25/07/24

"La Sposa Liberata" di Abraham Yehoshua, un romanzo fiume che appassiona e interroga

 




La questione morale che potrebbe racchiudere le intere 600 pagine di questo meraviglioso romanzo di Yehoshua potrebbe essere questa:

l'amore che proviamo e ci lega per qualcuno: figli, mogli, mariti, genitori [ci] autorizza a conoscere di lui/lei/loro qualsiasi segreto che sia per lui/lei/loro fonte di grande sofferenza?
Rivlin, il professore di studi mediorientali di Haifa, vicino alla pensione, che non ha superato il trauma del divorzio del figlio dopo 1 solo anno di matrimonio per qualcosa che non è stato mai rivelato, risponderebbe di sicuro: sì.
Ed è infatti quello che fa nel corso dell'intera vicenda: non può rassegnarsi a questo dolore muto e continua a investigare come e quanto può con il suo metodo da storico professionista, nel groviglio di affetti malati e passioni non confessabili.
Haghit invece, la moglie del professore, che è magistrato e giudice di processi penali risponderebbe: no. Non è giusto. Lei vive nel presente e nella accettazione di stati di fatto che non possono essere cambiati.
No risponderebbe anche Ofer, il figlio ferito. Il diritto a conoscere viene molto, molto dopo, la speranza di amare e di essere amato.
Forse, risponderebbero invece Fuad, Rashed, Samaher, e tutti gli altri personaggi arabi che si muovono nel racconto: il passato è per davvero conoscibile? O è solo una illusione pensare di poterlo afferrare? Non potrà farlo invece solo la poesia o un racconto allegorico?
Uscito nel 2001, "La sposa liberata" esprime il culmine dell'arte di Yehoshua, un grande maestro che si è formato sui grandi modelli tolstojani: ogni movimento narrativo sottende e sviluppa uno smottamento emotivo, psicologico o sentimentale. Ogni frammento ogni apparente diversione del racconto rafforza invece la crescita del fusto centrale, spinge il lettore a inoltrarsi nel folto frondoso delle intenzioni e delle circostanze e nel nascosto di radici profonde, motivazioni paure e dolori solo parzialmente sepolti.
Un libro che si gode interamente senza pause perfino con l'ansia di doversi separare da personaggi che diventano persone vicino a noi e agiscono come e dove noi agiremmo con i loro stessi palpiti.
Al contempo è anche un romanzo da cui si impara tanto e che dice su quella zona di mondo e su chi la abita, palestinesi, arabi, ebrei, israeliani, askenaziti, drusi e cristiani - e sui loro tragici conflitti - più di quanto si possa apprendere da pile di articoli di giornale o inconcludenti talk show.
Yehoshua è stato sempre uomo del dialogo, e non avrebbe potuto essere niente di diverso.
Il suo punto di vista infatti non è mai solo "il suo punto di vista". Come un magico stroboscopio la sua penna ci offre - sempre in movimento - il cuore e i fatti di molti e importanti personaggi senza mai abbandonare neanche per una pagina, il "suo" Rivlin che resta sempre al centro: un dolente eroe bellowiano che non si arrende, che non vuole declinare, che vorrebbe provare a comprendere il mondo anche se tutti intorno a lui gli dicono che vivere senza comprendere è non solo più conveniente, ma anche molto, molto più facile.

Fabrizio Falconi - 2024

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