In tempi così come quelli che stiamo vivendo, questo libro è ossigeno puro. L'ha pubblicato da poche settimane l'editore Adelphi, nella Collana dei casi, e lo ha scritto un grande giornalista sportivo americano, erede di quella tradizione anglosassone che prende molto sul serio lo sport e l'avventura, nobilitandola come genere letterario. E' perciò un libro colto e divertente, da cui si impara molto. Ed è anche un libro di viaggi o un "libro in viaggio", una sorta di Bruce Chatwin più leggero e ironico, ma con la medesima curiosità dettata dal gusto per la scoperta, dell'altrove come luogo dell'affascinante.
Brian Phillips - come scrive Davide Coppo che lo ha intervistato per Rivista Studio - è americano, ama il calcio (e tante altre cose, ma principalmente il calcio) e ne scrive per lavoro. Ha un sito, si chiama The Run of Play, e scrive anche per Grantland, una delle migliori riviste (e sito online) e siti di sport e pop del panorama web. Brian può essere definito una delle migliori penne sportive del pianeta senza eccedere in adulazione. Quello che fa è difficilmente descrivibile, è una sorta di mix tra cultura pop, cultura sportiva, e cultura letteraria. Qualcosa - scrive Coppo - che ti fa vedere le cose da punti di vista completamente inediti.
Le Civette impossibili è un libro composito, fatto di storie apparentemente del tutto scollegate ambientate in angoli diversissimi del pianeta. Alcune di queste parti ricalcano il format del reportage giornalistico, arricchendolo però con una vena narrativa pura e brillante dentro la quale l'autore entra e esce nel ruolo di voce narrante e/o testimone.
Anche quando si comincia a conoscere Brian Phillips, come è scritto nella bandella – dopo aver partecipato con lui a una corsa di cani da slitta attraverso l’Alaska, o essersi fatti spiegare in dettaglio il complicatissimo rituale dell'antica arte del Sumo giapponese –, è difficile capire dove porterà la prossima tappa: senza preavviso, ci si può ritrovare fra le tigri (e i cacciatori di tigri) della giungla indiana, nella dacia di Jurij Norštejn a parlare del suo Cappotto (e del perché non si decida a finirlo), o nelle vene dell’America profonda in cui Phillips è cresciuto. Quel che però è certo è che passando il tempo insieme a Phillips è impossibile annoiarsi, e non essergli grati per le infinite sorprese che ogni viaggio, non importa se in un altro continente o nel cinema vicino a casa, finisce per riservare.
Un libro da consigliare e da leggere con vero piacere.
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