoro. Ed è proprio questo tipo di figura che è quasi del tutto scomparsa, quello che una volta si chiamava il consulente letterario di professione. Ci sono delle eccezioni, ma sono mosche bianche ormai. Il clima è mutato e non da oggi. Oggi su tutto vince il commerciale e le aspettative del lettore, quasi fosse la domanda a generare l’offerta e non viceversa.

Massimo Maugeri per Letteratitudinenews - continua a leggere qui.

07/01/13

E' morta Giovanna Bemporad - Un ricordo personale.





Ho conosciuto Giovanna Bemporad nell'estate del 1983.  

Ero un ventitreenne che aveva appena esordito con un libro di racconti - Prima di Andare - e su suggerimento dell'editore - nella persona di Maria Cristina Becattelli - inviai una copia del volume ad alcuni scrittori (come si faceva un tempo). 

Giovanna Bemporad mi rispose quasi subito. Una lunga lettera, compilata con una scrittura obliqua regolare, in una lingua perfetta, esatta, non distante, prodiga di suggerimenti (e anche di elogi). 

Le telefonai al numero che mi aveva lasciato e lei - una voce esile, minuta, dai riflessi apparentemente rallentati - mi invitò a casa sua. Abitava in Via dell'Umanesimo, all'Eur, in un bell'appartamento (suo marito era il senatore Giulio Romano Orlando, non avevano figli). 

Suonai al campanello, la voce esile mi disse di salire. Al pianerottolo il portone dell'appartamento era socchiuso. Dall'interno, la voce mi disse di accomodarmi nel salone.   Entrai, lei non c'era.  La aspettai per qualche minuto. Quando comparve - erano le sei di sera, l'orario in cui, lo scoprii solo più tardi, abitualmente cominciava la sua giornata - rimasi colpito dall'aspetto: magrissima, con folti capelli neri (sembravano quasi una parrucca), pallida, la pelle del volto liscia come quella di una bambola.  Profumata (di talco?), leggermente incipriata, vestita con abiti maschili - pantaloni scuri, un gilet di raso, camicia bianca e la giacca di velluto.  

Fu un incontro speciale. Che - posso dirlo ora che non c'è più - mi cambiò la vita. 

Era la prima volta che mi si palesava di fronte l'essenza vera di un poeta. Di un poeta vero, di un vero poeta.  

Parlammo a lungo, lei era molto interessata a quel che aveva da dire e da scrivere un giovane come me. Era affascinata dal fatto che fossi figlio di operai, e che avessi scoperto il piacere di scrivere a dieci anni quando i miei mi regalarono per la Befana, una macchina per scrivere Olympia Carrera. 

Cominciò quel giorno una lunga amicizia.  Telefonate lunghissime - Giovanna era una affabulatrice, ma nello stesso tempo si interessava ad ogni questione dell'attualità o dei problemi, delle vicissitudini personali dell'interlocutore -  letture dei suoi Esercizi (praticamente il suo unico libro di poesia, che scrisse e riscrisse molte volte),  riletture ad alta voce, in pubblico, degli amati classici che traduceva - Eneide, Odissea, ma anche Novalis, Mallarmé, Valery, Rilke.   

Lei viveva di notte. Ritmi circadiani completamente invertiti.  Si coricava alle otto del mattino.  Fu lei a portarmi in giro in quella Roma, dove di notte incontravi tutti, all'inizio degli anni '80.  E le sue storie erano piene di meravigliosi aneddoti:  l'amicizia giovanile - fraterna - con Pasolini, Ungaretti che era stato il suo testimone di nozze, Eliot a Roma...  

Trascorrere il tempo con lei voleva dire, per uno come me, sognare: entrare in un mondo che consideravo precluso e che invece in qualche modo era accessibile, il mondo dei poeti, osservarlo di soppiatto, cercare di carpirne i misteri. 

Quando pubblicai L'Ombra del Ritorno, qualche anno più tardi, mi incoraggiò molto. Mi aiutò non poco nel rivedere i testi, minuziosamente, fino alla fine. 

Per lei la poesia era soprattutto questo: riflessione, meditazione, approfondimento, sempre e sempre. Una lenta discesa negli strati più profondi dell'essere umano. 

