06/07/14

La poesia della domenica - 'Lo spazio magico' di Maria Luisa Spaziani.






Lo spazio magico


Ecco lo spazio magico in cui niente si è detto
ma il senso affiora da nebbie di preistoria.
Dormiamo in case lontane chilometri
ma i nostri sogni si congiungono in alto.

È così perfetta l'attesa (o l'intesa)
che sarà peccato trasformarla in parole.
Dovremmo preferire alla vita il silenzio
anche se questo silenzio è quintessenza della vita?


Maria Luisa Spaziani  (Torino, 7 dicembre 1922 – Roma, 30 giugno 2014), da Tutte le poesie, Meridiani, Mondadori, 2012. 

05/07/14

Dieci grandi anime. 10. Roger Schutz (5./)




Dieci grandi anime. 10. Roger Schutz (5./)

       L’impressione del silenzio di Dio.  Frère Roger, come ogni grande mistico, non ha esitato a fare i conti con questa costante della fede. Il silenzio anzi, per chi conosce la Comunità, per chi ha frequentato almeno una volta una delle grandi preghiere di massa nelle giornate estive, nella Chiesa della Riconciliazione, è divenuta la vera colonna sonora di Taizé. Anche negli spazi tra i canti, e durante le meditazioni, il silenzio avvolge come un’onda le migliaia di pellegrini raccolti a pregare per lunghi, interminabili – e per alcuni insostenibili, visto invece il chiasso che sembra essersi impadronito di molti riti moderni – minuti.  Il silenzio è anche una delle modalità che si può scegliere all’inizio del soggiorno a Taizé, approfittando dell’incantevole oasi verde della Source de Saint-Etienne.  Il silenzio è – Frère Roger lo ha sperimentato in quei giorni di solitudine, quando arrivò nella campagna della Borgogna, in quei casolari abbandonati – la conditio sine qua non per l’ascolto.  Non si può ascoltare nulla, se c’è confusione, se c’è chiasso, se c’è inutile agitazione dentro il proprio cuore.
     Per questo, scrive Olivier Clément,  il tempo del silenzio che a Taizé è vissuto in preghiera e in cui i giovani entrano così volentieri, è davvero fondamentale. La preghiera si fonde con il silenzio e il silenzio permette alle parole delle preghiera, quando ritornano, di essere parole diverse dalle solite chiacchiere.  (7)
      Nella bellissima lettera scritta nella occasione dell’incontro dei giovani di Lisbona del 2005, e intitolata Un avvenire di Pace, Frère Roger, nel suo consueto linguaggio estremamente semplice ed evidente, scriveva, rivolto con il cuore proprio ai giovani: Attraversiamo un periodo in cui molti si chiedono: che cos’è la fede? La fede è una semplicissima fiducia in Dio, uno slancio di fiducia indispensabile, incessantemente ripreso durante tutta la vita. In ciascuno di noi ci possono essere dei dubbi. Essi non devono inquietarci. Vorremmo soprattutto ascoltare Cristo che mormora nei nostri cuori: « Hai delle esitazioni? Non inquietarti, lo Spirito Santo rimane sempre con te». Alcuni fanno questa sorprendente scoperta: l’amore di Dio può sbocciare anche in un cuore attraversato dal dubbio. (8)
      Più avanti, nella stessa Lettera, Frère Roger dice, ci dice, che Dio non crea né la paura né l’inquietudine, e che in una semplicissima preghiera possiamo scoprire che non siamo mai soli.
     E’ ciò che ha reso la presenza di Taizé nel mondo, finora, una specie di primavera, come la definì papa Giovanni XXIII, salutando un giorno del 1958  Frère Roger, venuto a fargli visita con altri confratelli in Vaticano.    
     Di lì a poco, nel settembre del 1960, mentre in Vaticano si prepara il concilio ecumenico Vaticano II,  Taizè ospita per tre giorni vescovi cattolici e pastori protestanti, ed è la prima volta che un fatto del genere accade, dalla lacerante separazione del sedicesimo secolo: un piccolo grande miracolo realizzato da  quella evidenza che germinò direttamente dallo spirito di Frère Roger e che ancora oggi contamina visibilmente la Comunità da lui fondata.  Una evidenza che deve essere stata anche un peso da portare.   Lo ha spiegato con parole commosse ed essenziali Frère Francois nell’ultima parte del suo tributo al grande fondatore, dopo la sua morte, parole che lette oggi rendono pienamente il senso della sua ricerca, del suo cammino in questa vita:
      Frère Roger ha sicuramente affascinato con la sua innocenza.. Ed io penso che egli abbia visto negli occhi di qualcuno che il fascino avrebbe potuto trasformarsi in sfiducia o in aggressività. Per qualcuno che porta in sé dei conflitti irrisolvibili, quell’innocenza è dovuta divenire insopportabile. Allora non bastava insultare l’innocente, bisognava eliminarlo. Il dottor Bernard de Senarclens ha scritto: “Se la luce è troppo vivida, ed io penso che quella che emanava da frère Roger potesse abbagliare, non è sempre facile sopportarla. In questo caso, non resta che la soluzione di spegnere quella sorgente di luce, sopprimendolo”. 

