02/03/19

L'Università La Sapienza di Roma leader mondiale degli Studi Classici nell'ultimo ranking internazionale.



Finalmente una buona notizia di cui andare fieri, per il nostro paese.

L'Universita' di Roma La Sapienza si conferma leader mondiale degli studi classici nella classifica internazionale elaborata da QS, con il 1° posto negli studi classici e la storia antica: anche quest'anno infatti e' l'unica universita' italiana ad avere un primato assoluto nel Ranking by Subjects 2019. 

I dati del QS World University Rankings bySubject 2019 collocano inoltre l'ateneo all'11° posto in Archeologia, al 34° in Fisica e al 43° in Biblioteconomia. 

Le discipline comprese nella top 100 internazionale sono complessivamente 21, un dato in crescita rispetto alle 16 dello scorso anno. 

Alle quattro discipline top 50 mondiale, si aggiungono infatti altre 17 materie posizionate nella top 100 del ranking, tra cui per la prima volta Engineering - chemical, Geography, Medicine e Statistics & operational research. 

In posizione di eccellenza anche Anatomy & physiology, Anthropology, Computer science & information system, Development studies, Engineering - civil & structural, Engineering - mechanical & aeronautical & manufacturing, Engineering electrical & electronic, History, Law, Mathematics, Modern languages, Pharmacy & pharmacology, Theology divinity & religious studies

Sempre in prospettiva internazionale, la Sapienza avanza in 4 delle 5 macroaree in cui sono suddivise le materie (Arts & Humanities; Engineering & Technology; Life Sciences and medicine; Social Science & Management), collocandosi tra le prime 100 al mondo in 3 di queste, compresa la macroarea Natural Sciences che con il 57° posto e il punteggio di 81,7 rappresenta un settore di eccellenza dell'Ateneo. 

"Ci troviamo a competere con universita' straniere che godono di risorse nettamente maggiori, dalla statunitense Harvard alle britanniche Oxford e Cambridge, e facciamo del nostro meglio per tenere alta la tradizione di eccellenza nel campo della ricerca e della didattica - ha commentato il rettore Eugenio Gaudio - la crescita della Sapienza e' la risultante di sforzi comuni e condivisi all'interno dell'ateneo, che portano lustro al sistema universitario italiano nel panorama internazionale. Un risultato importante che registra un miglioramento complessivo, confermato dal numero crescente di iscritti in corso e dalla capacita' di attrarre finanziamenti". 

I dati del ranking evidenziano anche l'ottimo posizionamento dell'ateneo a livello nazionale: La Sapienza registra primati in 12 discipline e 1 macroarea e si colloca in seconda e terza posizione in altre 16 materie. 

01/03/19

"Ends of poetry" - 40 poeti italiani si interrogano sul senso della Fine e del Fine in Poesia.


E' appena uscito l'8o volume della rivista Californian Italian Studies  numero monografico dedicato alla poesia italiana.  40 poeti italiani si interrogano sul tema della Fine e del Fine della Poesia. 

Sono felicissimo di far parte di questo progetto e di aver contribuito. 


ENDS OF POETRY California Italian Studies Volume 8, Issue 1, 2018 Gian Maria Annovi and Thomas Harrison, Editors, Leslie Elwell, Managing Editor

https://escholarship.org/uc/ismrg_cisj/8/1

Questo il mio testo, all'interno, che accompagna i quattro testi poetici. 


Limite, separazione, con-fine. Tutto quello che oggi (si) vive, sembra portare all’estremo; ad un punto di non-ritorno. Anche la poesia, il suo significato, la sua profonda essenza, sembrano ormai senza-parole di fronte all’arrembare di un ambiente-mondo sempre più vociante, sempre più confuso, popolato babelicamente da milioni di voci che si inseguono senza ascoltarsi.  Una sensazione di fine apocalittica percorre la poesia, chiedendole forse di farsi profezia, di illuminare di senso – con una luce seppure mormorante appena, di passaggio – quest’epoca che sembra per molti versi profilarsi come finale. Come nei giorni della fine dell’impero romano, l’ignoto si profila all’orizzonte, e l’unico fine stesso della poesia sembra essere diventato quello di raccontare questa fine. Tutto chiede di essere ri-pensato, ri-pronunciato, ri-fondato a partire dalla parola stessa.  L’alone di morte che spazza via i resti di vecchie civiltà e di un nuovo ordine forse mai nato, chiede di essere vissuto e attraversato, come la forte morte di Paula Modersohn-Becker, la giovane e tenera amica che Rilke non riesce a lasciar andare, pur avendo professato incessantemente nella sua vita e nella sua poesia la necessità del distacco nella prova più difficile ed evidente dell’amore.
Questo lutto, questa morte, questo confine, questo limite, questo distacco va pienamente attraversato, con tutto il dolore e la sofferenza che comporta: e soltanto la poesia, proprio perché la poesia non si vanta e non si presume, può piegarsi, può farsi materia malleabile, rinunciando alla durezza, alla ostinazione, all’opposizione. Può farsi capace, essendo il fine della poesia quello di tramutarsi nell’ interno di uno sguardo, di diventare essa stessa la fine.
I poeti, come i pazzi nelle catacombe, porteranno in mano la fiaccola in questi tempi oscuri e definitivi.
Per amore della vita la forza deve cedere - scrive Carl Gustav Jung nel Liber Novus - dovrà essere ridotto il raggio della vita esteriore. Molta più intimità, fuochi solitari, caverne, grandi foreste oscure, piccoli insediamenti di pochi individui, fiumi dal pigro corso, silenti notti invernali ed estive, poche navi e pochi carri, e tener nascosto in casa ciò che è raro e prezioso.
Da lontano i viandanti si mettono in cammino su strade solitarie e vedono le cose più varie.
La fretta diventa impossibile, cresce la pazienza
.
Con pazienza, dunque, e con la fede dei folli – si potrebbe aggiungere – i poeti cercheranno la via, cercheranno quel meraviglioso e leggendario serpente, l’Uroboro, la bestia che si mangia la coda, che forma un circolo perfetto, e che dalla sua coda, dalla sua fine e dal suo limite, rinasce sempre e sempre, splendente ogni volta.


