17/02/12
Hugo Cabret, prendersi cura dell'altro è il senso dell'esistenza.
Hugo Cabret è il ventiduesimo film di Martin Scorsese.
Ed è uno strano film. Ho vinto con ritrosia la necessità di dotarmi dei - per me - fastidiosissimi occhiali per il 3D. E già mi ero preparato alla evenienza di trovarmi di fronte un film ridondante, come mi sono parsi tutti gli ultimi film di Scorsese - da Gangs of New York in poi.
La qual cosa non mi sarebbe piaciuta. Perché ritengo - avendo visto praticamente tutti i film di questo grande regista - che Scorsese abbia dato il meglio di sé, nella sua carriera, con film nudi, con pochi fronzoli, con i film di grande sostanza - morale - come Toro Scatenato, Taxi Driver, Fuori Orario, Lezioni dal Vero (ep. New York Stories), Fuori Orario.
Sono contento di essermi sbagliato. Al di là del 3D e di qualche giustificato effetto fiabesco - grandissimo lavoro, come sempre di Dante Ferretti - funzionale alla storia, Hugo Cabret è un film nudo, semplice, quasi scarno. Che non ha timore, anzi, di apparire perfino noioso.
Però, mi sembra, qui Scorsese torna al nocciolo della sua prima e vera ispirazione.
Il bambino che guarda il mondo (ciò che fu il piccolo Martin, bambino asmatico, costretto a guardare la rutilante New York per lunghi anni dalla finestra), il bambino che ha perso l'innocenza, e che deve 'ricreare' il senso del mondo - e del suo mondo - a partire dalla sua interiorità. La forza del lavoro creativo, la capacità di trovare nell'armonia tra le cose una salvezza. La capacità di prendersi cura dell'altro come unico e vero scopo della nostra esistenza.
Tutto questo è raccontato da Scorsese con semplicità e incanto attraverso la vicenda di George Méliès e del suo pazzo cinema di cartapesta.
Complimenti a Mr. Martin: ha fatto un altro centro.
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16/02/12
“Se la feroce religione del denaro divora il futuro” di GIORGIO AGAMBEN
Per capire che cosa significa la parola “futuro”, bisogna prima capire che cosa significa un´altra parola, che non siamo più abituati a usare se non nella sfera religiosa: la parola “fede”.
Senza fede o fiducia, non è possibile futuro, c´è futuro solo se possiamo sperare o credere in qualcosa. Già, ma che cos´è la fede? David Flüsser, un grande studioso di scienza delle religioni – esiste anche una disciplina con questo strano nome – stava appunto lavorando sulla parola pistis, che è il termine greco che Gesù e gli apostoli usavano per “fede”.
Quel giorno si trovava per caso in una piazza di Atene e a un certo punto, alzando gli occhi, vide scritto a caratteri cubitali davanti a sé Trapeza tes pisteos. Stupefatto per la coincidenza, guardò meglio e dopo pochi secondi si rese conto di trovarsi semplicemente davanti a una banca: trapeza tes pisteos significa in greco “banco di credito”. Ecco qual era il senso della parola pistis, che stava cercando da mesi di capire: pistis, ” fede” è semplicemente il credito di cui godiamo presso Dio e di cui la parola di Dio gode presso di noi, dal momento che le crediamo. Per questi Paolo può dire in una famosa definizione che “la fede è sostanza di cose sperate”: essa è ciò che dà realtà a ciò che non esiste ancora, ma in cui crediamo e abbiamo fiducia, in cui abbiamo messo in gioco il nostro credito e la nostra parola.
Qualcosa come un futuro esiste nella misura in cui la nostra fede riesce a dare sostanza, cioè realtà alle nostre speranze. Ma la nostra, si sa, è un´epoca di scarsa fede o, come diceva Nicola Chiaromonte, di malafede, cioè di fede mantenuta a forza e senza convinzione. Quindi un´epoca senza futuro e senza speranze – o di futuri vuoti e di false speranze. Ma, in quest´epoca troppo vecchia per credere veramente in qualcosa e troppo furba per essere veramente disperata, che ne è del nostro credito, che ne è del nostro futuro?
Perché, a ben guardare, c´è ancora una sfera che gira tutta intorno al perno del credito, una sfera in cui è andata a finire tutta la nostra pistis, tutta la nostra fede. Questa sfera è il denaro e la banca – la trapeza tes pisteos – è il suo tempio.