     Ho voluto scrivere questa riflessione perché permette di capire un aspetto dell’unità di vita di frère Roger. La sua morte ha misteriosamente posto un sigillo su ciò che egli è sempre stato. Poiché egli non è stato ucciso per una causa che difendeva. Egli è stato ucciso a causa di ciò che era.  (9)

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 

7.      O.Clément, Op. Cit. pag. 21
8.     Frére Roger di Taizè, Lettera 2005,  Atelier et Presses de Taizè, 2005.
9.      La morte di Frère Roger: perché ?  Op.cit.

02/07/14

Dieci grandi anime. 10. Roger Schutz (4./)



Dieci grandi anime. 10. Roger Schutz (4./)


Queste parole trovano una stretta correlazione con la testimonianza commovente scritta dal confratello Frère Francois di Taizè, all’indomani dell’assassinio del Priore, e intitolata significativamente: La morte di Frère Roger: perché ?  (4)  Una testimonianza – da parte di chi lo ha conosciuto molto da vicino –  che descrive un uomo davvero molto umano, incapace di trincerarsi dietro la certezza degli assiomi della fede.

      Il dubbio non ha mai abbandonato frère Roger, scrive Frère Francois, È per questo che egli amava le parole “Non lasciare che le mie tenebre mi parlino!” Le tenebre significavano le insinuazioni del dubbio. Ma il dubbio non intaccava l’evidenza con la quale egli percepiva l’amore di Dio. Può essere persino che proprio questo dubbio reclamasse un linguaggio che non lascia spazio ad alcuna ambiguità. L’evidenza di cui parlo non si situava a livello intellettuale, ma più in profondità, a livello del cuore. E come tutto ciò che non si può proteggere mediante dei ragionamenti convincenti o delle certezze saldamente costruite, questa evidenza era necessariamente fragile.

L’evidenza di cui parla Frère Francois, fu la grande forza di Frère Roger, la forza che gli permise di realizzare l’utopia di una comunità ecumenica nel cuore della vecchia europa, aperta a tutte le confessioni religiose, e capace di parlare al cuore di uomini di tutte le età, razze e credenze.

Già dalla fine degli anni ’50, il numero dei giovani che si recavano a Taizè cominciò a crescere in modo esponenziale.   L’alacre, infaticabile attività di Frère Roger portò,  a partire dal 1962 a inviare alcuni fratelli e giovani, nei luoghi più sperduti del mondo, o in quei paesi dell’Oltre Cortina dove allora era davvero molto rischioso parlare di Cristo e della fede professata da una Chiesa.

Nello stesso tempo, lo stesso Frère Roger cominciò a trascorrere lunghi periodi in luoghi di povertà ( dall’Etiopia ad Haiti, dalle Filippine a Calcutta) dai quali compilava la sua lettera, che veniva poi tradotta nelle diverse lingue, e spedita in molte nazioni a coloro che cominciavano a conoscere la realtà di Taizé.

E’ esattamente quel processo di fondazione continua, di cui parla Olivier Clément nel libro che ha dedicato a Taizé.  Questa comunità, spiega Clément, non è stata ‘fondata una volta per tutte’.  E’ piuttosto una realtà che continua e si sviluppa continuamente. Ciò è dovuto, suggerisce Clément, alle stesse modalità che hanno accompagnato la nascita di Taizè, modalità fondate su una visione, e non su una previsione.  “ C’è la visione di Frère Roger, “ scrive Clément,  “ che all’inizio era una visione di riconciliazione fra i cristiani e di servizio agli uomini tramite i cristiani.  E non era una previsione: non aveva mai previsto ciò che sarebbe potuto succedere e ciò che è successo oggi. Prima di tutto abbiamo una personalità fuori dal comune e questa personalità attrae senza volerlo.  Poi abbiamo questo aspetto di non previsione e di attrazione involontaria che troviamo sempre nella grande storia del monachesimo.  E’ una legge della storia della Chiesa: quando viviamo qualcosa di autentico, le persone arrivano numerose. Chi si mette a riflettere nella sua camera dicendo: “fonderò una comunità che attrarrà migliaia di giovani” ha già fallito in partenza. In questo modo non funziona !” (5)


Questo qualcosa di autentico è esattamente l’evidenza di cui parla Frère Francois. Il progetto di Frère Roger – quello che gli consentì di ricevere in terra gli onori dei grandi del mondo, ricevendo ad esempio il premio UNESCO dell’educazione alla Pace nel 1988 o il Premio Robert Schuman per il suo contributo alla costruzione dell’Europa nel 1992 – giunse a compimento, in una misura oltremodo inaspettata e impensabile all’inizio, proprio grazie al fatto di basarsi su un cammino personale, umano, vissuto ed esperito in prima persona.  Tu non ignori la fragilità delle tue risposte, scrisse nella Regola di Taizè, rivolto a uno dei suoi confratelli, ma anche a se stesso,  Ti senti sprovveduto di fronte all’assoluto del Vangelo.  Un credente della prima ora diceva, già allora, al Cristo: “io credo, aiuta la mia incredulità.” Sappilo una volta per tutte: né i dubbi, né l’impressione del silenzio di Dio ti tolgono il suo Spirito Santo.  Quello che Dio ti chiede è abbandonarti al Cristo nella fiducia della fede e accogliere il suo amore.  Anche se ti senti tirato da molte parti, spetta a te fare una scelta. Nessuno può farla al posto tuo.  (6) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 