Fabrizio Falconi -2019.



27/02/19

Mia Martini - Un ricordo personale.


Mia Martini


In questi giorni di giuste rievocazioni del talento e della umanità di una bravissima cantante italiana, Mia Martini, morta il 12 maggio del 1995, vorrei proporre un piccolo ricordo personale, indelebile, che risale agli anni '70, che forse, alla luce di quel che è successo, spiega qualcosa dello strano e terribile destino al quale Mia è andata incontro. 

Credo con buona certezza che fosse il 1976. 

Al Teatro Olimpico di Roma, andava in scena ogni domenica una rassegna che avevano intitolato, non troppo originalmente "Domenica Musica"

Ci passava però il fior fiore della musica italiana emergente di quegli anni. 

Doveva essere il 1976 perché Renato Zero - uno dei cantanti in cartellone - assolutamente sconosciuto all'epoca, cantava Madame (bellissima per altro) e una protoversione di Mi vendo, esibendosi con indosso una calzamaglia nera attillatissima e tacchi alti,  apostrofato in ogni modo dal pubblico di allora, manco fosse la scena di avanspettacolo felliniano. 

Mia Martini, Renato Zero e Loredana Berté negli anni '70

Lui però era coraggiosissimo (oltre che bravissimo) e andava avanti imperterrito

Quando toccò a Mia Martini - lo giuro, non invento niente - accadde - e fu l'unica volta  di un incidente simile in tutte quelle domeniche alle quali ho assistito - che la "base" musicale misteriosamente si arrestò mentre Mimì cantava

Fra l'altro accadde in un modo veramente orrendo: la musica si fermò rallentando come quando un giradischi viene spento. 

Il pubblico rimase attonito, molti cominciarono a fischiare, la povera Mia sul palco, imbarazzata, continuò a cantare (benissimo) a voce nuda, senza base. Ma non bastò ad evitare i fischi finali.

Questo ricordo mi convinse, anni più tardi, che già da allora, qualcuno che era vicino a lei fomentasse le voci terribili che l'hanno uccisa, provocando questi piccoli incidenti. 

Magari per puro divertimento sadico, per cattiveria gratuita. La cosa peggiore che si possa fare ad una persona.

Ciò che è certo è che Mia Martini era uno spirito troppo sensibile, evidentemente, per assegnare a questa crudeltà il posto che aveva nella scala più bassa delle attitudini umane, e oltrepassarla fieramente.

Cosa che non riuscì a fare e che la portò ad una sofferenza evidentemente troppo ingombrante, il che ne fa una vera vittima della stupidità e della cattiveria (dis)umane. 

Fabrizio Falconi



26/02/19

Trovo estasi nell'atto di vivere. Tra Emily Dickinson e Wim Wenders.