Il denaro non è che un credito e su molte banconote (sulla sterlina, sul dollaro, anche se non – chissà perché, forse questo avrebbe dovuto insospettirci – sull´euro), c´è ancora scritto che la banca centrale promette di garantire in qualche modo quel credito. La cosiddetta “crisi” che stiamo attraversando – ma ciò che si chiama “crisi”, questo è ormai chiaro, non è che il modo normale in cui funziona il capitalismo del nostro tempo – è cominciata con una serie sconsiderata di operazioni sul credito, su crediti che venivano scontati e rivenduti decine di volte prima di poter essere realizzati.
Ciò significa, in altre parole, che il capitalismo finanziario – e le banche che ne sono l´organo principale – funziona giocando sul credito – cioè sulla fede – degli uomini.
Ma ciò significa, anche, che l´ipotesi di Walter Benjamin, secondo la quale il capitalismo è, in verità, una religione e la più feroce e implacabile che sia mai esistita, perché non conosce redenzione né tregua, va presa alla lettera. La Banca – coi suoi grigi funzionari ed esperti – ha preso il posto della Chiesa e dei suoi preti e, governando il credito, manipola e gestisce la fede – la scarsa, incerta fiducia – che il nostro tempo ha ancora in se stesso.
E lo fa nel modo più irresponsabile e privo di scrupoli, cercando di lucrare denaro dalla fiducia e dalle speranze degli esseri umani, stabilendo il credito di cui ciascuno può godere e il prezzo che deve pagare per esso (persino il credito degli Stati, che hanno docilmente abdicato alla loro sovranità). In questo modo, governando il credito, governa non solo il mondo, ma anche il futuro degli uomini, un futuro che la crisi fa sempre più corto e a scadenza. E se oggi la politica non sembra più possibile, ciò è perché il potere finanziario ha di fatto sequestrato tutta la fede e tutto il futuro, tutto il tempo e tutte le attese.
Finché dura questa situazione, finché la nostra società che si crede laica resterà asservita alla più oscura e irrazionale delle religioni, sarà bene che ciascuno si riprenda il suo credito e il suo futuro dalle mani di questi tetri, screditati pseudosacerdoti, banchieri, professori e funzionari delle varie agenzie di rating. E forse la prima cosa da fare è di smettere di guardare soltanto al futuro, come essi esortano a fare, per rivolgere invece lo sguardo al passato. Soltanto comprendendo che cosa è avvenuto e soprattutto cercando di capire come è potuto avvenire sarà possibile, forse, ritrovare la propria libertà. L'archeologia – non la futurologia – è la sola via di accesso al presente.
14/02/12
La visione di Costantino e l'Arco di Malborghetto - 6. Croce nel cielo.
6. Croce nel Cielo.
Procediamo con ordine.
Accettando la premessa di cui al paragrafo precedente, e cioè che l’Arco
di Malborghetto sia stato edificato sotto il regno di Costantino sul luogo
esatto dove sorgeva l’accampamento delle truppe dell’Imperatore, prima della
Battaglia, luogo nel quale era avvenuta la Visione, si è deciso di ricostruire – attraverso l’ausilio
di un normale programma astronomico-matematico - il cielo di quella notte, la notte del 27
ottobre del 312 d.C. (7).
Puntando il programma astronomico sulle coordinate del
Casale di Malborghetto - 42°03'08"
log N e 12°29'16" lat E - alle ore
22,00 (orario puramente indicativo) del 27 ottobre del 312 d.C. è risultata
brillantissima, verso ovest la
costellazione del Cigno. (azm 277°51' alt +40°40'), che così viene descritta
dal Dizionario Astronomico:
Ricca costellazione della via lattea settentrionale, in
forma di croce allungata vista come un cigno in volo. Era tra le 48 elencate da
Tolomeo (ca 140 dC) ed è a volte chiamata Croce del Nord
(8).
Contiene 11 stelle più luminose della 4° grandezza tra cui
Deneb (I grandezza) ed Abireo (stella doppia)".
In effetti questa costellazione - la costellazione del
Cigno - era già famosa dai tempi di Eratostene, che fu il primo a chiamarla
così.
Fu poi denominata da Ipparco Uccello, e in epoca
cristiana Croce, e ancora oggi si chiama Croce del Nord per
distinguerla dalla Croce del Sud, visibile solo dall'emisfero sud.