Stamattina, aprendo i giornali, ho appreso che Giovanna, a 83 anni ci ha lasciato. 

Da tempo, si era isolata da tutti. Ma lei, in fondo, come scrive oggi il Corriere della Sera, era sideralmente distante dal cosiddetto 'mondo letterario' :non aveva mai veramente frequentato nessuno, se non quelli che considerava amici poeti.   Nessun salotto, nessun bel mondo, nessuna televisione, nessun premio letterario, nessuna congrega (o consorteria o corporazione) di scrittori .

Lei era semplicemente la sua anima.  

E da oggi, io mi sento più orfano. 


Ciao, Giovanna.

Fabrizio Falconi  





06/01/13

La fatica degli anni che passano.





La fatica degli anni che passano, cambia le nostre prospettive.  E cambia anche il senso della nostra fatica.

Ho trovato queste parole straordinariamente rispondenti.


Ho sempre più l'impressione che il torrente da guadare si allarghi alle dimensioni di un fiume, anzi di un mare. 

Il gesto di lanciare sassolini nel torrente guardando con fiducia, quasi con possesso, all'altra sponda, si è tramutato in me in un altro: siamo inviati, mi pare, non ad assicurarci il passaggio di un corso d'acqua, bensì ad entrare semplicemente, a piccoli passi, nell'acqua di un mare ampio, per immergerci in esso superando le nostre paure. 



Carlo Maria Martini, Capire, comprendere, pregare, in La preghiera di chi non crede, VII Cattedra dei non credenti, Mondadori, Milano 1994, pag.104.

05/01/13

Franco Battiato: "Non si muore, ci si trasforma". Intervista Video.


 


E' il passaggio di una intervista a Franco Battiato (nella occasione dell'uscita del suo ultimo album Apriti Sesamo), realizzata dal mensile XL di Repubblica, nel quale l'artista parla della morte, di come si sta preparando a quello che definisce un passaggio, una trasformazione. 


link del video: 
Esclusiva XL. Franco Battiato. L'idea della morte - Il testamento from videodrome-XL on Vimeo.

04/01/13

Il Master di Ballantrae di Robert Louis Stevenson, nella nuova edizione di Nutrimenti.





Ma che straordinario libro è questo. 

Il Signore di Ballantrae, scritto da Robert Louis Stevenson nel 1888 è un compendio sulla ambiguità dei caratteri umani, e dei rapporti. E sulla follia del male. 

La storia dei due fratelli James e Henry, l'uno - il maggiore - erede designato della casa nobile a cui appartiene, pura anima criminale, l'altro, il secondo, gregario e apparentemente sottomesso, sempre alle prese con un agognato e disperato riscatto,  è la descrizione della disintegrazione di quei valori umani che per molti secoli segnarono la rotta della civiltà  e che sul finire dell'Ottocento entrarono definitivamente in crisi.

James, dopo essere creduto morto una prima volta, durante una battaglia, torna per vendicarsi sul fratello minore che gli ha usurpato il titolo e la moglie.  

Dopo un duello notturno, in cui per la seconda volta viene creduto morto, scompare ancora.

E ancora ritorna per l'ultimo faccia a faccia, che si conclude in un parossistico finale dove, per la terza volta, James sembra risorgere, questa volta addirittura dal suo letto di morte, dalla sua sepoltura. 

Nella pregevolissima riedizione della Nutrimenti - corredata delle illustrazioni d'epoca, delle cartine geografiche, delle appendici con le lettere dell'autore (una indirizzata anche a Henry James - si possono scoprire le perplessità di Stevenson che accompagnarono la stesura di quest'opera, la sua insoddisfazione, il senso profondo che voleva dare a questo Diavolo, incarnato nel personaggio di James. 

E' una lettura splendida, che davvero merita attenzione. Nei tempi così confusi che viviamo, il racconto di Stevenson appare quasi profetico, nella teoria di questo male insensato che esiste solo per il gusto di esistere.

Un romanzo così moderno, che sembra scritto oggi, per l'oggi.


Fabrizio Falconi


03/01/13

Eta Beta - Spiritualità e Tecnologia, una trasmissione di Massimo Cerofolini. Il Podcast.