L’anima è un luogo così nuovo che la notte di ieri sembra già antiquata.
Così scriveva Emily Dickinson.  Il passare del tempo è qualcosa di incomprensibile per noi umani, nonostante Κρόνος scandisca e sia teatro di tutta la nostra esistenza su questa terra al punto tale che la nostra apprensione di misurare il tempo è divenuta panacea o illusione di poterne controllare il decorso.
Ma se il passare del tempo è inestricabilmente legato alla nostra carne, il tempo dell’anima, quello che percepiamo come tempo dell’anima, segue coordinate del tutto diverse.
Trovo estasi nell’atto di vivere, scrive ancora la Dickinson, il semplice senso di vivere è gioia sufficiente.
Se percepiamo questo, siamo sicuri di possedere una natura non solo corporea, la quale si muove secondo altri ordini che non sono quelli semplicemente spazio-temporali.
Il povero Travis – nella storia immaginata da Sam Shepard e realizzata in film da Wim Wenders in Paris,Texas – ha perso tutto e ha perso il tempo.
Lo vediamo vagare nel deserto all’inizio del film. E’ un navigatore solitario, sperso: il tempo e il luogo non esistono. E’ come una navicella alla deriva nello spazio. Un trauma, quello della perdita della persona amata, l’ha messo in orbita, l’ha sospinto lontano.

Quando gli amici Walt e Anne gli mostrano il vecchio super8 – di quella giornata apparentemente banale, al mare d’inverno, trascorsa insieme – Travis è come se tornasse a casa.
Trova il proprio centro, ri-scopre se stesso attraverso la consapevolezza definitiva della perdita subita.
La disperazione è totale, ma il lutto è finalmente elaborato.  E’ da qui che si riparte.
In fondo è come quel che accade a noi, alla fine e all’inizio di ogni ciclo di vita.
Abbiamo perso il tempo. Ricordando lo ri-troviamo. Lo ri-viviamo. Ed è attraverso questa dolorosa consapevolezza –  “la notte di ieri sembra già antiquata” – che la nostra anima, luogo sempre nuovo, disincarnandosi dal passato che vuole costringere a radicarsi, a mettere radici, torna eterna in ogni “atto di vivere”.

25/02/19

Libro del Giorno: "L'occhio del monaco" di Cees Nooteboom.




Una delle ultime uscite della bianca di Einaudi è la più recente raccolta del grande scrittore olandese, Cees Nooteboomnato a L'Aja nel 1933, pubblicata in nederlandese nel 2017. 

Si tratta di 33 componimenti senza titolo di eguale forma e struttura (tre strofe di quattro versi ciascuna e un verso di epilogo/chiusura), magistralmente tradotti da Fulvio Ferrari.

Come spiega in una breve nota a fine testo lo stesso Nooteboom, questi componimenti hanno tratto ispirazione da un luogo: l'isola di Schiermonnikoog, che in nederlandese significa "isola dei monaci grigi" e che fa parte del gruppo delle isole Frisone Occidentali, di fronte alle coste olandesi. 

E di sabbia, mare, onde, conchiglie, fari, e soprattutto dei relitti e dei resti portati dalle mareggiate parlano queste poesie, formalmente impeccabili, oltre che dei temi che più stanno a cuore a Nooteboom: la presenza dei morti, la loro presenza e voce ingombrante; della memoria e dell'oblio; delle donne che hanno attraversato la vita del poeta; infine della domanda trascendente che sempre ritorna come il mormorio del mare sul quale si chiude la raccolta. 

Poesia tersa e magnifica, dove l'estrema figura della natura - il mare con il suo orizzonte - dialoga incessantemente con le cose degli uomini e con le loro infinite domande senza risposta.

Fabrizio Falconi





22/02/19

Spunta una crudissima lettera inedita di Primo Levi, scritta nel 1945, tornato da Auschwitz.

Primo Levi fotografato a Torino poco tempo prima di essere arrestato

"Ci radono i capelli, ci tatuano sul braccio un numero progressivo, ci denudano, ci rivestono di stracci immondi a rigoni: non siamo piu' uomini. Nessuno spera piu' di uscire". 

C'e' tutta la prosa di Primo Levi, la grandezza del narratore, l'asciuttezza che ne sara' lo stile e nello stesso tempo la capacita' di accendere lo sdegno con la forza di un resoconto scientifico reso drammaticamente eloquente dai numeri ("Il 22 febbraio '44 siamo partiti tutti, 650 disperati con bambini, donne, vecchi, 50 rinchiusi in ogni vagone merci, 4 giorni, 4 notti di viaggio senza dormire e senza bere.. siamo tornati in 15") nella lettera inedita che pubblica il quotidiano La Stampa in occasione dei 100 anni dalla nascita del grande scrittore torinese. 

Resa pubblica per concessione dei figli Lisa e Renzo, la lettera, due fogli battuti fitti fitti a macchina con inchiostro rosso, riporta la data del 26 novembre 1945. 

Levi aveva solo 26 anni, era rientrato a Torino da meno di un mese ed era gia' in cerca di un lavoro ("Sono ancora disoccupato, pero' ho imparato il tedesco e un po' di russo e di polacco, ed ho visto un bel pezzo di Europa che pochi stranieri hanno visto"). 

Ai parenti lontani non nasconde niente, racconta della decisione di salire in montagna con i partigiani per sfuggire alle leggi razziali, l'arresto con le amiche Vanda e Luciana, il campo di Fossoli, la deportazione, i suoi 11 mesi nel campo di Monowitz, satellite di Auschwitz, la fame disperata, le condizioni impossibili, le selezioni, la morte. 

