Meritevole l'editore Nottetempo che sta da diversi anni stampando l'opera di Byung-Chul Han, nato a Seul 60 anni fa, filosofo tedesco-sud coreano con un passato nella metallurgia e brutale critico della Rete e del globo interconnesso, considerato uno dei piú interessanti filosofi contemporanei, docente di Filosofia e Studi Culturali alla Universität der Künste di Berlino.
Ne La salvezza del bello, edito nel 2015 in Germania (2019 in Italia), Byung-Chul Han si interroga sulla trasformazione dell'idea della bellezza nella società dei consumi digitale, sul cambiamento di percezione e sul significato stesso del bello.
Nel mondo di oggi, scrive Byung-Chul Han, "nulla ha consistenza e durata. Di fronte alla radicale contingenza (del mondo digitale, dove tutto è qui e ora ndr.) si risveglia la nostalgia di ciò che vincola a un impegno e che trascende la quotidianità. Oggi ci troviamo in una crisi del bello proprio perché il bello è stato levigato divenendo oggetto del piacere, del like, del piacevole e confortevole. La salvezza del bello significa la salvezza di ciò che vincola e impegna a una responsabilità."
Per quanto quindi il titolo possa essere equivocato, Byung-Chul Han non parla della "bellezza che salva", intesa in senso dostoevskijano, ma della responsabilità, oggi fondamentale per tutti, di "salvare il bello", di preservarlo dalla prosaicità dittatoriale della vita per come essa è diventata.
Dostoevskij infatti aveva detto che solo la bellezza ci salverà. Ma oggi è il bello stesso a dover essere messo in salvo, recuperando l’integralità della sua esperienza che l’epoca digitale fa svanire di giorno in giorno.
Questo è l’intento del saggio di Byung-Chul Han, che ripercorre momenti essenziali del pensiero europeo sul bello, da Platone a Nietzsche e Adorno, per mostrare con vigorosa persuasività la deriva estrema della nostra esperienza estetica.
L’estetizzazione diffusa, la veloce proliferazione di immagini levigate e consegnate al consumo, dove conta solo il mero presente della piú piatta percezione, conducono a una fondamentale anestetizzazione.
Nulla piú accade e ci riguarda nel profondo, e cosí l’arte stessa diventa, come già aveva avvertito Nietzsche, solo occasione di una momentanea eccitazione.
Ma l’originaria esperienza del bello è invece una scossa estatica che ci trasforma e si prolunga anche nella vita etica e politica.
La bellezza non rimanda al sentimento di piacere, ma a un’esperienza di verità.
“Tu devi cambiare la tua vita”: il monito che promana dal Torso arcaico di Apollo nell’omonima poesia di Rilke è la parola che il bello ci rivolge attraverso questo libro.
Nessun commento:
Posta un commento
Se ti interessa questo post e vuoi aggiungere qualcosa o commentare, fallo.