4.       La testimonianza La morte di Frère Roger: perché ? di Frère Francois di Taizé è stata pubblicata, all’indomani della morte del Priore, sul sito della Comunità, dove ancora è leggibile alla pagina: http://www.taize.fr/it_article3796.html
5.     O.Clément, Taizé… Op.cit. pag. 34.
6.     Le Fonti di Taizè, Op.cit. pag. 11 

01/07/14

Dieci grandi anime. 10. Roger Schutz (3./)




Dieci grandi anime. 10. Roger Schutz (3./)

Nella mia gioventù, scrisse negli anni della vecchiaia, io ero stupefatto nel vedere alcuni cristiani che, anche se si riferivano continuamente a un Dio d’amore, spendevano tanta energia per giustificare delle opposizioni. E mi dicevo: per comunicare il Cristo, c’è realtà più trasparente che una vita donata, dove giorno dopo giorno la riconciliazione si compia in concreto ? Allora io ho pensato che era essenziale creare una comunità dove gli uomini decidono di donare tutta la loro vita e qui cercano sempre di riconciliarsi.   
      Questo pensiero era già un assillo, anche se adesso l’urgenza principale era quella di mettere in salvo tanti derelitti – i cugini ebrei – in fuga dai campi di sterminio, e per non creare problemi era Geneviève a spiegare ai vari ospiti della casa che – per non turbare le diverse suscettibilità religiose – era meglio che ognuno pregasse nella sua stanza, da solo.

La situazione, però, in quel borgo a così pochi chilometri dal confine, cominciò presto a farsi molto pericolosa. I genitori di Roger e di Geneviève, venuti a conoscenza del rischio che i figli stavano correndo, chiesero a un vecchio amico di famiglia, un ufficiale in pensione, di vegliare su di loro, e quando, nell’autunno del 1942, arrivò la soffiata che i due fratelli Schutz erano stati scoperti dalla Gestapo, fu organizzata una tempestiva fuga che permise a Roger e Geneviève di riparare in Svizzera.

L’11 e il 12 novembre del 1942 la Francia è completamente occupata, e la polizia nazista perquisì due volte la casa, sperando di trovare i fuggiaschi, e gli ebrei che erano stati nascosti.  Ma la fuga è riuscita, e la casa viene trovata vuota.
      Furono due lunghi anni quelli che Roger fu costretto a trascorrere in Svizzera, aspettando il momento per poter ritornare in Borgogna.

Lo fece dopo la liberazione di Parigi, nel settembre del 1944, ma non da solo: a Roger si erano infatti già uniti i primi fratelli che aveva incontrato e con i quali aveva iniziato una vita in comune.  Difatti, mentre viveva nel paesino francese,  Roger aveva scritto un libretto,  intitolato Note explicative, in cui esponeva, in poche e chiare pagine, il suo ideale di vita. Pubblicato a Lione grazie all'interessamento dell'abbé Couturier,  questo piccolo volume era stato letto da due studenti, Pierre Souvairan e Max Thurian, che raggiunsero senza esitazione Roger a Ginevra per unirsi a lui, nella missione evangelica.

Tornato insieme ai due nuovi compagni a Taizè, Roger si trovò di fronte una situazione di totale desolazione.  La piccola comunità che si andava formando, cominciò con il dare accoglienza ai bambini e ai ragazzi rimasti orfani di guerra, poi l’ospitalità si allargò subito ai reduci di entrambi i fronti.  Poco distante da Taizè v’erano infatti due campi di soldati tedeschi fatti prigionieri dagli alleati.  Utilizzando uno speciale lasciapassare i tre (a cui nel frattempo si è aggiunto un  quarto, Daniel de Montmollin), ricevettero il permesso di ospitare quei prigionieri a casa loro la domenica, per offrirgli un pasto e un momento di preghiera.

Da quel giorno il numero dei fratelli, per fortuna, cominciò rapidamente. Nel 1948 la chiesa del paesino di Taizè, grazie ad una autorizzazione firmata dal nunzio a Parigi,  Angelo Giuseppe Roncalli – il futuro papa Giovanni XXIII – venne messa a disposizione per la preghiera della piccola comunità  e a Pasqua 1949, proprio in quella chiesa, i fratelli si impegnarono per sempre nel celibato, nella vita comune e nel perseguimento di una esistenza molto semplice, eleggendo nel contempo Frère Roger come priore.