Un reportage dall'inferno, lucidissimo e terribile, dove i sentimenti sembrano anestesizzati. 

C'e' il dramma incommensurabile e insieme un incredibile pudore, la totale assenza di vittimismo, forse chissà già il tarlo dello sgomento per essere lui tra i pochi che si sono salvati. 

"Quattro milioni di ebrei hanno varcato la soglia della camera a gas. Per tre anni il camino ha oscurato il cielo", scrive ai parenti. 

Prima di lanciarsi in un'altrettanto lucida e spietata analisi dell'Italia che ha ritrovato e anche dell'Europa ("Vecchia, maledetta e pazza") con parole che sembrano premonitrici e oggi più che mai attuali: "il fascismo ha dimostrato di avere radici profonde, cambia nome e stile e metodi, ma non e' morto, e soprattutto sussiste acuta la rovina materiale e morale in cui esso ha indotto il popolo"

21/02/19

Massimo Gramellini: "Eros visita l'amante, non l'amato."




Vorrei farmi largo fra la rabbia e lo sgomento dei nostri giorni per concentrarmi su qualcosa di serio e di bello, ma anche di terribile e impronunciabile, tale è la sua forza misteriosa. Per alcuni studiosi l’amore deriverebbe dal sanscrito mar, morte, di cui rappresenta l’esatto contrario: Amar, non-morte, ovvero immortale.
Come chiunque abbia subito un torto precoce, sono cresciuto con la pretesa di essere in credito con Amar. 

Una sensazione che ho ritrovato nel corso della vita in tutte le persone che avevano perduto ingiustamente un affetto, un sogno, un lavoro. 

Nella loro sofferenza, o insofferenza, ho visto rispecchiarsi la mia.
Quel desiderio inestinguibile di essere risarciti, ricompensati. 

Una molla forsennata, ma alla lunga frustrante: chi pensa che la felicità consista nell’essere amati cerca negli altri qualcosa che, una volta trovato, lo rende stranamente infelice

Finché l’altalena della vita gli dischiuderà le porte di una scoperta, che come tante altre stava già scritta in un libro. Il «Simposio» di Platone. Tutti i personaggi concordano su un punto: Eros, il demone dell’amore, coincide con la persona amata. 

Tutti tranne Socrate, che nelle ultime pagine ribalta la prospettiva: Eros non visita l’amato, ma l’amante. 

E’ l’amante a essere posseduto dall’energia che trasforma le larve in uomini e gli uomini in dei. 

E’ l’amante che desidera, soffre, sublima. In una parola: ama. 

Ah, se avessi letto il Simposio con più attenzione al ginnasio. Ma forse non lo avrei capito. Ora invece so. So che la felicità non consiste nell’essere amati. Consiste nell’amare. Senza condizioni, nemmeno quella di essere ricambiati. 


Massimo Gramellini
L’amante immortale
BUONGIORNO
14/02/2013

20/02/19

Il Discorso agli Ateniesi di Pericle. Una pagina che bisogna rileggere oggi.






Pericle - Discorso agli Ateniesi, 461 a.C.


Qui ad Atene noi facciamo così.

Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza.

Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.

Qui ad Atene noi facciamo così.

La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.
Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.

Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.

E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benché in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.

Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.
Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.

Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versalità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.

Qui ad Atene noi facciamo così.


19/02/19

Il nome "ROMA" nel mondo. Tutte le curiosità, dopo il film di Cuaròn.




Grazie all'enorme successo del film Roma di Alfonso Cuaròn, vincitore del Leone d'Oro alla 75ma Mostra del Cinema di Venezia e Candidato come miglior film per l'Oscar che si assegna tra poco a Los Angeles, in molti hanno scoperto che così si chiama (originariamente Colonia Roma) un popoloso quartiere di Città del Messico in cui vivono circa 50.000 abitanti. 

Pochi sanno però che questo è uno dei molti esempi di località e città nel mondo che portano attualmente il nome della Città Eterna.  

A parte il quartiere messicano, infatti, una Roma esiste nel Queensland australiano (ha anche un aeroporto), una nel Lesotho; una nell'isola svedese di Gotland (dov'è anche una chiesa luterana medievale); una in Romania; in Perù, nel dipartimento La Libertad.  Anche in Texas c'è Roma - come del resto esiste anche una Parigi di circa 25.000 abitanti. 

Soltanto negli Stati Uniti si conoscono circa 15 tra città e villaggi dal nome inglesizzato, Rome: in Illinois, Indiana, Iowa, Maine, Maryland, Michigan, Minnesota, New York (con circa 40.000 abitanti), Ohio, Oregon, Pennsylvania (ben 3 località), Winsconsin.  In Georgia c'è una Rome con 37.000 abitanti, così chiamata perché fondata in un territorio dotato di sette colline e attraversato da vari corsi d'acqua.