Gli arabi, grandi astronomi, le conferirono il nome poco
aulico di Gallina. Poi, nel 1627 l’astronomo gesuita Julius
Schiller (1580-1627) nel suo monumentale trattato Coelum Stellatum
Christianum, pubblicato ad Augusta, tentò di ristabilire il nome cristiano.
Schiller scelse anzi questo nome: Croce
sostenuta da sant’Elena.
Questa che appare come
semplice coincidenza, può implicitamente fornire una suggestiva ipotesi di
lavoro, come vedremo, se rapportata alla rappresentazione pittorica di Arezzo.
(C)(riproduzione riservata)
13/02/12
I funerali della Szymborska, a Cracovia, sotto la neve - IL VIDEO.
Ecco le immagini della cerimonia funebre per Wislawa Szymborska, tenutesi a Cracovia, lo scorso 9 febbraio.
Il presidente polacco Bronislaw Komorowski è tra le migliaia di persone che hanno partecipato ai funerali del premio Nobel morta lo scorso primo febbraio a 88 anni.
Alla cerimonia, tenutasi al cimitero Rakowicki di Cracovia, era presente anche il primo ministro Donald Tusk.
Le ceneri della poetessa sono state deposte nella tomba di famiglia, mentre risuonava la canzone 'Black coffee' di Ella Fitzgerald, la cantante preferita della Szymborska.
Fumatrice accanita e amante del caffè nero, proprio come il titolo del brano della Fitzgerald, l'autrice si è spenta per un cancro ai polmoni nella sua casa di Cracovia.
Il comitato per la consegna del Nobel l'aveva definita "il Mozart della poesia" per la capacità di fondere l'eleganza del linguaggio con "la furia di Beethoven".
fonte Lapresse
11/02/12
La poesia della domenica - 'Ti devo sussurrare qualcosa' di Josif Brodskij
Chinati, ti devo sussurrare all'orecchio qualcosa:
per tutto io sono grato, per un osso
di pollo come per lo stridio delle forbici che già un vuoto
ritagliano per me, perché quel vuoto è Tuo.
Non importa se è nero. E non importa
se in esso non c'è mano, e non c'è viso, né il suo ovale.
La cosa quanto più è invisibile, tanto più è certo che sulla terra è esistita una volta,
e quindi tanto più essa è dovunque.
Sei stato il primo a cui è accaduto, vero?
E può tenersi a un chiodo solamente ciò che in due parti uguali non si può dividere.
Io sono stato a Roma. Inondato di luce. Come
può soltanto sognare un frammento! Una dracma
d'oro è rimasta sopra la mia retina.
Basta per tutta la lunghezza della tenebra.
Josif Brodskij (Leningrado, 24 maggio 1940 – New York, 28 gennaio 1996) da "Poesie Italiane/Elegie romane"
08/02/12
Per dirmi che sei fuoco - Il nuovo libro.
Il nuovo libro che sta per uscire - dovrebbe essere in libreria dal giorno 16 - è il mio terzo romanzo, dopo Il giorno più bello per incontrarti e Cieli come questo, pubblicati entrambi da Fazi.
Per dirmi che sei fuoco è stato scritto tre anni fa, nel 2009, e riveduto ampiamente nello scorso anno.
Chi lo leggerà troverà molti riferimenti ai precedenti due romanzi, di cui in qualche misura rappresenta il complemento.
Anche qui, come nel primo, c'è la ricerca di un padre misterioso. Il pretesto narrativo però è fornito da una vera inchiesta giornalistica che realizzai qualche anno fa in cui ebbi occasione di conoscere da vicino le storie dei primi 'bimbi in provetta', nati alla fine degli anni '80, e delle peripezie che avevano portato alcuni di loro - una volta divenuti adulti - a scoprire di essere figli biologici di 'anonimi' donatori.
Il titolo è preso a prestito da una poesia di Giuseppe Ungaretti, che è protagonista indiretto di tutto il romanzo.
L'editore, Gaffi, con il quale non avevo mai pubblicato prima, ha creduto sin dall'inizio nel libro e sin dall'inizio ho percepito sintonia e affinità con il direttore editoriale Andrea Carraro, che è un ottimo e raffinato scrittore.
Un libro è una storia. E come ogni storia, essa a un certo punto ha preteso di essere raccontata.
06/02/12
La visione di Costantino e l'Arco di Malborghetto - 5. Il casale di Malborghetto.
