Tornano, in nuova e bellissima edizione, nella traduzione di Alessandro Roffeni, 5 racconti di Herman Melville, tra cui il famosissimo Bartleby, pubblicato per la prima volta nel 1853 sul "Putnam's Monthly Magazine", due anni dopo il clamoroso insuccesso si Moby Dick che, uscito nel 1851, non portò al suo autore né vendite né riconoscimenti.
Prossimo alla rovina finanziaria e dopo che un incendio aveva distrutto molte copie dei suoi libri nella sede della casa editrice di New York, Melville a 33 anni avvertiva la propria carriera di scrittore già volta al termine.
Eppure, non interruppe del tutto la sua produzione, tornando a lavorare in solitudine ai racconti e a L'uomo di fiducia, l'ultimo romanzo (pubblicato nel 1857) che avrebbe visto le stampe mentre l'autore era in vita, cioè fino al 1911, anno della morte di Melville.
Lo scrittore dunque decise, pochi anni dopo averlo creato, di imitare il suo Bartleby, il protagonista del suo celebre racconto: come lo scrivano "preferisce" non scrivere più scegliendo in pratica il suicidio, così lo scrittore deluso - come scrive Alessandro Roffeni nella nota alla traduzione - "preferisce anch'egli sottrarsi allo sguardo dei lettori, scegliendo di suicidarsi come figura pubblica".
Anche Melville terminerà i suoi anni da vecchio brontolone: come uno dei personaggi di questi racconti.
Rileggere oggi Bartleby ci fa apprezzare ancora di più il manifesto esistenziale di Melville, quello di un rifiuto sostanziale e radicale dei meccanismi di complicità e di sottomissione su cui si basa la società civile. Ma una lettura ancora più attenta, oggi, ci aiuta a sfrondare questo gigantesco racconto dalla prosopopea "politica" che gli è stata attribuita nel corso dei decenni: quella cioè di un semplice proclama a favore della disubbidienza (politica). In realtà il finale patetico del racconto, con la "voce" raccolta dal narratore, a proposito del misterioso Bartleby prima del suo apparire sulla scena, prima perciò di essere assunto a servizio come scrivano dall'avvocato-narratore, ci illumina sul fatto che Bartelby è sostanzialmente un tragico deluso dalle cose del mondo: la sua occupazione (precedente) all'ufficio postale delle "lettere smarrite" (vero colpo di genio di Melville), ci fa intuire che Bartleby ha sperimentato grazie a quel surreale impiego, l'inutilità di ogni cosa - passioni, interessi, faccende, litigi, ecc.. - umana. Tutte quelle cose incompiute e perse, mai consegnate, mai recapitate, mai portate a termine, suggellano il fallimento di ogni aspettativa umana.
La sua protesta dunque - "preferisco di no" - è dunque una ribellione nei confronti della condizione umana tout-court piuttosto che una ribellione/rivendicazione sociale.
Meno fulminanti, ma ugualmente magistrali sono gli altri quattro racconti presenti nel volume: Il tavolo di melo, dove il narratore è un uomo sconvolto dall'apparizione di un elemento misterioso e inesplicabile: il rumore di un ticchettio proveniente da un vecchio tavolo in legno di noce trovato in una soffitta, dal quale scaturirà un insetto meraviglioso; anche in Io e il mio camino si parla di mistero, perché c'è chi vuole sondarlo, violarlo e metterlo a nudo: cioè un presunto scomparto segreto nel vecchio camino della casa, che invece l'anziano proprietario vuole difendere a ogni costo; infine ne Il violinista e in Jimmy Rose Melville torna sui temi del successo e del fallimento e della decadenza, di cui i due rispettivi protagonisti sono in diversi modi l'incarnazione.
Si tratta comunque di cinque perle di grande valore, che meritano di essere riscoperte e ammirate nuovamente.
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