pubblico qui di seguito un interessantissimo articolo comparso sul quotidiano Avvenire il 5 gennaio scorso, a proposito della figura del secondo patriarca del Vecchio Testamento, Isacco e del suo celebre sacrificio.
Il dibattito. Isacco disabile mentale? Lo strano caso del secondo patriarca
Lo studioso don Marmorini rilancia l'ipotesi che il figlio di Abramo fosse Down o autistico. E rilegge il sacrificio: «Dio chiese ad Abramo di prendersi cura di un figlio con un disagio psichico»
“Il sacrificio di Isacco” di Caravaggio (1571-1610)
E se Isacco fosse stato un “neurodiverso”, un uomo con problemi mentali, un figlio autistico di un padre anziano? Nelle pagine della Bibbia si incontrano numerosi disabili fisici: ciechi, paralitici, epilettici, sordi. Ma non emerge la disabilità psichica. «Forse perché occorre scavare più a fondo. Non è possibile che la Scrittura faccia finta che non esistano i nevrotici, i Down, i ritardati mentali», spiega don Gianni Marmorini. Parroco a Papiano, piccolo abitato in provincia di Arezzo ma nella diocesi di Fiesole, già impegnato nella Fraternità di Romena, è un cultore della Parola. E il suo articolato percorso di studi fra il Pontificio Istituto Biblico e la Pontificia Università Gregoriana di Roma lo ha portato a scrivere – in cinque anni – e a pubblicare di recente un volume che sta suscitando un interessante dibattito: Isacco. Il figlio imperfetto (Claudiana, pagine 221; euro 19,50). «Un inno al limite», lo ha definito nella presentazione don Massimo Grilli, docente di teologia biblica alla Gregoriana. E l’ipotesi di Marmorini è stata ampiamente citata da padre Giulio Michelini, il frate minore francescano professore di Sacra Scrittura all’Istituto Teologico di Assisi che nel 2017 è stato chiamato da papa Francesco a predicare gli esercizi spirituali di Quaresima alla Curia Romana.
L’idea che il secondo patriarca d’Israele avesse un “deficit” non è nuova di per sé. Ma non si tratta semplicemente della cecità senile di cui molto si è detto, ma di una disabilità ben diversa, psichica, magari frutto di cause genetiche. È l’interpretazione che Haim Baharier, studioso francese di ermeneutica nato da genitori ebrei d’origine polacca, ha fatto sua e che sta divulgando in Italia, sostenuta anche da altri rabbini sia ortodossi (come Harold Kushner) sia riformati. «Isacco è il “figlio della promessa”: una promessa che ha cambiato la storia dell’umanità – avverte Marmorini –. Eppure la sua figura risulta indefinibile, inconsistente. Nasce e cresce; si sposa, genera figli e muore; non delude e non inorgoglisce nessuno. Passa quasi senza essere visto. Niente nella sua vita lascia immaginare che farà scaturire una discendenza numerosa come le stelle del cielo. È un fragile. E lo si comprende fin da quando viene alla luce. Sorprende ad esempio il silenzio del centenario Abramo al momento della nascita di un figlio tanto atteso e desiderato. Abramo non proferisce parola, mentre la madre Sara si affida a frasi ironiche. Lo stesso nome Isacco, che significa “colui che ride”, rimanda in ebraico a un sorriso amaro: infatti il verbo yitzchak, ridere appunto, non ha un’accezione positiva nella Bibbia».
Gran parte del lavoro del sacerdote toscano si basa sul testo ebraico con un’esegesi che ritocca in più punti la traduzione italiana. Attraverso l’analisi narrativa Marmorini imbastisce una sorta di processo indiziario raccogliendo fra le pieghe della Scrittura una serie di elementi che, a suo dire, potrebbero far ritenere Isacco un “imperfetto”. «Un uomo talmente debole – osserva l’autore – che sarebbe assurdo non pensare a una persona con tante difficoltà se non addirittura, come in parte ha già fatto il Midrash, a un individuo segnato da qualche forma di menomazione mentale». I capitoli sono quelli della Genesi che vanno dal 21 al 35. «Isacco nasce da genitori ormai in là con gli anni. Per di più Abramo e Sara sono fratello e sorella da parte del padre», riflette Marmorini. E questi possono essere considerati i primi segnali di un possibile handicap. «Oltremodo emblematico è il capitolo 24, detto del matrimonio. Isacco che ha almeno 37 anni non si occupa delle nozze. E la scena del fidanzamento al pozzo vede l’assenza del futuro sposo. Al suo posto c’è il servo di Abramo che dialoga con Rebecca. Altrettanto significativo l’incontro fra i due nubendi: mentre l’attenzione di Isacco si fissa sui cammelli, pur essendo Rebecca una donna bellissima, lo sguardo della futura moglie coglie subito il volto di colui che dovrà sposare e, racconta il testo ebraico, Rebecca vedendolo “cade rovinosamente” dal cammello. Uno stile sarcastico per descrivere Isacco. Poi, una volta entrati insieme nella tenda, tenda e giaciglio che furono di Sara, la Scrittura evidenzia che Isacco trova “conforto dopo la morte della madre”. Come interpretare il susseguirsi di questi avvenimenti? Forse Abramo, dopo la morte della moglie, si preoccupa che un’altra “madre” si prenda cura del figlio difficile».