5. Il casale di Malborghetto.
Ma dove avvenne
esattamente questa Visione ?
Per rispondere dobbiamo
spostarci un po’ fuori dell’Urbe. Risalire l’antica Via Flaminia, e raggiungere
il chilometro 19.
Come abbiamo visto
precedentemente, l'armata di Costantino, proveniente dal Nord Italia si
accampò, in quella fine di ottobre del 312 d.C. sulla Via Flaminia, prima del
combattimento finale con le truppe di Massenzio.
Considerando l’inizio dei
combattimenti, il quale avvenne nella piana di
Saxa Rubra, è presumibile che gli uomini di
Costantino si fossero accampati qualche chilometro prima, un po' più a monte, e
non è difficile ipotizzare che il luogo scelto dovesse essere prima della
collina di Prima Porta, dove oggi sorge il grande cimitero comunale, il più
esteso di Roma.
Il Casale di Malborghetto è un edificio rurale medievale,
che passa quasi inosservato agli occhi di chi transiti sulla Via Flaminia,
seminascosto com’è dalla vicina linea ferroviaria. Si presenta come un
comune palazzo alto e quadrato in mattoni di travertino adiacente ad una
piccola chiesa. Ma guardando appena più
attentamente non è difficile riconoscere il nucleo originale della costruzione,
rivelato dal diverso colore e dal diverso materiale usato nnella struttura
dell’edificio. Ben visibile si identifica il disegno di un imponente arco
quadrifronte romano, eretto, come risulta da vari indizi (tra i quali mattoni
con i bolli dell'età di Diocleziano) all'inizio del IV secolo a.C.
Eppure l’arco di Malborghetto, curiosamente, non è ricordato da alcun documento fino alla fine del Duecento, quando viene citato in un atto di compravendita della costruzione, ormai trasformata in un fortilizio.
Dopo vari trascorsi, tra
cui una devastazione attribuita agli Orsini nel 1485 (che a quanto pare
determinò il toponimo di Malborghetto), l'edificio (quel che ne restava)
risulta affittato verso la metà del 1500
da un farmacista milanese che viveva a Roma, in Via della Scrofa.
Questo personaggio portava il cognome Pietrasanta, e il nome di battesimo
proprio Costantino,
circostanza davvero curiosa. Ma all'epoca non vi era
nessuno, ovviamente, che mettesse in
relazione l'edificio con l'Imperatore romano.
Il Pietrasanta fece
restaurare la costruzione sotto il pontificato di Pio V, lasciandone futura memoria in una scritta di brutte
maioliche, ancora visibili, sul frontone sotto il tetto.
In seguito ci furono altri
restauri, finché ai primi del secolo, un archeologo tedesco - Fritz Toebelmann - studiò finalmente a fondo, per cinque
lunghi anni, il monumento giungendo alla conclusione che esso fosse stato
eretto per commemorare la vittoria di Costantino su Massenzio, trattandosi
dell'unico evento storico significativo accaduto nella zona in quel determinato
periodo storico. Toebelmann, prima di
morire ancora giovane nelle trincee della Grande Guerra, arrivò a tale convinzione
dopo aver minuziosamente esaminato i materiali di costruzione dell’edificio, e
aver rinvenuto, incassati nei muri, alcuni mattoni con impresso il bollo
dell’imperatore Diocleziano, circostanza che rese possibile datare con
precisione la costruzione del primo arco, come manufatto del IV. secolo dopo
Cristo (6).
Del resto le stesse dimensioni monumentali dell’Arco
(m.14,86 X 11,87 X 7) con i basamenti rapportabili a quelli dell'unico
quadrifronte sopravvissuto a Roma, quello del
Velabro, testimoniavano che l’Arco stesso dovesse essere stato costruito
in quel luogo a ricordo di un evento memorabile, e non poteva non collegarsi
alla Battaglia di Ponte Milvio.
Ma se un Arco avesse dovuto commemorare quella Battaglia,
questa è la nostra opinione, tale Arco monumentale avrebbe avuto molte più
ragioni di essere edificato proprio a Ponte Milvio (luogo della morte di
Massenzio), o nella zona di Saxa Rubra, dove la battaglia ebbe effettivamente
inizio.
Perché invece l’edificazione proprio in quel punto, distante
diversi chilometri sia da Ponte Milvio che da Saxa Rubra ?
