E' ormai un nome quasi leggendario quello di Cristina Campo, nella vicenda letteraria italiana.
Si tratta dello pseudonimo della poetessa e scrittrice Vittoria Guerrini nata a Bologna nel 1923 e spentasi prematuramente a Roma nel 1977, minata da una malattia al cuore che condizionò la sua intera esistenza.
Formatasi su studi privati, cresciuta nel culto della bellezza e animata da un'incoercibile tensione alla perfezione, etica non meno che estetica - come scrive la voce a lei dedicata dalla Treccani - fu grandemente influenzata dal pensiero di Simone Weil, e negli ultimi anni si dedicò allo studio dei mistici e della grande tradizione liturgica del cristianesimo, cattolico romano e orientale.
Ciò che alimenta il mito della Campo, è l'estrema esiguità della sua produzione poetica: pubblicò in vita soltanto un'esile raccolta di versi (Passo d'addio, nel 1956), alcuni articoli su riviste e due volumetti di saggi (Fiaba e mistero e altre note, 1962; Il flauto e il tappeto, 1971).
Tutto ciò in ossequio ad un rigore e ad una autodisciplina quasi maniacale, bene espressa dalla frase che amava ripetere a proposito di se stessa, a mo' di precoce epitaffio: "Ha scritto poco, e le piacerebbe aver scritto ancora meno."
Ciò nonostante, il nome di Cristina Campo è divenuto oggetto di devozione prima nell'ambiente degli esperti di cose letterarie, e poi tra i lettori, dopo la pubblicazione di un ristretto corpus dei suoi scritti, a partire da Gli imperdonabili (1987), in cui è raccolta l'intera opera saggistica e che trae il titolo dal saggio dedicato ai poeti, ovvero all'imperdonabile amore della perfezione.
A quel libro, pubblicato da Adelphi, ha fatto seguito La tigre assenza (a cura di M. Pieracci Harwell, 1991), che raccoglie le poesie, edite, inedite e sparse, e le traduzioni dei poeti più amati.
Nella bandella sono riportate due frasi, l'una di Ezra Pound: «Poesia è l’arte di caricare ogni parola del suo massimo significato», l'altra di Simone Weil: «che ogni parola abbia un sapore massimo», che bene esprimono le regole convergenti a cui Cristina Campo si è sempre attenuta, sia nel suo lavoro di traduttrice, che nella sua attività di poeta.
Tutta la sua opera in versi è così racchiusa nelle prime 50 pagine di questo libro, cui fa seguito però una gloriosa carrellata di traduzioni che vanno da Simone Weil, a John Donne, da Hofmannsthal all'amatissimo W.C. Williams, da Herbert a Giovanni della Croce, fino a Emily Dickinson.
Più che traduzioni, queste di Cristina Campo, sono esercizi di metafisica, dove ogni parola è distillata come il risultato di una potente e misteriosa alchimia.
Di certo tra le più grandi traduzioni in lingua italiana di questi poeti.
In Passo d’addio sono raccolte tutte le rare poesie scritte dalla Campo che ci offrono visioni terse e piene di pathos: "Devota come ramo/ curvato da molte nevi/ allegra come falò/ per colline d'oblio."
" T'ho barattato, amore, con parole." " La luce tra due piogge, sulla punta di fiume che mi trafigge";
fino al poemetto Diario bizantino, che apparve pochi giorni dopo la sua morte. E forse da questi ultimi versi, , da un «mondo celato al mondo, compenetrato nel mondo, / inenarrabilmente ignoto al mondo», occorrerebbe partire per capire tutta Cristina Campo. Una voce davvero unica nel firmamento della poesia italiana, difficilmente assimilabile a qualunque altra del nostro tempo.
Fabrizio Falconi
Cristina Campo Si tratta dello pseudonimo della poetessa e scrittrice Vittoria Guerrini nata a Bologna nel 1923 e spentasi prematuramente a Roma nel 1977, minata da una malattia al cuore che condizionò la sua intera esistenza.
Formatasi su studi privati, cresciuta nel culto della bellezza e animata da un'incoercibile tensione alla perfezione, etica non meno che estetica - come scrive la voce a lei dedicata dalla Treccani - fu grandemente influenzata dal pensiero di Simone Weil, e negli ultimi anni si dedicò allo studio dei mistici e della grande tradizione liturgica del cristianesimo, cattolico romano e orientale.
Ciò che alimenta il mito della Campo, è l'estrema esiguità della sua produzione poetica: pubblicò in vita soltanto un'esile raccolta di versi (Passo d'addio, nel 1956), alcuni articoli su riviste e due volumetti di saggi (Fiaba e mistero e altre note, 1962; Il flauto e il tappeto, 1971).
Tutto ciò in ossequio ad un rigore e ad una autodisciplina quasi maniacale, bene espressa dalla frase che amava ripetere a proposito di se stessa, a mo' di precoce epitaffio: "Ha scritto poco, e le piacerebbe aver scritto ancora meno."
Ciò nonostante, il nome di Cristina Campo è divenuto oggetto di devozione prima nell'ambiente degli esperti di cose letterarie, e poi tra i lettori, dopo la pubblicazione di un ristretto corpus dei suoi scritti, a partire da Gli imperdonabili (1987), in cui è raccolta l'intera opera saggistica e che trae il titolo dal saggio dedicato ai poeti, ovvero all'imperdonabile amore della perfezione.
A quel libro, pubblicato da Adelphi, ha fatto seguito La tigre assenza (a cura di M. Pieracci Harwell, 1991), che raccoglie le poesie, edite, inedite e sparse, e le traduzioni dei poeti più amati.
Nella bandella sono riportate due frasi, l'una di Ezra Pound: «Poesia è l’arte di caricare ogni parola del suo massimo significato», l'altra di Simone Weil: «che ogni parola abbia un sapore massimo», che bene esprimono le regole convergenti a cui Cristina Campo si è sempre attenuta, sia nel suo lavoro di traduttrice, che nella sua attività di poeta.
Tutta la sua opera in versi è così racchiusa nelle prime 50 pagine di questo libro, cui fa seguito però una gloriosa carrellata di traduzioni che vanno da Simone Weil, a John Donne, da Hofmannsthal all'amatissimo W.C. Williams, da Herbert a Giovanni della Croce, fino a Emily Dickinson.
Più che traduzioni, queste di Cristina Campo, sono esercizi di metafisica, dove ogni parola è distillata come il risultato di una potente e misteriosa alchimia.
Di certo tra le più grandi traduzioni in lingua italiana di questi poeti.
In Passo d’addio sono raccolte tutte le rare poesie scritte dalla Campo che ci offrono visioni terse e piene di pathos: "Devota come ramo/ curvato da molte nevi/ allegra come falò/ per colline d'oblio."
" T'ho barattato, amore, con parole." " La luce tra due piogge, sulla punta di fiume che mi trafigge";
fino al poemetto Diario bizantino, che apparve pochi giorni dopo la sua morte. E forse da questi ultimi versi, , da un «mondo celato al mondo, compenetrato nel mondo, / inenarrabilmente ignoto al mondo», occorrerebbe partire per capire tutta Cristina Campo. Una voce davvero unica nel firmamento della poesia italiana, difficilmente assimilabile a qualunque altra del nostro tempo.
Fabrizio Falconi
La Tigre Assenza
A cura di Margherita Pieracci Harwell
Biblioteca Adelphi
1991, 6ª ediz., pp. 316
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