Vorrei segnalarvi questa puntata del programma Eta Beta, andata in onda su Radio Uno il 22 dicembre scorso,  e scaricabile su podcast (qui)

Nella trasmissione ideata e condotta da Massimo Cerofolini, si è affrontato il tema della spiritualità alla luce delle nuove frontiere e dei nuovi mezzi tecnologici. 

Ci sono interventi di ospiti come Antonio Spadaro, direttore della rivista Civiltà cattolica e autore di libri come Cyberteologia o Web2.0, Andrea Tornielli, responsabile del blog Sacri Palazzi; Paolo Curtaz, pioniere delle omelie su Youtube (www.paolocurtaz.it); Marco Guzzi, filosofo membro dell'Accademia pontificia, fondatore dei gruppi Darsi Pace, primo esperimento cattolico che fa corsi telematici di spiritualità; MichaelDavide Semeraro, monaco benedettino, responsabile di Messa e preghiera quotidiana, commenti alla Parola del giorno su Ipad; don Paolo Padrini, intentore della app "i-breviary", il breviario sul cellulare.

Buon ascolto.


02/01/13

L'uomo senza sentieri - Jiddu Krishnamurti (per iniziare il 2013).




Per rigenerarci dopo i bagordi del Capodanno, vi propongo una piccola condivisione su uno dei più grandi mistici del Novecento.

La vita di Jiddu Krishnamurti è una vita piena di misteri.  

Oggi si assiste a un grande fiorire di interesse per la figura di questo pensatore, nato in estrema povertà nell'India Meridionale il 12 maggio 1895 (dunque nel segno del Toro), alle 12,30 del mattino, e morto nel sonno il 17 febbraio del 1986.

Chi era Krishnamurti ?

A questa semplice domanda è difficile rispondere. 

Un bambino indiano che a 10 anni viene intercettato da una associazione di ricconi inglesi illuminati, guidati dalla mistica russa Madame Helena Petrovna Blavatsky e da Henry Steel Olcott, suo amico del cuore.

Questa congrega ha preso il nome di  Società Teosofica  e in quel periodo (1909) è guidata da Annie Besant e Charles Webster Leadbeater, entrambi sensitivi. E' quest'ultimo che si accorge della speciale aura che risplende intorno al piccolo K., e si convince che il piccolo non è altro che la reincarnazione del Buddha Maitreya (una delle manifestazioni del Buddha), di cui è stato annunciato l'evento.

Il piccolo viene trapiantato in Europa, prima in Normandia, poi a Londra. Al ragazzo - venerato come un Dio - vengono assicurati i migliori studi, le migliori frequentazioni.   Del resto egli manifesta, anche nella persona, una eleganza e uno stile senza eguali.

Lo accompagna, nella sua nuova esperienza europea, il fratello Nitya, più piccolo, al quale egli è legato fortissimamente e che muore in circostanze tragiche.

Nel 1929 in occasione di un raduno della Stella d'Oriente, chiesa della quale il ragazzo è stato messo a capo, tenutosi in Olanda, al quale presenziano più di 3000 fedeli, Krishnamurti, a sorpresa, con un discorso memorabile e imprevedibile, scioglie l'Ordine dopo aver declamato che La verità è una terra senza sentieri e che non la si potrà mai ottenere attraverso nessuna organizzazione, chiesa, maestro o guru. 

In seguito chiude ogni suo rapporto con la Società Teosofica e, restituisce tutte le donazioni ricevute dagli adepti (ingenti somme di denaro,ville e terreni).

Ciò nonostante, non gli è difficile trovare il denaro (finanziamenti di benefattori e vendite dei suoi libri) per iniziare la sua nuova attività divulgatrice: ha infatti ormai maturato la Verità ed è pronto per diffonderla: il mio unico scopo è rendere l'uomo assolutamente, incondizionatamente libero.

Per i successivi cinquantasette anni della sua lunga vita Krishnamurti viaggia in lungo e in largo per il mondo al fine di trasmettere il suo insegnamento liberatorio, rifiutando sempre la venerazione personale. 

Oggi esistono scuole e fondazioni sparse in tutto il pianeta che analizzano e studiano i suoi libri, il suo pensiero, anche in Italia.

Un pensiero che solo apparentemente è difficile, arduo. Ma che invece, se approfondito, spalanca incredibili vie di autoconoscenza e sviluppo personale.