Discende come conseguenza logica, a nostro avviso, proprio
dagli studi di Toebelmann l’ipotesi che l’arco abbia invece una stretta relazione con la VISIONE
di cui parlano Lattanzio e Eusebio di Cesarea.
(C)(riproduzione riservata)
05/02/12
La poesia della Domenica - "La strada che non presi" di Robert Frost.
LA STRADA CHE NON PRESI
Due strade divergevano in un bosco giallo
e mi dispiaceva non poterle percorrere entrambe
ed essendo un solo viaggiatore, rimasi a lungo
a guardarne una fino a che potei.
e mi dispiaceva non poterle percorrere entrambe
ed essendo un solo viaggiatore, rimasi a lungo
a guardarne una fino a che potei.
Poi presi l’altra, perché era altrettanto bella,
e aveva forse l’ aspetto migliore,
perché era erbosa e meno consumata,
sebbene il passaggio le avesse rese quasi simili.
e aveva forse l’ aspetto migliore,
perché era erbosa e meno consumata,
sebbene il passaggio le avesse rese quasi simili.
Ed entrambe quella mattina erano lì uguali,
con foglie che nessun passo aveva annerito.
con foglie che nessun passo aveva annerito.
Oh, misi da parte la prima per un altro giorno!
Pur sapendo come una strada porti ad un’altra,
dubitavo se mai sarei tornato indietro.
Pur sapendo come una strada porti ad un’altra,
dubitavo se mai sarei tornato indietro.
Lo racconterò con un sospiro
da qualche parte tra anni e anni:
due strade divergevano in un bosco, e io -
io presi la meno percorsa,
e quello ha fatto tutta la differenza.
da qualche parte tra anni e anni:
due strade divergevano in un bosco, e io -
io presi la meno percorsa,
e quello ha fatto tutta la differenza.
Two roads diverged in a yellow wood,
And sorry I could not travel both
And be one traveler, long I stood
And looked down one as far as I could
To where it bent in the undergrowth;
And sorry I could not travel both
And be one traveler, long I stood
And looked down one as far as I could
To where it bent in the undergrowth;
Then took the other, as just as fair,
And having perhaps the better claim,
Because it was grassy and wanted wear;
Though as for that the passing there
Had worn them really about the same,
And having perhaps the better claim,
Because it was grassy and wanted wear;
Though as for that the passing there
Had worn them really about the same,
And both that morning equally lay
In leaves no step had trodden black.
Oh, I kept the first for another day!
Yet knowing how way leads on to way,
I doubted if I should ever come back.
In leaves no step had trodden black.
Oh, I kept the first for another day!
Yet knowing how way leads on to way,
I doubted if I should ever come back.
I shall be telling this with a sigh
Somewhere ages and ages hence:
Two roads diverged in a wood, and I—
I took the one less traveled by,
And that has made all the difference.
Somewhere ages and ages hence:
Two roads diverged in a wood, and I—
I took the one less traveled by,
And that has made all the difference.
04/02/12
Riapre il "Caffè degli Specchi" a Trieste. I grandi caffè luoghi letterari per eccellenza.
Riapre a Trieste il Caffe' degliSpecchi. Lo storico locale frequentato da intellettuali e scrittori
della Mitteleuropa, chiuso a ottobre dello scorso anno per il
fallimento della vecchia gestione, riaprira' dopo il 1 marzo.
Il
caffe' letterario di Trieste, aperto dal 1839, e' stato frequentato
non solo da Italo Svevo e Umberto Saba, ma anche da James Joyce
durante i suoi soggiorni in Italia.
Trieste, ma non solo: dalla
brasserie Lipp e 'Les Deux Magots' di Parigi agli storici caffe' Greco
di Roma e Gambrinus di Napoli, i locali frequentati da scrittori e
intellettuali che hanno fatto la storia della letteratura sono
disseminati in tutto il mondo.
Il bar Richmond di Buenos Aires era lo storico caffe' prediletto
da Jorge Louis Borges e frequentato, fra gli altri, da Antoine de
Saint-Exupery, Julio Cortazar e Graham Greene. 'Les Deux Magots' a
Parigi, 'A Brasileira' a Lisbona, il Caffe' Greco a Roma, il Caffe'
dei Fratelli Fiorio a Torino e il Caffe' Gambrinus a Napoli, ad
esempio, erano luoghi amati e frequentati da scrittori, artisti e
letterati, abituati a ritrovarsi per lavorare nelle caffetterie della
grandi capitali. Oggi sono spesso solo luoghi di 'culto' turistico.