Ma, parlando più in generale di ascendenze capitoline, si può ricordare che Capitolio si chiamano all'Avana di Cuba e a Buenos Aires i cuori monumentali delle città; che il moderno Parlamento costruito a Chandigarh, in India, su progetto di Le Corbusier prende anch'esso il nome di Capitol; che la collina dov'è il potere USA Capitol Hill, ospita il Capitol Building, Campidoglio degli Stati Uniti d'America - Senato e Camera dei Rappresentanti - oltre alla Corte Suprema e altri palazzi della democrazia USA. 

Dominati da una Cupola affrescata da un pittore romano dell'800, esiliato da Pio IX oltreoceano, Costantino Brumidi. 


Notizie tratte da: Francesco Rutelli - "Roma, la forza seduttiva di un nome: da Cuaròn alle gemelle sparse nel mondo" - Il Messaggero, Venerdì 15 febbraio 2019, p. 27.




18/02/19

Libro del Giorno: "Johann Sebastian Bach. Lo specchio di Dio e il segreto dell'immagine riflessa" di Mario Ruffini.


Qualcuno ricorderà quel meraviglioso saggio di Douglas Hofstadter, divenuto un classico, pubblicato in Italia da Adelphi e continuamente ristampato, Godel, Escher, Bach, un'eterna ghirlanda brillante in cui il grande filosofo e divulgatore scientifico intreccia l'opera del logico matematico (Godel), dell'artista (Escher) e del musicista (Bach) in un geniale trattato che esplora il senso e la significanza di sistemi complessi (logici e matematici) che sembrano obbedire a regole universali collegati allo stesso sistema neuronale umano. 

Il musicologo, direttore d'orchestra e compositore Mario Ruffini, in questo saggio pubblicato per Polistampa nel 2017, su quella scia, si inoltra nei meandri della immane produzione artistica di Johann Sebastian Bach, e dei riflessi logico-matematici, scientifici, teologici e perfino esoterici nascosti nell'opera immortale del compositore di Eisenach. 

Un libro dedicato non solo ai musicologi (alcuni capitoli sono veramente molto specialistici ed è difficile addentrarvisi senza una profonda conoscenza musicale) ma anche agli appassionati e ai neofiti. 

Ne viene fuori una incredibile cavalcata attraverso le innumerevoli tracce numeriche, giochi, acrostici musicali, riferimenti intrecciati, disseminati attraverso le opere del catalogo di Bach, da quelle meno conosciute ai capolavori come le Variazioni Goldberg, L'Arte della Fuga o il Clavicembalo ben temperato. 

Non solo: Ruffini racconta con uguale dovizia di particolari la personale biografia di Bach, la sua vita quotidiana, i malanni, i rapporti con le due mogli, i 22 figli avuti, gli spostamenti nella Germania dell'epoca tra corti, chiese e cantorie. 

Alcuni capitoli sono poi dedicati ai due misteriosi ritratti esistenti di Bach (apparentemente copie uno dell'altro, ma scopriremo che non è così) realizzati dal pittore Elias Gottlob Haussmann, i quali contengono anch'essi una quantità incredibile di misteri, criptati nello spartito che il musicista tiene nelle mani e che è rivolto all'osservatore. 

Arricchisce il volume una prefazione di uno dei più grandi esecutori di Bach contemporanei, Ramin Bahrami. 

Una lettura che affascina e fa vacillare la mente.

17/02/19

Poesia della Domenica: "La canzone della malinconia" di Friedrich Nietzsche da "Così parlò Zarathustra".




La canzone della malinconia

Quando la luce schiara,
e quando la rugiada il suo ristoro
sopra la terra piove;
invisibile, ed anche non udibile,
perché tènere scarpe porta ai piedi
quella ristoratrice come tutti
coloro che ristorano: pensa, mio caldo cuore,
come un giorno sitivi,
avevi sete di celesti lacrime
e di rugiada, combattuto e stanco,
mentre su erbosi sentieri giallastri
intorno a te, attraverso alberi neri,
maligni raggi a sera trascorrevano,
sguardi accecanti dell'occhio solare?

'Tu innamorato della verità?' e ridevano;
'No! Sei solo un poeta!
Un animale, lento, predatore,
che vuol mentire,
deve sapendo e volendo mentire:
cercare prede,
dipinto e mascherato,
di se stesso una larva,
e di se stesso preda.
Innamorato della verità?
No! Solo un pazzo! Soltanto un poeta!
Che parla per immagini,
da folli larve esalando i suoi gridi,
vien giù su ponti fatui di parole,
giù lungo variopinti arcobaleni,
tra falsi cieli
e false terre,
vagabondo vagante,
è solo un pazzo! Soltanto un poeta!