Quindi ecco il confronto impietoso con il fratello “perfetto” Ismaele o il facile raggiro di Rebecca e Giacobbe per carpirgli la benedizione. «Tutte circostanze che testimoniano come il secondo patriarca sia uno “scarto”, qualcuno che non è all’altezza della vita così complessa anche in quelle epoche lontane o comunque con evidenti difficoltà relazionali e non solo», suggerisce il sacerdote. Certo, Isacco ha due figli: Esaù e Giacobbe. «È vero che i disturbi mentali sono spesso associati all’infertilità – replica lo studioso –; però può esistere un livello di queste sindromi, denominato minus, che consente di procreare». Ma quale patologia avrebbe “colui che ride”? «Impossibile identificarla con certezza. Tuttavia questa imperfezione invita chiunque a identificarsi con Isacco. Infatti lui è lo specchio di chi fa ogni giorno l’esperienza del proprio limite, della propria fragilità, di chi si sente invisibile agli occhi del mondo».
“Il sacrificio di Isacco” di Andrea del Sarto (1486-1530)
Nell’impianto di Marmorini viene rivisto anche il noto episodio del sacrificio (mancato) di Isacco da parte del padre Abramo. «In ebraico esiste una particolare costruzione sintattico-grammaticale che evoca un fatto già avvenuto, una notizia che il narratore si premura di dare al lettore che altrimenti potrebbe non comprendere quello che sta accadendo. E nel racconto in questione la troviamo. Così la frase iniziale “Dio mise alla prova Abramo” può essere tradotta anche con “poiché Dio aveva messo alla prova Abramo”. Qual era la prova a cui il Signore lo aveva già sottoposto? Quella di farsi carico di un figlio ritardato. Nella lettura tradizionale il padre che, per volere di Dio, alza la mano contro il figlio rappresenta una dimostrazione di fede. Secondo questa diversa interpretazione, la fede si esprime nel prendersi cura di chi non sembra essere perfetto e nel credere che attraverso uomini deboli la benedizione dell’Altissimo arriverà a tutti i popoli della terra. Allora l’episodio del sacrificio perde i connotati di paura e terrore e diventa icona di chi si confronta con il limite umano, di una fede che si manifesta nella responsabilità di amare l’“ultimo”. Pertanto Isacco non è più il personaggio senza volto, ma una speranza del mondo».
Il sacerdote ha coinvolto nella sua indagine la comunità parrocchiale, i gruppi che guida, gli amici. «E ho presentato questa versione anche ad alcune famiglie con disabili mentali. Quando leggevo loro gli appunti, ho visto i genitori piangere perché si sentivano capiti nel profondo». Accanto a una pastorale della disabilità, c’è bisogno di una teologia della disabilità? «Se, come annota san Paolo nella prima Lettera ai Corinzi, “Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti” – conclude Marmorini –, un patriarca toccato da disordini psichici è perfettamente coerente e si inserisce a pieno nel testo biblico. Ritenere Isacco un disabile dice l’alterità assoluta di Dio in modo certo e radicale, più di qualsiasi altra attestazione. E la Bibbia diventa davvero un “libro altro” che presenta fra i suoi campioni un autistico o un Down. In quale altro ambito o religione un disabile mentale viene ricordato nella storia? E l’handicap, questa alterazione della natura, nella misura in cui viene accettato e vissuto con amore, rende l’uomo più umano e gli rivela la possibilità di andare oltre la natura stessa e di legarsi per sempre all’eterno».
Fonte:
per AVVENIRE
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