I grandi caffe' ospitavano discussioni filosofiche e artistiche,
ai loro tavoli sono nati manifesti politici e letterari, sono stati
organizzati complotti, tanto che "non si potrebbe scrivere una pagina
di storia ne' letteraria ne' artistica dell'Ottocento senza citare il
nome di un Caffe '", diceva Piero Bargellini, scrittore e politico
italiano, sindaco di Firenze durante l'alluvione del 1966. Andre' Gide o Andre Malraux, Antoine St Exupery,
Jean Genet, Balthus, Françoise Sagan, Jean Paul Sartre, Simone
Signoret con Yves Montand e Albert Camus, erano accomunati dalla
fedelta' alla Brasserie Lipp, storico locale in Boulevard Saint
Germain, chiamato dai francesi "la succursale della Camera dei
deputati".
L'autore de 'La recerche', Proust, si faceva addirittura portare
i boccali di birra alsaziana del Lipp dall'altra parte di Parigi. Dai
tavolini della Brasserie (ora lussuoso ristorante) l'Hemingway
giornalista scriveva i suoi dispacci pre-guerra.
Dopo un periodo di
crisi, la Brasserie Lipp e' gradualmente tornata ai suoi splendori, a
partire dal 1990, grazie alla famiglia Bertrand, che si impegna a
continuare la tradizione, profondamente influenzata dalle sue radici
dell'Auvergne.
A Parigi c'e' un altro luogo dove si possono ancora oggi
incontrare artisti e letterati: e' il Cafe' 'Les Deux Magots', che ha
sempre giocato un ruolo importante nella vita culturale della capitale
francese. In origine era un negozio di tessuti che vendeva biancheria
di seta, e che ha preso il nome 'Les Deux Magots Cina' da due statuine
di personaggi cinesi, tuttora esistenti. Frequentato da molti artisti
famosi tra cui Elsa Triolet, Jean Giraudoux, Picasso, Fernand Leger,
Prevert, solo per citarne alcuni, per primo ha accolto i surrealisti
sotto l'egida di Andre' Breton.
Dalle rive della Senna a quelle d'oceano. Al Cafe'
'A Brasileira' a Lisbona, invece, e' ancora possibile gustare il
caffe' con Fernando Pessoa. In questo locale, infatti, una statua
bronzea del poeta siede al tavolino che l'autore delle 'Odi di Ricardo
Reis' occupava quotidianamente, in contemplazione del passeggio che si
consuma, ancora oggi, sulle strade maiolicate del centro elegante di
Lisbona.
In tempi piu' recenti Joanne Kathleen Rowling ha scritto un bel
pezzo del primo romanzo della saga del maghetto Harry Potter a
Edimburgo, nella caffetteria 'The Elephant House', dove ora un grande
cartello annuncia orgoglioso al passante casuale il suo ruolo di Casa
natale di Harry Potter.
Alla fine del 19esimo secolo, a Oslo, invece, il famoso
drammaturgo Henrik Ibsen divenne un'attrazione turistica: ogni giorno,
tra le 13,20 e le 14, e tra le 18 e le 19,30, poteva essere trovato
presso il Cafe' del Grand Hotel di Oslo. Per ben nove anni riposo' e
scrisse, seduto in una poltrona su cui c'era un cartellino: "Riservato
Dr. Ibsen". Anche l'Italia e' ricca di belle sale da the' e da
caffe' che hanno dato riparo a grandi artisti e intellettuali: allo
storico Caffe' dei Fratelli Fiorio di Torino, Friedrich Wilhelm
Nietzsche scrisse 'Ecce homo'.
Aperto nel 1780, il Caffe' fu punto di
incontro di artisti, aristocratici e uomini politici tra i quali
Urbano Rattazzi, Massimo D'Azeglio, Giovanni Prati, Camillo Benso
Conte di Cavour, Giacinto Provana di Collegno, Cesare Balbo. Era
definito il "caffe' dei Machiavelli e dei Codini" perche' frequentato
nell'Ottocento da aristocratici e alti ufficiali.
Il luogo aveva assunto una reale rilevanza politica, al punto
che il Re Carlo Alberto di Savoia era abituato a chiedere che cosa si
dicesse al Caffe' Fioro.