Innamorato della verità?
Non calmo, ma immoto, freddo e lucido,
divenuto una statua,
divina colonna,
non posto in faccia ai templi,
sentinella di un dio:
no! ma ostile egli a questi monumenti
del vero, in ogni selva più che in templi
di casa,-pieno di felino slancio,
sgattaiolante dentro ogni finestra,
dentro ogni caso,
frugante ogni foresta
primordiale appassionatamente,
onde tu nelle selve
primordiali tra variopinte belve
correvi sano e bello e peccatore,
con le labbra bramose,
sanguinano infernale ed irrisore,
correvi, insidiatore e rapitore:

oppure come l'aquila che lunghi, lunghi
sguardi configge nell'abisso,
nei precipizi suoi:
oh, com'esse laggiù,
sempre più laggiù in basso,
in sempre più profondi abissi volgono!
Poi,
d'un tratto, a capofitto
con istintivo volo,
si gettan sugli agnelli,
di colpo, affamate,
bramose degli agnelli,
terribili per le anime di agnello,
terribili per tutto ciò che ha occhi
pecorili, lanosi, occhi d'agnello,
grigi, benevoli occhi dell'agnello!

Così
aquilee e come di pantera
sono le bramosie del poeta,
i desideri tuoi fra mille larve,
tu pazzo! Tu poeta!

Tu che guardavi agli uomini,
pecora insieme e Dio:
strappare Iddio nell'uomo,
la pecora nell'uomo,
e ridere strappando:
questa, questa è la tua felicità!
Felicità d'aquila e di pantera!
Felicità di un poeta e di un pazzo!'

Quando l'aria si schiara,
la falce della luna
verde tra rossi fuochi
invidiosà vien fuori:
nemica del giorno,
furtiva ad ogni passo
su cascate di rose
falciando, finché cadono,
cadono a notte pallide spioventi:

così io stesso caddi un giorno giù
dalla follia della mia verità,
dall'ansia del mio giorno,
stanco del giorno, malato di luce;
discesi verso la sera e l'ombra:
solo, arso ed assetato
dell'Una Verità:
ricordi ancora, o caldo cuore tu,
qual sete avevi?
Ch'io sia dunque bandito
da ogni verità,
solo un pazzo!
Un poeta!



Friedrich Nietzsche 
tratto da: "Così parlò Zarathustra", parte Quarta, Il canto della Malinconia, 3. 

1.100.000 visitatori per il Blog di Fabrizio Falconi.



Continua questa bella avventura insieme.  

Vorrei ringraziarvi per aver tagliato il simbolico e significativo traguardo del 1.100.000 visitatori per il nostro Blog. 

Questo spazio è diventato, oltre a una vetrina di aggiornamento di attività personali - i libri certo, ma anche le passeggiate romane, le curiosità romane -  una finestra sul mondo della cultura, con notizie di attualità e aggiornamenti di interesse comune.

Grazie per le vostre letture.

Fabrizio

16/02/19

E' morto Bruno Ganz - Un ricordo personale.





E' una notizia molto triste, oggi, quella della morte a 77 anni di Bruno Ganz, uno dei migliori attori europei della sua generazione, attore feticcio per Wim Wenders prima e poi per altri come il grande Theo Angelopulos.

Vorrei riportare in questo Blog un ricordo personale che ho di lui, davvero strano. 

Ovviamente per me, come per molti altri, Bruno Ganz era soprattutto il meraviglioso angelo di Il Cielo sopra Berlino (The Wings of Desire), il film diretto da Wim Wenders nel 1987, vincitore come regista al Festival di Cannes di quell'anno. 

Bene, parecchi anni dopo quel film - che però avevo sempre in testa, compresi i dialoghi scritti da Peter Handke - una mattina d'inverno decisi di portare mio figlio a visitare Castel Sant'Angelo, qui a Roma. 

Doveva essere il 2002, mio figlio era molto piccolo.  La giornata era cupa, invernale, nuvolosa e con parecchio vento, con un cielo che sembrava più berlinese che romano. 

Giungemmo sulla Terrazza superiore, quella dove si trova il grande angelo in bronzo che sguaina la spada sul cielo di Roma, scolpito da Peter Anton von Verschaffelt nel 1753.

L'angelo di Von Verschaffelt

Quella mattina, sulla grande terrazza del Castello c'erano pochissimi turisti.  Ad un tratto scorsi, vicino al parapetto una figura di spalle, avvolta in un cappotto scuro, che sembrava piuttosto familiare. 

Aspettai di vederlo meglio.

Con un qualche sconcerto mi accorsi che era proprio lui, era proprio Bruno Ganz, con i capelli raccolti da un elastico sulla nuca e il lungo cappotto scuro fino ai piedi.  Per un momento pensai perfino di vedere le sue ali, quelle che portava nel film di Wenders, le ali dell'angelo, mentre si sporgeva sui tetti estremi di Berlino. 