Tutta la vasta opera di Krishnamurti è tradotta e stampata in Italia da Ubaldini Editore, che consiglio rispetto alle molte edizioni commerciali, disponibili e spesso molto mal tradotte.

Sulla vita di Krishamurti, incredibilmente affascinante, e piena di enigmi, il testo fondamentale è:

Così scriveva Krishnamurti nel 1959: 

Noi ci riempiamo il cuore con le cose della mente e di conseguenza teniamo il cuore sempre vuoto e in attesa...        E' la mente che si attacca, che è invidiosa, che s'impossessa e che distrugge...  Noi non ci limitiamo ad amare, ma smaniamo per essere amati;   diamo per ricevere, che è la generosità della mente, non del cuore.      La mente è sempre alla ricerca  di certezze e sicurezza;   e può l'amore essere certificato  dalla mente ?   Può la mente, la cui intima essenza è il tempo, catturare l'amore, che di per sè è  eternità ?

Fabrizio Falconi.    

30/12/12

Le tre risposte meravigliose - Tolstoj.




Tolstoj scrisse un racconto bellissimo, che forse pochi conoscono e che è il mio modo per augurarvi un buon anno nuovo, il 2013.

In questo racconto c'è un imperatore che un giorno pensò che se avesse avuto la risposta a tre domande, avrebbe avuto la chiave per risolvere qualsiasi problema:

Qual'è il momento migliore per intraprendere qualcosa ?
Quali sono le persone più importanti con cui collaborare ?
Qual è la cosa che più conta sopra tutte ?

L'imperatore emanò un bando per tutto il regno annunciando una lauta ricompensa per chi avesse saputo rispondere alle tre domande.

Ma le risposte che i centinaia di avventori gli diedero, non lo convinsero in nessun modo.

Per la prima domanda risposero nei modi più vari. La cosa migliore era secondo alcuni la costituzione di un Consiglio di esperti, per altri era rivolgersi a maghi e indovini.

Per la seconda domanda, gli consigliarono di riporre la sua fiducia negli amministratori, un altro gli consigliò di affidarsi al clero o ai monaci.

Per la terza domanda, qualcuno disse che l'attività più importante era la scienza, altri dissero l'arte militare, o la religione.

Insoddisfatto, l'imperatore decise di rivolgersi a un eremita, un sant'uomo che si riteneva molto saggio,  che la mattina dopo decise di andare a trovare, scalando la montagna sulla quale si era ritirato a vivere.

Ma giunto al cospetto dell'eremita, questi non rispose a nessuna delle sue domande. Era intento a vangare il suo orto.  "Devi essere stanco, " disse l'imperatore, "lascia che ti aiuti".  L'eremita lo ringraziò , gli diede la vanga e si sedette per terra a riposare.

L'imperatore vangò per due ore, poi mise giù l'attrezzo, e disse all'eremita: "Sono venuto per rivolgerti tre domande. Ma se non sai darmi la risposta, ti prego di dirmelo, così me ne torno a casa mia."  

Ma l'eremita alzò la testa e disse: " Non senti qualcuno che corre verso di noi ?" L'imperatore si voltò di scatto e vide un uomo insanguinato che correva verso di loro, e che si accasciò a terra, a pochi metri.

28/12/12

Affidarsi - The Blind Girl, John Everett Millais.





Amo da sempre questo quadro. 

Lo ha dipinto John Everett Millais nel 1854, e si intitola The blind girl, La ragazza cieca.    

E' un'opera misteriosa, che interroga l'osservatore. 

Al centro, una ragazza cieca. I suoi occhi sono dolcemente chiusi. Su di lei è adagiata una giovane fanciulla (una sorella ?) 

Sono seduti entrambe in un campo di grano, d'estate. Intorno a loro la natura è meravigliosa. E sullo sfondo si staglia nel cielo un doppio arcobaleno.

La ragazza cieca non può vedere. Ha deposto l'organetto, e si è disposta - come pensiamo anche dal dettaglio della mano che sfiora l'erba - ad ascoltare quel che non può vedere, e che forse la fanciulla racconta, vede per lei.

In questo quadro c'è molto della nostra vita. E molto, sul senso del visibile e dell'invisibile.   

La ragazza cieca è costretta (per vedere) ad affidarsi a qualcuno.

