Di questi tempi, è bene ricordare le vicende del nostro passato - non così lontane come sembrano.
Il 5 settembre 1924, mentre sta uscendo di casa, Piero Gobetti, giornalista, filosofo, editore e traduttore, all'epoca ventiquattrenne, viene aggredito sulle scale e selvaggiamente picchiato dalle squadracce fasciste.
Costretto a espatriare in Francia con la moglie Ada Prospero, conosciuta a quindici anni, nel febbraio del 1926 Piero, mai più riavutosi dalle ferite, muore.
Ada rimane sola, con il bambino Paolo di pochi mesi. Queste le strazianti parole di Ada, sul suo diario, scritte nel settembre del 1926:
"Non è vero, non è vero: tu ritornerai. Non so quando, non importa, non importa. Ritornerai e il tuo piccolo ti correrà incontro e tu lo solleverai tra le tue braccia. E io ti stringerò forte forte e non ti lascerò più partire, mai più. È un vano sogno, tutto questo, una prova a cui hai voluto pormi: tu mi vedi, mi senti: e io saprò mostrarmi degna del tuo amore. Quando ti parrà che la prova sia durata abbastanza, tornerai per non più lasciarmi. Saranno passati molti anni ma immutati splenderanno i tuoi occhi e ritroverò le espressioni di tenerezza della tua voce. Mio caro, mio piccolo mio amore, ti aspetterò sempre: ho bisogno di attenderti per vivere".
Questi due tra i tanti brani scritti da Piero Gobetti, che gli valsero la persecuzione e l'uccisione da parte dei fascisti. Incredibile la lucidità di questo giovane, tanto più che Piero scrisse questo soltanto un anno dopo la Marcia su Roma e l'avvento al potere di Mussolini:
"Il mussolinismo è [...] un risultato assai più grave del fascismo stesso perché ha confermato nel popolo l'abito cortigiano, lo scarso senso della propria responsabilità, il vezzo di attendere dal duce, dal domatore, dal deus ex machina la propria salvezza."
"Egli [Benito Mussolini] non ha nulla di religioso, sdegna il problema come tale, non sopporta la lotta con il dubbio: ha bisogno di una fede per non doverci più pensare, per essere il braccio temporale di un'idea trascendente. Avrebbe potuto riuscire il duce di una Compagnia di Gesù, l'arma di un pontefice persecutore di eretici, con una sola idea in testa da ripetere e da far entrare "a suon di randellate" nei "crani refrattari". "
Entrambi i brani sono tratti da: Piero Gobetti, 'La rivoluzione liberale.'
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