Era solo.  Lo spiai per un po'.  Sembrava assorto nei suoi pensieri. Più volte rivolse lo sguardo all'angelo enorme in bronzo che lo sovrastava.  Rimase più di venti minuti, poi scomparve di fretta giù per le scale. 

Non ho mai dimenticato quell'incontro, e oggi - il giorno della sua morte - è tornato alla mente con ancora maggiore intensità.  

Chissà, forse Bruno Ganz un po' angelo lo era veramente. 

Forse non lo ha detto a nessuno. Forse oggi non è nemmeno morto. Ma è volato da qualche parte senza dir niente a nessuno.


Fabrizio Falconi 
2019 - riproduzione riservata








15/02/19

Einstein e Dio.






Io non sono ateo e non penso di potermi definire panteista. Noi siamo nella situazione di un bambino che è entrato in una immensa biblioteca piena di libri scritti in molte lingue.

Il bambino sa che qualcuno deve aver scritto quei libri, ma non sa come e non conosce le lingue in cui sono stati scritti.

Sospetta però che vi sia un misterioso ordine nella disposizione dei volumi, ma non sa quale sia.

Questa mi sembra la situazione dell’essere umano, anche il più intelligente, di fronte a Dio. 

La convinzione profondamente appassionante della presenza di un superiore potere razionale, che si rivela nell’incomprensibile universo, fonda la mia idea su Dio.

Albert Einstein

14/02/19

Poesia del 14 febbraio - "sogno di pellebianca" di Fabrizio Falconi.







sogno di pellebianca


perché hai scelto di salvare me
che ero così stanco
di essere salvato,
il tuo biancore mi ha assalito nel colmo
della notte, mi hai ricoperto
come un lenzuolo
immacolato
la magrezza un vento impossibile
da mandar via con le lacrime
il profumo della tua pelle
… non sono riuscito
a non sussurrarlo
nell’orecchio, perché eravamo solo
io e te nel sogno
un bacio nell’incavo
del collo, una collina dispersa
senza fiumi, un utile dolore
svanito all’alba
accompagna il corpo nel risveglio
con il suo non-esserci
la mancanza la cruna
la cruna dell’ago
il cupo silenzio degli uccelli
la paura di fermare il tempo
che non può più essere
addomesticato.



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13/02/19

Nuovo studio: 3 Tsunami in età medievale causati da Stromboli.




Un cedimento del fianco nord-occidentale del vulcano Stromboli, nell`arcipelago delle Eolie, sarebbe la causa dei tre maremoti che hanno raggiunto le coste della Campania tra il 1343 e il 1456. 

A dirlo, lo studio Geoarchaeological Evidence of Middle-Age Tsunamis at Stromboli and Consequences for the Tsunami Hazard in the Southern Tyrrhenian Sea, recentemente pubblicato su Scientific Reports, a cui hanno partecipato l`Istituto Nazionale di Geofisica eVulcanologia (INGV), il Dipartimento di Scienze della Terra dell`Universita' di Pisa, le Universita' italiane di Modena-Reggio Emilia e di Urbino, il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), la City University e l`American Numismatic Society di New York

"L`identificazione di Stromboli come la sorgente dei maremoti avvenuti nel 1343, nel 1392 e il 5 dicembre 1456 - spiega Antonella Bertagnini, vulcanologa dell`INGV di Pisa e co-autrice del lavoro - e' stata possibile grazie ad un lavoro interdisciplinare che ha messo in campo competenze vulcanologiche e archeologiche. Era noto che l`isola di Stromboli fosse capace di produrre tsunami di piccola scala (analoghi a quello osservato il 30 dicembre 2002)" - prosegue l`esperta - "questo lavoro porta pero' alla luce, per la prima volta, la capacita' del vulcano di produrre, anche in tempi relativamente recenti, tsunami di scala nettamente superiore e potenzialmente in grado di raggiungere aree costiere anche molto distanti"

Il principale dei tre eventi, avvenuto nel 1343, sarebbe la causa della distruzione dei porti di Napoli e di Amalfi, di cui fu testimone oculare d`eccezione il poeta Francesco Petrarca

Lo scrittore si trovava in missione come ambasciatore inviato nella citta' partenopea da Papa Clemente VI e racconto' l`accaduto in una lettera, descrivendo il maremoto come una misteriosa quanto violenta tempesta marina avvenuta il 25 novembre di quell`anno e che aveva causato l`affondamento di numerose navi nel porto di Napoli. 