Come diciamo spesso: affidarsi ciecamente.

Stringersi nel suo abbraccio, fidarsi, fidandosi anche di ciò che non vede. 

E' una cosa difficile, sempre più difficile. Prendiamolo come un augurio per un nuovo anno che viene. 

Fabrizio Falconi

27/12/12

Don Corsi, il prete di Lerici, il "femminicidio" e gli omosessuali.




Credo che la vicenda dell'incontinente parroco Don Corsi e del volantino affisso sulla sua chiesa a Lerici che ha scatenato un pandemonio, sia una delle più tristi degli ultimi anni. 

Ancor più grave del volantino è stata secondo me l'orrenda telefonata carpita da un giornalista, con l'incredibile domanda stizzita di Don Corsi, rivolta al suo intervistatore: "ma perché, anche lei è frocio ?" 

Questo argomento, come si può constatare semplicemente leggendo i commenti in rete sui vari siti o socials,  dimostra che ciascuno in vicende come queste è indotto a tirare fuori il peggio di sé. 

Siamo un paese veramente tristissimo, ancora alle prese con un maschilismo e un bigottismo vecchissimo (forse da questo punto di vista siamo davvero il paese più arretrato tra quelli occidentali) nel quale c'entrano anche certi comportamenti sciagurati e folli come questo di Don Corsi, delle sue affermazioni e dei media che, sguazzandoci, hanno fatto il resto. 

Dire che una donna rischia di essere violentata o uccisa se si scopre, è roba da paese del terzo mondo fondamentalista - e fra l'altro il termine femminicidio è un orrore nell'orrore - ed è una offesa per le donne e per gli uomini (sani). 

Dire e concludere poi che un uomo che non si sente infoiato da un manifesto provocatorio è "un frocio", vuol dire offendere tutti gli uomini (sani, non le bestie che si infoiano anche per un numero pecoreccio di alvaro vitali), vuol dire offendere nuovamente le donne e vuol dire offendere molto pesantemente anche gli omosessuali. 

Il fatto poi che queste tre offese arrivino da un prete, da un sacerdote che dovrebbe amministrare e propalare misericordia umana - e non anatemi - è ancora più tragicamente triste.

Fabrizio Falconi 

25/12/12

Buon Natale .




Appena qualche giorno fa è trascorsa la notte più lunga dell'anno.

Il solstizio d'inverno ha rappresentato per millenni, per l'uomo, qualcosa di oscuro e di temibile: il sole, durante l'autunno cominciava a brillare sempre meno, e poi sempre meno, e le giornate sempre più corte, finché il sole a dicembre, non riusciva nemmeno ad alzarsi, e andava a morire nel primo pomeriggio.

Il solstizio d'inverno è il punto di non ritorno: il momento in cui il sole - e la vita - sembrano abbandonare la Terra. Ma, invece, da quel buio, da quell'oscurità, ecco: il sole rinasce, ricomincia a crescere. Le giornate, una dopo l'altra, tornano ad allungarsi, la luce ritorna.

Tutte le civiltà del passato avevano una grande festa - piena di implicazioni simboliche - legate al solstizio d'inverno. I romani, come è noto, la celebravano con il rito del  Sol Invictus.

E non è un caso che anche la festa del Natale Cristiano sia stata posizionata nel calendario, in questo periodo: simbolo di rinascita, di rinnovamento, di speranza, e di luce.

Nel Natale cristiano non si celebra soltanto la nascita di un simbolo (tanto per tornare a ieri), ma la nascita di un corpo.  

Il Cristianesimo è l'unica religione che si identifica  totalmente con una persona: la persona di Gesù di Nazareth.

Dal Monastero di Bose, la Comunità fondata, vicino a Biella, da Enzo Bianchi, arrivano i preziosi libri delle edizioni Qiqajon.

Da Brucia, invisibile fiamma, antologia poetica pubblicata nel 1998, ecco Nascita di Cristo  di Rainer Maria Rilke.

