Castello di Berg am Irchel
Cantone di Zurigo, Svizzera
17 dicembre 1920
Mia cara Mamma,
ancora una volta, alla nostra ora benedetta, la più amorevole memoria dei Natali passati e il desiderio che
ogni anno, dopo tempi tanto malvagi, Ti possano essere concesse feste più quiete e pacifiche e, finalmente,
anche in una casetta tutta Tua!
Detto questo detto tutto; e ora non c'è tanto da leggere quanto entrare in se stessi, e preparare per la
celebrazione più santa dell'anno un presepio nel nostro cuore, affinché esso e il Salvatore in lui possano
davvero tornare al mondo col giusto fervore!
Quel che Ti auguro, cara mamma, è che in questa santa sera la memoria di tutta l'emergenza e, anzi, la
consapevolezza dei problemi incombenti e dell'insicurezza dilagante possano essere del tutto sollevate e in
certo qual modo dissolte in quell'intimissima sapienza della grazia per la quale nessun tempo è troppo
pregno di fatalità e nessuna angoscia è tanto serrata che essa non sappia al tempo suo -che non è il nostro!-
entrare e penetrare con la sua mite vittoria quanto sembrava insuperabile.
Non c'è nessun momento in un
lungo anno in cui possiamo richiamare nel nostro animo la sua sempre possibile manifestazione e
onnipresenza così vividamente come in questa notte invernale da secoli indipendente, che con
l'incomparabile arrivo di questo bimbo capace di trasformare tutti gli esseri viventi ha raggiunto e superato
con un colpo solo la somma di tutte le altre potenze terrene.
Per quanto la lieve estate, quando l'esistenza
sembra considerevolmente più sopportabile e meno faticosa, quando non dobbiamo difenderci da
aggressioni così immediate da parte dell'aria e della natura serenamente impegnata... per quanto la più
felice delle estati possa viziarci con le sue consolazioni, cosa sono esse di fronte agli incommensurabili tesori
di conforto di questa notte dall'apparenza insignificante e anche povera che d'un tratto si apre verso l'interno
come un cuore che tutti abbraccia e scalda e che davvero con i battiti del suo cuore, quasi rintocchi di
campane, risponde a noi che tendiamo l'orecchio con la più fervida attenzione!
Tutte le premonizioni dei tempi andati non sono bastate ad annunziare questa notte, tutti gli inni che sono
stati cantati in suo onore mai hanno sfiorato il silenzio e la tensione in cui si inginocchiano pastori e Re Magi:
e così anche per noi, poiché mai nessuno di noi è stato in grado, mentre passa su di noi questa notte di
prodigio, di segnare i confini della propria vita.
Proprio questo è il mistero dell'uomo inginocchiato, dell'uomo profondamente inginocchiato: che è più
grande, secondo la sua natura spirituale, di quello in piedi! Il mistero che si celebra questa notte! L'uomo
inginocchiato, che si abbandona del tutto sulle ginocchia, smarrisce tuttavia le proporzioni del suo ambiente,
persino alzando gli occhi non saprebbe più dire cosa è grosso e cosa è piccino. Ma per quanto così piegato
raggiunga a malapena l'altezza di un bambino, tuttavia egli, quest'uomo inginocchiato, non può certo essere
detto piccolo.
Con lui si sposta la scala ed egli, seguendo nelle sue ginocchia la gravità e la forza che gli sono
proprie e prendendo il posto che loro compete, appartiene già a quel mondo in cui l'altezza è profondità e,
se già l'altezza rimane incommensurabile al nostro sguardo e alle nostre possibilità, chi potrebbe mai
misurare la profondità?
Questa però è la notte della profondità spalancata e radiosa: possa, cara mamma, essere a Te consacrata e
benedetta.
Amen.
Le sei di sera del Natale 1920
René*
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