Tre anni dopo, nel silenzio di un lungo ritiro, durante  l’inverno del 1952,  la regola di vita, divenuta universalmente nota come Regola di Taizé – o Fonti di Taizé come fu chiamata più tardi – fu definitivamente scritta dal Frère, in un breve testo di poche pagine,  che contiene i principi fondamentali spirituali a cui la Comunità fu chiamata ad ispirarsi e ancora oggi si ispira (2), esprimendo “l’essenziale che rende possibile la vita comune.”


In uno di questi stringati capitoli, Frère Roger espresse il senso della sua ricerca di Dio:  Nel profondo della condizione umana, è scritto nella Regola, esiste l’attesa di una presenza.    Sappi che il solo desiderio di Dio è già l’inizio della fede.  Ciò che conta all’inizio, non sono le vaste conoscenze. Esse hanno certo un grande valore, ma è solo con l’intuizione che riesci in primo luogo a penetrare il Mistero della Fede. Saprai sempre ricordare la folgorante realtà del Vangelo: “Non siamo noi, ma lui che ci ha amati per primo”?  Questa è luce per la tua vita. Per strano che sia, abbandonati a lui e non inquietarti se non giungi ad amarlo subito. (3)

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 

2       Le Fonti di Taizè, di Frère Roger di Taizé (titolo originale Le sources di Taizé) sono pubblicate in Italia da Elledici, Torino, 1998, con traduzione a cura della stessa Comunità di Taizé.
3.      Le Fonti di Taizè,  Op.cit. pag.51/52

30/06/14

Dieci grandi anime. 10. Roger Schutz (2./)





Dieci grandi anime. 10. Roger Schutz (2./)


La  musica fra l’altro, ebbe, nella famiglia di Roger, un'importanza del tutto particolare:
una zia aveva studiato virtuosismo pianistico addirittura con Hans Von Bulow e  Franz Liszt.  E anche Geneviève, la sorella che condividerà con Roger l’avventura della fondazione della Comunità, prima di raggiungere il fratello a Taizè,  studiava musica pensando di diventare una concertista.  Questa familiarità con la musica spiega bene la scelta dei canti e della meditazione musicale, come mezzo privilegiato di comunione e condivisione, che verrà realizzato molti anni dopo a Taizé.

Il giovane Roger era cagionevole di salute: durante l'adolescenza si ammalò di tubercolsi polmonare e diverse ricadute fecero temere il peggio.  Una volta guarito però, contro la volontà del padre che lo voleva teologo, manifestò l’intenzione di iscriversi alla facoltà di Lettere per diventare scrittore.  Ma raggiunta Parigi, dove portò con sé un primo scritto – intitolato: Evoluzione di una giovinezza puritana – cambiò idea, finendo proprio per iscriversi alla facoltà di Teologia, prima a Losanna e  poi a Strasburgo. 

Al termine di questo, periodo, nel 1940, quando l’Europa bruciava ormai del conflitto mondiale, viaggiando in bicicletta,  Roger riuscì a raggiungere la Francia, che significava per lui un ritorno alle origini della sua famiglia materna: il giovane si sentiva chiamato a ripercorrere le orme della anziana nonna, Marie-Louise Marsauche-Delachaux, che durante il primo conflitto mondiale si era prodigata, nelle sue terre, per dare rifugio agli scampati dalla guerra. Rimasta vedova, all'inizio del primo conflitto mondiale, infatti,  viveva nella Francia del Nord, a pochi chilometri dal fronte, dove combattevano tre dei suoi figli. La sua casa, finché il pericolo non la costrinse a riparare in Svizzera, era divenuta rifugio per donne incinte, vecchi, bambini. Fu a quanto pare proprio la nonna, ad inculcare nel nipote l’importanza della riconciliazione tra  i cristiani d’Europa, per scongiurare conflitti così crudeli come quello a cui lei aveva assistito.  Da giovane, raccontò il Frère un giorno,  sono partito in bicicletta, per trovare una casa dove pregare, dove accogliere e dove ci sarebbe stata un giorno questa vita di comunità.  Idee già molto radicate e chiare, dunque.

E Roger trovò questo posto dove stabilirsi, proprio in Borgogna, vicino a Cluny, dove sorge una delle più antiche abbazie d’Europa, fondata nel 910 d.C. centro del monachesimo occidentale benedettino.

Un racconto riferito dallo stesso Frère, vuole che egli fu spinto a scegliere il piccolo villaggio di Taizè, poco distante da Cluny, proprio a seguito del calore con cui fu accolto dai suoi abitanti, e in particolare delle suppliche di una vecchia contadina, una certa Henriette Ponceblanc, che invitatolo a pranzo, gli disse: "Resti qui, siamo così soli".   Una frase che, come riferì più tardi, a Roger sembrò proferita dal Cristo stesso attraverso le parole di quella donna.  

Quella scelta fu davvero provvidenziale: Taizé sorgeva infatti vicinissima alla linea di confine che divideva in due la Francia, dopo l’invasione nazista, ed era il punto di passaggio ideale dei molti rifugiati che cercavano scampo al sud, sfuggendo all’occupazione dei tedeschi.

