Ci sono tanti modi per allevare un ragazzo o una ragazza alla palestra della durezza. Nei primi anni di vita - Bettelheim sosteneva che fondamentali per la determinazione del carattere fossero i primi 6 - basta mettere in scena nel teatro famigliare comportamenti e modelli come: l'instaurazione del senso di colpa come dogma, la repressione, il rispetto di regole dogmatiche, la propensione all'istinto di fuga, la ribellione, la competizione, la freddezza o l'assenza.
Certo, ha ruolo fondamentale anche la predisposizione, il carattere, quello che è il proprio destino personale, quello con cui si nasce.
Ma non c'è dubbio che ciò che si assorbe nell'ambiente famigliare nei primi anni, soprattutto a livello di sofferenza interiore - quando il bambino e poi l'adolescente si sentono abbandonati a se stessi e obbligati a trovare una strada propria, una regola morale o non morale interna, indipendente - racconterà molto della vita di un adulto.
Esercitato a lungo alla palestra della durezza, il bambino diventato adulto tenderà a ripetere quei modelli, a metterli nuovamente in scena, ciclicamente, periodicamente, nevroticamente per poterli poi smentire, tradire o con-traddire.
Non servirà ricoprire questo adulto di rassicurazioni o bene, dispensato più o meno gratuitamente. Il carattere tenderà a imporsi non appena sarà libero di farlo, cioè non appena i vincoli o le sovrastrutture - un sentimento, un obbligo, un legame - si saranno spezzati.
Il carattere anzi, segretamente, lotterà sempre, già da prima e durante, contro questi vincoli e queste "sovrastrutture". Remerà contro, per poter un giorno dire all'altro se stesso, trionfante: "ecco, vedi, io avevo ragione".
La palestra della durezza lascia segni come cicatrici, che non si cancellano con il tempo. Rifiutando, fingendo di accettarlo, ciò che è mansuetudine, malleabilità, comprensione, genuinità.
E' come se - e la storia della letteratura mondiale e del cinema è piena di modelli/stereotipi di questo tipo - l'eroe della durezza avesse bisogno di dimostrare a se stesso molto prima che al mondo, che occorre essere duri, non lasciarsi ingannare, non scendere a patti. Jake La Motta prenderà a testate le pareti della prigione (come avviene nel finale di Toro Scatenato), pur di non dover ammettere con/a se stesso - che è stato, per molto tempo, forse per tutta la vita, il principale, inutile nemico di se stesso.
Fabrizio Falconi
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