"Incrociando metodologie, tecniche e competenze diverse - prosegue Bertagnini - lo studio ha permesso anche di rivelare come nella prima meta' del 1300 l`isola di Stromboli fosse abitata e rivestisse un ruolo importante come snodo del traffico navale dei crociati provenienti dalle coste italiane, spagnole e greche. A seguito dei crolli responsabili della generazione delle onde di tsunami e di una contemporanea e particolarmente intensa attivita' eruttiva del vulcano, l`isola fu abbandonata a partire dalla meta' del 1300 e fino alla fine del 1600, quando inizio' il suo ripopolamento

La scoperta conferma, quindi, il pericolo da tsunami generato da Stromboli nel Tirreno Meridionale, sebbene una sua precisa quantificazione richieda ulteriori studi mirati al riconoscimento e alla caratterizzazione di questo fenomeno su un periodo temporale piu' esteso". La ricerca pubblicata ha una valenza essenzialmente scientifica, priva al momento di immediate implicazioni in merito agli aspetti di protezione civile. 

12/02/19

Chi è Amore secondo Platone.




Chi è Amore ?  Quel demone o angelo che viene a visitarci quando non lo vogliamo o non lo pensiamo e ci impone le sue regole ? Questa è la definizione che ne ha dato Platone 2.500 anni fa, ancora così efficace (e insuperabile): 

Anzitutto è sempre povero e tutt'altro che delicato e bello, come i più se lo figurano; anzi è grossolano, mezzo selvatico, sempre scalzo, vagabondo, dorme sempre per terra, allo scoperto, davanti agli usci e nelle strade, sotto il sereno, perché ha la natura della madre ed è tutt'uno con la miseria. Per parte del padre, invece, è fatto per insidiare ciò che è bello e buono, essendo di natura virile, audace, violento, gran cacciatore, sempre pronto a tramare inganni, amico del sapere, ricco di espedienti, tutta la vita dedito a filosofare, abilissimo imbroglione, esperto di veleni, sofista. Inoltre né immortale, né mortale, ma, in uno stesso giorno, sboccia rigoglioso alla vita e muore, poi torna a vivere grazie a mille espedienti e in virtù della natura paterna; sfumano tra le sue dita le ricchezze che si procura, così che Amore non è mai al verde e mai ricco. Inoltre è a mezzo tra sapienza e ignoranza. 


PLATONE, IL SIMPOSIO. XXIII

11/02/19

Libro del Giorno: "Follia" di Patrick Mc Grath.



Un classico, milioni di copie vendute nel mondo, per il capolavoro di Patrick Mc Grath, mai tornato in seguito su questi livelli. 

Pubblicato per la prima volta nel 1996, il romanzo si svolge nel 1959 e attinge abbondantemente ai ricordi d'infanzia e di vita dello stesso autore, nato a Londra e cresciuto vicino all'ospedale di Broadmoor dall'età di cinque anni, dove suo padre era sovrintendente medico. In effetti Mc Grath rischiò seriamente di seguire le orme paterne, se non l'avesse definitivamente tentato la carriera di scrittore.

Follia, come tutti i grandi romanzi, sfrutta con la massima efficienza e con l'uso di una macchina narrativa perfetta, un materiale essenziale. Sulla scena si affacciano pochissimi personaggi.  Peter, il narratore, uno psichiatra che lavora in un grande manicomio alle porte di Londra; Max, il vicedirettore che aspira al posto di principale e che arriva all'istituto accompagnato dalla inquieta moglie Stella e dal figlio Charlie un bambino di 12 anni; Edgar Stark un paziente in regime di semilibertà, artista fallito, ricoverato in manicomio dopo aver ammazzato la moglie e averne mutilato il corpo, staccandole la testa; Nick, un amico di Edgar che lo aiuta dopo la sua fuga dal manicomio. E infine Brenda, la madre di Max e suocera di Stella. 

L'inferno inizia a dipanarsi quando Stella, complice una grande serra vittoriana nel giardino del manicomio che viene restaurata da alcuni pazienti,  comincia una relazione con Edgar, il quale, fascinoso e manipolatore, la travolge dentro una passione senza limiti. 

Trascinata da un irrefrenabile desiderio e dalla acuta frustrazione della vita familiare e dalla freddezza di Max, Stella comincia il suo viaggio autodistruttivo, discendendo ad uno ad uno tutti i gradini della degradazione, abbandonando la famiglia e l'istituto per raggiungere l'amante in uno squallido loft alla periferia di Londra, subendone violenze e pressioni psicologiche, fino ad un tentativo di distacco che però non ottiene risultati. 

Fino all'ultima pagina Mc Grath districa abilmente i fili di una matassa psicologica in cui frustrazione femminile, desiderio, rancore, rivalsa e odio, passione e morte, sono l'uno all'altro collegati come il filo di un angoscioso e doloroso rosario. 

Non all'altezza la riduzione fatta da David Mackenzie nel 2005. 

Fabrizio Falconi