Ma il piu' famoso Caffe' letterario e' forseil Caffe' Greco di via Condotti a Roma, poco lontano da piazza di
Spagna.
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03/02/12
La visione di Costantino e l'Arco di Malborghetto - 4. Il Labarum.
4. Il Labarum.
Ma come era fatto
esattamente questo simbolo, il Labarum ?
Ripartiamo dal racconto di
Eusebio di Cesarea, nel brano della Vita di Costantino I, 30-31,
e leggiamo:
" La sua foggia era la seguente. In un'alta asta
ricoperta d'oro s'innestava un braccio trasversale in modo da formare una
croce; in cima a tutto era fissata una corona intessuta di pietre preziose e
oro. Su questa corona due segni, indicanti il
nome di Cristo, mostravano per mezzo delle prime lettere ( con il rho che
si incrociava giusto nel mezzo ), il simbolo della formula salvifica:
l'imperatore prese poi anche in seguito questo monogramma inciso sul suo
elmo. Al braccio trasversale che era infisso
nell'asta, si trovava sospesa una tela di gran pregio... Di questo
segno salvifico l'imperatore si servì sempre contro tutte le forze avversarie e
nemiche, e ordinò che altri oggetti simili ad esso fossero messi alla testa di
tutti i suoi eserciti. "
Sappiamo, non soltanto da
questa descrizione, ma soprattutto dalle centinaia di riproduzioni su monete, e
monumenti che la foggia del Labarum era questa:
Un simbolo realizzato con le prime due lettere
dell'alfabeto greco della parola Cristo: Chi (χ) e Rho, (ρ).
Ma il Labarum ha
sempre comportato per gli storici un piccolo grande rompicapo. Per vari
motivi: Innanzitutto Lattanzio,
nonostante la descrizione particolareggiata della Visione, ignora il Labaro, e
non lo cita nel suo racconto. Lattanzio parla di un monogramma, ma non
specifica che si tratti del Labaro, così come è pervenuto fino a noi. In secondo luogo nelle molte scene
raffigurate sull'Arco di Costantino al Foro Romano, che
venne eretto soltanto tre anni dopo la battaglia, il Labarum non
compare, né è presente alcun indizio della miracolosa affermazione di quella
particolare protezione divina che era stata testimoniata, dice Eusebio, da così
tanti. Ciò può essere spiegato in parte con il fatto che, come è
risultato da recenti e approfonditi studi, l'Arco è un'opera ricavata da pezzi
di altri monumenti più antichi.
Nell'Arco di Costantino al Foro Romano,
come è noto, esiste in realtà una famosa
iscrizione nella quale si dice che l'imperatore ha salvato la res publica INSTINCTU
DIVINITATIS MENTIS MAGNITUDINE ("per
grandezza della mente e per istinto [o impulso] della divinità"). Questo riferimento così
generale, non indicante un simbolo specificatamente cristiano, ha fatto
ritenere da alcuni studiosi che la divinità in questione fosse nient'altro che
il Sol
Invictus — il Sole Invincibile (identificabile anche con
Apollo o Mitra)— inscritto anche sul conio costantiniano del
periodo. E’ del resto stato avanzato con molte ragioni l’argomento che
Costantino, da abile uomo politico, seppure fosse stato sinceramente convinto
di aver avuto contatto con una divinità nuova rispetto al parco degli
dei pagani adorati nell’Impero, ben difficilmente avrebbe osato sfidare la
benevolenza e il potere dei pretoriani romani, esponendo questa divinità nuova,
cristiana – del tutto invisa – in un arco monumentale appena eretto.
Oltretutto, il Labarum
fu sicuramente adottato in età costantiniana come simbolo assai diffuso, al punto
che Giuliano l'Apostata, fautore del ripristino
ad ogni livello del paganesimo, eliminò il segno sospetto dalle insegne
militari, cosicché il Labarum ricomparve
soltanto durante il regno degli imperatori successivi.
In conclusione: sembra certo, storicamente plausibile, che la Visione (o
Sogno) sia avvenuta. L'imperatore Costantino vide o credette di vedere un segno
divino. Ciò risulta dal raffronto di tutte le fonti, tra le quali
anche il celebre panegirico dell'Imperatore letto a Treviri nel 313, dopo che
Costantino ebbe incontrato Licinio a Milano, nel quale si parla di una 'mente
divina' rivelatasi soltanto a Costantino, e di una suggestione divina (divino
instinctu), che lo rese indifferente alle superiori forze di Massenzio.