In condizioni molto precarie – con l’aiuto di un prestito e della sorella Geneviève accorsa dalla Svizzera -  Roger comprò una vecchia casa abbandonata, insieme a due casupole adibite a dimora dei contadini.   Si mise al lavoro e in breve tempo riuscì a rendere gli edifici abitabili. L’acqua era quella di un pozzo, si mangiava quel poco che si riusciva a comperare al mulino del paese. 


Eppure, in condizioni così povere, così modeste, Frère Roger cominciò a edificare le fondamenta della sua grande opera, decidendosi ad offrire rifugio a decine di ebrei in fuga dalla Francia occupata. In quei mesi drammatici, pregava da solo per tre volte al giorno  in un piccolo oratorio, come farà poi la futura comunità che aveva già in mente. 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 

29/06/14

Dieci grandi anime. 10. Roger Schutz (1./)





Dieci grandi anime. 10. Roger Schutz (1./)

Il nome di Roger Louis Schutz, detto frère Roger fece il giro del mondo quel caldo giorno, il 16 agosto del 2005, quando la notizia che una donna squilibrata aveva accoltellato l’ottantenne fondatore della Comunità di Taizè, impressionò  gettando nello sconforto le centinaia  di migliaia di persone che nel corso dei decenni avevano soggiornato tra quelle colline della Borgogna, alla ricerca di un ristoro o di una rigenerazione spirituale.
Le circostanze della morte del frère, assai simili al martirio (seppure per mano di una persona non in possesso di tutte le facoltà mentali) contribuirono alla riconsiderazione della vicenda umana di un uomo dalla personalità unica, che con la sua opera dedicata agli altri ha attraversato gran parte del Novecento, un cammino che ha lasciato tracce ben visibili, e tutt’oggi importantissime.

Ogni settimana, a Taizè, continuano a riunirsi e a pregare, recitando i famosissimi canti della Comunità,   nella  Chiesa della Riconciliazione – costruita nel 1962 e ampliata con un grande avancorpo nel 1990 – migliaia di persone di almeno 70 nazionalità diverse.  Gli incontri intercontinentali organizzati dalla Comunità  riuniscono da 3000 a 6000 persone ogni settimana d’estate,  e da 500 a 1000  in primavera e in autunno.  La preghiera di ogni sabato sera – a Taizè ogni settimana è scandita sui tempi della Settimana Santa di Cristo -  è come una veglia di Pasqua, una festa della luce.   Ogni venerdì sera c’è la suggestiva adorazione della croce, che si prolunga per ore.  E ognuno è chiamato a prostrarsi, affidando al Legno le proprie pene personali. Le lettere di  Frèrè Roger continuano ad essere diffuse in 60 diverse lingue del mondo.  Alla fine di ogni anno Taizè organizza grandi incontri  di giovani – si arrivano a contare fino a centomila presenze – nelle grandi città europee e negli altri quattro continenti.  Al termine di questo pellegrinaggio di fiducia  sulla terra, ogni partecipante è chiamato a portare la pace e la riconciliazione  nelle loro città, nei luoghi di lavoro,  nelle università, tra le diverse generazioni.

Taizè, nel corso degli anni, è divenuta quella sorgente che il suo fondatore sognava.  I fratelli – delle diverse confessioni cristiane -  non sono lì per accettare doni o regali. Svolgono, invece, quel ruolo che la fede, secondo Frère Roger è chiamata sempre di più ad assolvere nel convulso mondo moderno:  Quando la Chiesa ascolta, guarisce, riconcilia, essa diventa ciò che di più trasparente  ha in se stessa: il limpido riflesso di un amore. (1)

Un sogno, quello della pace e della riconciliazione – prima di tutto tra i diversi fratelli che si riconoscono in Cristo e che sono da secoli divisi – inseguito da Frère Roger sin dall’infanzia, e tenacemente portato avanti – con una forza che assomiglia molto alla santità -  attraverso molti e radicali ostacoli.


Roger Schutz - il nome completo è Roger Louis Schutz-Marsauche -  nato a Provence, un paese di trecento anime, nel cantone svizzero del Vaud, il 12 maggio del 1915, proveniva, ultimo di nove figli,  da una famiglia protestante.   Il padre, Karl Ulrich Schütz era il pastore della parrocchia di Provence, sua madre  Amélie Henriette Schütz-Marsauche aveva invece origini francesi, della Borgogna, ed era una appassionata di musica che, prima di sposarsi, aveva studiato canto a Parigi con l’ambizione di diventare un giorno una cantante solista.


Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 

1.      Così  Frère Roger in Olivier Clément, Taizè-un senso alla vita, edizioni Paoline, Milano 1998, pag. 84.

La poesia della domenica - 'Sede vacante' di Fabrizio Falconi





Sede vacante


Sono sceso dal trono un mattino
di sole, eri preda
di ogni delizia, sommersi
gli occhi, disabituato il cuore
vedevi tutto nuovo
tutto per la prima volta, forse
così appare pensavi dalla notte dei tempi,
brillava il compianto delle stelle
la luna a rincorsa, il mare di dolori,
di deserti e futurismi,
tutto quanto discese dal cielo
e fu un nuovo mezzogiorno di silenzi.
Anche le parole erano rimaste
a terra, sparse nel silenzio morbido
dell'attesa manifestata,
un cuore, un cuore soltanto
conosce tutto, e non c'è verso.


Fabrizio Falconi  © - febbraio 2013 (inedita). 

25/06/14

L'assurdità di "metterci la faccia."





In un giorno di pioggia d'estate, di afa e di vento, qualcuno disse: "bisogna metterci la faccia." 

Rimasi a lungo a pensarci. Non avevo mai sentito una espressione più assurda di questa e più insignificante. Quasi tutti quelli che la pronunciano, riflettei più tardi, la lanciano come una specie di grido o di rivendicazione, per difendere il proprio operato. Anche quando è inqualificabile. 

"Metterci la faccia."

La faccia non si "mette".  La faccia c'è o non c'è. 

La faccia è il nostro cammino tutto insieme e non si nasconde nemmeno quando è nascosta. Perché la faccia non è quella che portiamo sulla "faccia".

Sarebbe solo un'antica tradizione e una perfida consolazione pensare che le rughe siano quelle che si portano sulla "faccia" e non dentro il cuore.  Sarebbe soltanto un inganno o un povero accampar di scuse (come fanno sempre gli umani), nascondersi dietro una "faccia". 

La "faccia" non dice nulla.  La "faccia" siamo noi che facciamo finta. E "metterci la faccia" è solo un brutto nome in più che abbiamo, per dire che facciamo finta.

La faccia è, spesso, la chioma risplendente di un albero di giugno, le cui radici sono già morte e piene di vermi. 

Immagine in testa: Magritte, no face hat. 

23/06/14

Indaco e porpora: i due colori della vita.




In fondo tutto ma proprio tutto non è altro che passaggio dall'indaco al porpora, e viceversa.

Alla saggezza appartiene l'indaco. Il cui nome deriva proprio dalle Indie. Affondano le radici dell'essere umano, la sua comparsa sulla terra. Indaco è il colore dei Tuareg, che vivono nel deserto e prima del deserto e dopo il deserto, e non hanno casa perché la loro casa è la rotondità del mondo intero. Quindi il Sé stesso

Al dolore e al sangue appartiene il porpora.   Ogni molecola del nostro corpo si fa parente del porpora. Ogni cosa di noi è porpora, ogni inizio e ogni fine dell'umano terrestre nasce e muore nel porpora. 



Ogni simbolo si esprime nell'indaco.
Ogni vita si esprime nel porpora.

Ogni vita aspira all'indaco.
Ogni simbolo si incarna nel porpora.

Il nostro proveniente mondo è indaco, il nostro oggi è porpora. Il nostro tornare è indaco. Il nostro lasciare è porpora.  Dopo ogni porpora c'è un indaco, dopo ogni indaco un porpora.  Indaco e porpora, come sapienti oscuri immateriali dioscuri tengono in bilico ogni destino umano. 



Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 

22/06/14

"Ogni persona nasce dalla lode." Elias Canetti.




Sarebbe possibile dimostrare come una persona nasca dalla lode. 

Bisognerebbe annotare le parole di lode che penetrano in una persona sin dai suoi primi anni, e lasciar perdere tutto il resto. Ne verrebbe fuori quel terribile corpo, fatto di lodi, che in definitiva è la persona stessa.

Certe parole di lode diventano indispensabili come l'aria e il cibo. Che cosa non fa un uomo per riaverle quando la fonte abituale è inaridita, quando da essa non viene più nulla. Scoprire una forma di pazzia che ha la sua radice soltanto nella lode. Un metodo con cui annullare gli effetti della lode neutralizzandoli lì per lì con un antidoto.

Una persona che non è mai stata lodata una volta: che aspetto ha ? Come cammina ? Come vive ?