Non avessi tu il candore, come potrebbe
accadere a te ciò che rischiara ora la notte ?
Guarda il Dio dell'ira sopra i popoli
si fa mite, e viene in te nel mondo.
Vedi, questi re sono grandi,
ed innanzi al tuo grembo a te trascinano
tesori, quelli che ritengono i più grandi,
e tu stupisci forse a questi doni:
ma guarda, tra le falde del tuo panno,
come ora lui su tutto passa oltre.
Tutta l'ambra che lontano in mare, si trasporta,
ogni gioia d'oro e quell'aereo aroma che bruciando
si disperde nei sensi e si consuma:
di fulminea brevità fu tutto questo,
e alla fine fu solo rimpianto.
Ma (lo vedrai): Egli dà gioia.



Buon Natale


Fabrizio Falconi

23/12/12

Andrej Tarkovskij - "Una persona egoista non può leggere e amare Tolstoj".



Difendere tutto ciò che è spirituale. 

E’ il compito che Andrej Tarkovskij si era dato e che cercò di fare strenuamente, finché fu in grado, con i suoi film. 

Il più misterioso dei quali, forse resta proprio Lo Specchio (titolo originale Zerkalo), girato nel 1975, e infarcito di immagini simboliche e di citazioni di versi del padre del regista, il poeta Arsenij.

Nei Diari del periodo, Tarkovskij, riferisce anche delle critiche e degli insulti ricevuti (come gli capitava spesso per ogni nuovo film) e commenta: 

Lo specchio è un film antiborghese e perciò non può non avere una gran quantità di nemici. Lo specchio è un film religioso. Naturalmente quindi, incomprensibile per la massa, abituata al cinema da quattro soldi e incapace di leggere libri, di ascoltare musica, di osservare un dipinto. Alle masse in genere serve qualcosa di divertente, di distensivo, di spettacolare, sullo sfondo di una “storiella” edificante… il mio compito è di occuparmi di quello che Dio mi ha dato senza badare alla invettive di chicchessia. Non è che io pensi di me cose molto esaltanti, è solo che ognuno deve portare la sua croce. E sarà il tempo a dire se è stata una meritata beffa, o se avevo ragione io. Una persona egoista non può leggere e amare Tolstoj.


(In testa: video elaborazione di alcune immagini del film Lo Specchio). 

22/12/12

Martin Buber: Quando l'uomo ha trovato la pace in se stesso, può mettersi a cercarla nel mondo intero.




Bisogna che l'uomo si renda conto innanzitutto lui stesso che le situazioni conflittuali che l'oppongono agli altri sono solo conseguenze di situazioni conflittuali presenti nella sua anima, e che quindi deve sforzarsi di superare il proprio conflitto interiore per potersi così rivolgere ai suoi simili da uomo trasformato, pacificato, e allacciare con loro relazioni nuove, trasformate.

Indubbiamente, per sua natura, l'uomo cerca di eludere questa svolta decisiva che ferisce in profondità il suo rapporto abituale con il mondo: allora ribatte all'autore di questa ingiunzione - o alla propria anima, se è lei a intimargliela - che ogni conflitto implica due attori e che perciò, se si chiede a lui di risalire al proprio conflitto interiore, si deve pretendere altrettanto dal suo avversario. Ma proprio in questo modo di vedere - in base al quale l'essere umano si considera solo come un individuo di fronte al quale stanno altri individui, e non come una persona autentica la cui trasformazione contribuisce alla trasformazione del mondo - proprio qui risiede l'errore fondamentale [...].

Cominciare da se stessi: ecco l'unica cosa che conta. In questo preciso istante non mi devo occupare di altro al mondo che non sia questo inizio. Ogni altra presa di posizione mi distoglie da questo mio inizio, intacca la mia risolutezza nel metterlo in opera e finisce per far fallire completamente questa audace e vasta impresa. Il punto di Archimede a partire dal quale posso da parte mia sollevare il mondo è la trasformazione di me stesso. Se invece pongo due punti di appoggio, uno qui nella mia anima e l'altro là, nell'anima del mio simile in conflitto con me, quell'unico punto sul quale mi si era aperta una prospettiva, mi sfugge immediatamente.

[...] "Cerca la pace nel tuo luogo". Non si può cercare la pace in altro luogo che in se stessi finché qui non la si è trovata. E' detto nel salmo: "Non c'è pace nelle mie ossa a causa del mio peccato". Quando l'uomo ha trovato la pace in se stesso, può mettersi a cercarla nel mondo intero.

Martin Buber, Il cammino dell'uomo.