Questa Visione (o Sogno) coincide con l'avvento della
concezione monoteistica, la quale irrompe nel mondo romano, raccogliendo
l'eredità del culto del Sol Invictus, ma identificandosi ben presto con
il Cristo dei Cristiani.
E' certo inoltre, che sul destino della celebre Visione
ebbe grande importanza la propaganda compiuta da Eusebio di Cesarea e dei suoi
successori. Eusebio scrive la sua Vita di Costantino
parecchi anni dopo la Battaglia di Ponte Milvio, e mosso sostanzialmente dalla
esigenza di sistematizzare la vicenda del "più grande degli
Imperatori" in un quadro teologico-divino che avrebbe trovato compiutezza
con il battesimo e la conversione al cristianesimo dello stesso Costantino avvenuta
in punto di morte. (4 - segue)
02/02/12
I Dieci Comandamenti oggi, nella rilettura di Massimo Cerofolini.
Una iniziativa davvero bellissima è quella che la trasmissione di Radio1 rai, IL VIAGGIATORE, ha dedicato alla rilettura moderna, contemporanea, dei Dieci Comandamenti.
Massimo Cerofolini, il conduttore e autore del ciclo di trasmissioni, ha intervistato nel corso delle dieci puntate, prestigiosi ospiti appartenenti ai più diversi campi del sapere. E quel che ne è venuto fuori è davvero un affresco molto suggestivo, che parla a tutti noi.
QUI il sito ufficiale.
E per chi avesse perso le trasmissioni, di seguito la possibilità di scaricare i podcast.
IL DECALOGO, BUSSOLA DI IERI PER LA VITA DI OGGI
Si può credere in Dio nell’era della scienza e della modernità? Si possono santificare le feste in un tempo in cui alla domenica i centri commerciali hanno preso il posto delle chiese? Si può non desiderare la roba degli altri quando tutto intorno a noi è fatto per accenderci questo desiderio? “Il viaggiatore” di Radio 1 Rai è andato a verificare nei luoghi della nostra vita quotidiana l’efficacia odierna dei Dieci comandamenti della Bibbia. Per scoprire se dopo tremila anni queste istruzioni per l'uso della vita abbiano ancora qualcosa da dirci. Intervengono i protagonisti della cronaca, e poi studiosi della società, scrittori, economisti, giuristi, psicologi, teologi e esponenti delle grandi religioni.
Per scaricare le singole puntate in mp3, cliccare sulla data in azzurro e poi aprire il podcast. In caso di problemi di ascolto, si consiglia l'aggiornamento gratuito del programma audio, per esempio dal sito www.real.com.
"Io sono il Signore Dio tuo" (Puntata del 30 gennaio 2011)
"Non ti farai idoli" (Puntata del 27 febbraio 2011)
"Non nominare il nome di Dio invano" (Puntata del 27 marzo 2011)
"Ricordati di santificare le feste" (Puntata del 24 aprile 2011)
"Onora il padre e la madre" (Puntata del 29 maggio 2011)
"Non uccidere" (Puntata del 26 giugno 2011)
"Non commettere adulterio" (Puntata del 25 settembre 2011)
"Non rubare" (Puntata del 27 novembre 2011)
"Non dire falsa testimonianza" (Puntata del 30 ottobre 2011)
"Non desiderare la donna e la roba d'altri" (Puntata del 25 dicembre 2011)
"Ama il prossimo tuo" (Puntata del 29 gennaio 2012)
Io sono il Signore tuo Dio
Che senso hanno i dieci comandamenti nell'era di internet e dei centri commerciali? Comincia oggi, e per ogni ultima domenica del mese, un viaggio del nostro programma lungo tre millenni per capire se ha ancora un senso il decalogo della Bibbia. Partiamo con la prima "parola" consegnata da Dio a Mosè: "Io sono il Signore tuo Dio". Intervengono il pastore valdese Paolo Ricca, il teologo Piero Coda, l'attore Moni Ovadia, gli scienziati Maurizio Porfiri e Stefano Sandrelli, il filosofo Marco Guzzi, il musicista Franco Battiato e il costituzionalista Gustavo Zagreberlsky. Come sempre gli interventi sul crimine di Cinzia Tani e le stelle di Juppiter.
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