Una persona che è bravissima a vomitare lodi.
Uno che fa il bagno in pozze di lodi e ne esce sporco.
Uno che come un criceto accumula lodi nelle borse mascellari.
Uno che con le lodi avvelena ogni cosa intorno a sè.
Uno che è sensibile soltanto alle lodi collettive e non recepisce nulla di ciò che dicono i singoli.
Uno specialista nella conservazione delle lodi.
Uno che le lodi le digerisce.
Uno specialista nella trasformazione delle lodi: tutto quello che gli viene all'orecchio si trasforma in un'unica parola che lui continua a udire finché gli scoppia il timpano; da quel momento riesce ancora a sentire soltanto con la pelle e il naso.
Una brigata di gaudenti che si scambiano lodi.
Uno che, vergognandosi delle lodi, deperisce e muore.
Uno che è convinto della falsità in ogni lode e non ne aspetta più una autentica. Ma non sa decidersi e non prestare orecchio.
Uno che si trasforma di volta in volta secondo la lode: ora è questo, ora è quello, e senza una parola di lode è niente.
Uno che per lodarsi indossa il suo vestito migliore.
Uno che non fa niente perché non vuole lasciarsi sfuggire una sola parola di lode. Alla fine non osa più aprire bocca, temendo di perdere una lode, e muore di fame.
Lui, ormai, si limita a dire ciò che è stato detto di lui. Da quando la memoria gli si è affievolita, non parla a braccio: legge.
Uno che classifica i suoi amici secondo l'intensità con cui lo lodano.
Uno che cita in giudizio quelli che lodano anche altri.
Uno che accetta solo lodi telefoniche affinché nulla possa distrarlo.
Uno che ruba agli altri telegrammi di lode.
Uno che vuole soltanto lodi che spetterebbero ad altri.
Uno che si aumenta di peso in proporzione alle lodi.
Uno che crede alla lodi solamente se significano soldi.
Uno che detesta le lodi a tal punto che chi vuole qualcosa da lui gli si accosta con parole di biasimo.
Uno che sfregia tutte le fotografie che lo ritraggono.
Una che riesce a lodare solo mentre fa l'amore.
Uno che crede in Dio solo mentre lo lodano.
Uno che odia furiosamente le lodi poiché altri vengono lodati.
Basta con le lodi, e ancora non basta: continuare.

Elias Canetti, La rapidità dello spirito, Adelphi 1994, traduzione di Gilberto Forti, pag. 157.


17/06/14

Poesie a Rebibbia: sogni e speranze delle detenute.



Non esistono barriere per la poesia, neppure quelle delle mura di un carcere: per rendersene conto basta leggere il libro "Aspetto l'attesa e spero la speranza" (Casa Editrice Pagine), che raccoglie i pensieri in forma poetica di alcune detenute del penitenziario di Rebibbia. 

Presentato nella sezione femminile del carcere, alla presenza della Direttrice Ida Del Grosso, il libro costituisce il felice esito del corso "Poesie a Rebibbia" a cui le detenute hanno partecipato dal novembre scorso con una straordinaria adesione. 

"Sono poesie strappate dalla vita, per questo non hanno retorica", spiega Plinio Perilli, curatore del libro e docente del corso insieme con Nina Moroccolo, "e l'intreccio linguistico ed emotivo di questi scritti e' lo specchio di ciò che avviene nel nostro Paese". 

Dall'Italia al Burundi, dalla Nigeria alla Romania fino alle Filippine: il libro offre infatti l'opportunità di un inedito viaggio non solo tra le parole ma anche intorno al mondo, mescolando culture, saperi e "colpe" diverse. 

Palpabile l'emozione nel piccolo teatro del carcere, dove erano presenti quasi tutte le detenute coinvolte nel progetto (sostenuto dalla Fondazione Roma e che probabilmente replicherà a partire da settembre prossimo). 

Timide, impacciate, proprio nel luogo della privazione e dell'assenza hanno ricevuto il dono dell'ascolto, sentendo riecheggiare nell'aria le parole che nei mesi scorsi hanno affidato alla pagina. 

Tanti i temi affrontati, tra il dolore, l'amore e la fiducia in un futuro ancora possibile, grazie anche a un carcere che non solo punisce ma e' in grado di riabilitare alla società. 

C'e' Grace, che consegna a un pappagallo alla finestra la speranza di "arrivare ai suoi figli in Africa", mentre Samanta "con le sue ferite soffre in silenzio chiusa nel gelo di una cella". Yasmine, italianissima nonostante il nome esotico, non vuole piu' nascondersi "dietro una terapia per non pensare", mentre Linda sembra voler gridare tutto il suo dolore quando afferma "io credo che la vita non e' fatta per me", chiedendo a gran voce il significato dell'esistenza. Per Anna Maria la poesia e' una supplica a Dio affinché "il figlio non vada in adozione". E poi ancora c'e' Rita: e' lei che in carcere si sente "leggermente libera" quando tutti dormono, che "aspetta l'attesa e spera la speranza" e che ha capito che "la tua vera libertà non e' tra le mura ma dentro di te". 

Senza sovrastrutture, recuperando l'essenza vera della lingua, grazie all'esperienza della poesia si e' riusciti a creare per queste donne "un'altra possibilita' di relazione, scoprendo ciò che di bello c'e' in ognuna", afferma Antonella Cristofaro, docente di Lettere interna al carcere. "Avete tirato fuori le cose che avevamo nel cuore" dice alla fine Vanessa, una ragazza rom giunta quasi al fine pena, ringraziando a nome di tutte le partecipanti. E il suo sorriso sembra davvero la promessa di quella libertà tanto agognata che ancora puo' attendere tutte la' fuori.

16/06/14

Fritjof Capra: la Conferenza integrale al MAXXI di Roma.



