Lungo la Via Appia a Roma, tombe e lapidi formano l’inesauribile campionario delle cose e delle anime perdute.
In un columbarium, su di una stele in onore della defunta, si leggono queste parole:
Chiunque legga questa iscrizione, se è un giovane che ama la sua donna, si astenga dall’avvolgerle d’oro le braccia, anche se ella ti cinge il collo con le sue braccia adorne e ti supplica di poter indossare doni all’altezza dei suoi meriti, accontentala nelle vesti, ma lascia stare i gioielli: si terranno alla larga ladri e seduttori. Fu infatti un serpente vistoso sulle sue braccia a provocare la morte della mia signora, e a me il marito, ha colpito il cuore, e la ferita la porterò per sempre (1).
Perduta è questa donna, perduto l’uomo innamorato che ha lasciato questa orazione, perduto l’oggetto d’oro che causò una così dolorosa scomparsa.
Le circostanze non sono chiare: per quanto ne sappiamo il bracciale d’oro fu probabilmente l’occasione di una rapina finita male: uccidere la donna per portarle via quel prezioso gioiello, andato anch’esso perduto.
Trafugato dai ladri, forse venduto, finito in chissà quale tomba o disperso nell’oblio.
Un epitaffio dunque che registra una doppia mancanza: della cosa e della persona.
Allo stesso tempo è anche la testimonianza di qualcosa che non si è del tutto perso ed è ombra, cioè sopravvivente memoria.
L’ombra dei morti che affollano le camere segrete della Via Appia, le catacombe, i tumuli e i mausolei tiene compagnia ai vivi, li scuote e li costerna, non li lascia in pace, ne reclama l’attenzione.
Ogni rovina è fondata su una perdita.
Ogni civiltà, ogni stirpe, ogni generazione sembra destinata a lasciare dietro di sé qualcosa che si perde, senza perdersi mai del tutto.
Le ombre si allungano sulla civiltà occidentale, che molti oggi vedono al tramonto. D’altronde, come si sa, la stessa parola “occidente” rimanda al tramonto: occidente è il luogo dell’ombra, dove il sole va a tramontare. Il luogo dove i giorni e le cose finiscono e vanno a finire precipitando nell’ombra.
In questa heideggeriana condizione, decadente e prolungata, gli spiriti più inquieti sono anche i più lucidi, i più profetici. Sono gli spiriti liberi che albergano ovunque e passano inosservati, oppure lasciano la fatica dell’opera.
(1) C.I.L. VI, 5302, da un Colombario di Roma
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