Vita e Natura. Una visione sistemica: un libro a metà tra scienza e spiritualità.  In una società sempre più complessa come quella attuale, in cui la rete del virtuale si intreccia costantemente con la vita quotidiana, emerge una nuova concezione sistemica dell'esistenza in cui vengono proposti nuovi approcci integrati tra i vari aspetti della vita biologica, cognitiva e sociale. 

Sul tema Fritjof Capra e Pier Luigi Luisi hanno scritto un libro, Vita e Natura. Una visione sistemica

Vi propongo qui di seguito l'incontro con il grande Fritjof Capra e Pier Luigi Lusi, andato in scena lo scorso 28 maggio al Museo nazionale delle arti del XXI secolo (MAXXI) di Roma. 






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Fabrizio Falconi, Conferenza Il Sogno di Costantino a Malborghetto (FOTO).



Matilde Carrara, Marco Carpiceci, Fabrizio Falconi,  conferenza Il Sogno di Costantino,  Casale di Malborghetto, 7 giugno 2008.



 Matilde Carrara, Marco Carpiceci, Fabrizio Falconi, Bruno Carboniero, conferenza su Costantino Imperatore e In Hoc Vinces, Casale di Malborghetto, 7 giugno 2008.


Fabrizio Falconi  conferenza su Costantino Imperatore e In Hoc Vinces, Casale di Malborghetto, 7 giugno 2008. 
Casale di Malborghetto

Bruno Carboniero, Fabrizio Falconi, In Hoc Vinces, Edizioni Mediterranee, 2011

15/06/14

Fabrizio Falconi - Misteri e segreti dei rioni e dei quartieri di Roma (FOTO).


Fabrizio Falconi, Susan Stewart, Rita Bertoni, Presentazione di Misteri e segreti dei rioni e dei quartieri di Roma,  Libreria Arion, Palazzo delle Esposizioni, 21 febbraio 2014.


Fabrizio FalconiRoberta Bernabei, Presentazione di Misteri e segreti dei rioni e dei quartieri di Roma,  Libreria Arion, Palazzo delle Esposizioni, 21 febbraio 2014.



http://www.ibs.it/libri/bernabei+roberta/libri+di+roberta+bernabei.html

La poesia della domenica: 'Prendimi, se mi vuoi' - di Riccardo Held.




E quando scende senza luce un velo
E distingue i contorni della sera
Quando si chiude sulla luna il cielo
E quando ogni paura sembra vera

Prendimi se mi vuoi, tienimi dentro,
Restami intorno come una coperta,
Non lasciarmi da solo senza centro
Come una stanza, una finestra aperta;

Fa' in modo che non resti più sospeso
Al gancio del dolore, senza fiato
Signora mia mentre mi togli il peso
Di tutti i desideri del passato.




Riccardo Held (Venezia, 1954), da Il guizzo irriverente dell'azzurro, tratto da: Parola plurale, Sessantaquattro poeti italiani fra due secoli, a cura di Andrea Cortellessa e altri,  Luca Sossella editore, 2005. Pag. 474.

14/06/14

Libri: Guanda rilancia Handke, nuove opere e riedizioni.



Guanda rilancia le opere di PeterHandke e ha acquisito i diritti dei suoi ultimi libri. 

Arriva nelle librerie italiane il 19 giugno Saggio sul luogo tranquillo, una riflessione dello scrittore austriaco sul luogo più appartato della casa, dove si può stare lontani dai clamori del mondo.



Contemporaneamente Guanda propone, in nuova edizione, due dei titoli più significativi dello scrittore austriaco: Il peso del mondo e Storie del dormiveglia.

Inoltre Guanda ha acquisito, per una pubblicazione nella primavera 2015, il libro più recente dell'autore, Versuch uber den Pilznarren (Saggio sul raccoglitore di funghi).

Di Peter Handke, oggi uno dei maggiori scrittori di lingua tedesca, verrà anche riproposto entro il 2015 uno dei titoli più importanti della backlist, Prima del calcio di rigore. 


Fabrizio Falconi - I Fantasmi di Roma.

Simone Caltabellota e Fabrizio Falconi, presentazione de I Fantasmi di Roma, Libreria Koob,  Roma, 10 Febbraio 2011



Simone Caltabellota, Fabrizio Falconi e Antonio Audino, presentazione de I Fantasmi di Roma, Libreria Koob,  Roma, 10 Febbraio 2011



13/06/14

La leggerezza. Una qualità sempre più rara. (Calvino)




Oggi ogni ramo della scienza sembra ci voglia dimostrare che il mondo si regge su entità sottilissime: come i messaggi del DNA, gli impulsi dei neuroni, i quarks, i neutrini vaganti nello spazio dall'inizio dei tempi... 

Poi, l'informatica. E' vero che il software non potrebbe esercitare i poteri della sua leggerezza se non mediante la pesantezza del hardware; ma è il software che comanda, che agisce sul mondo esterno e sulle macchine, le quali esistono solo in funzione del software, si evolvono in modo d'elaborare programmi sempre più complessi. 

La seconda rivoluzione industriale non si presenta come la prima con immagini schiaccianti quali presse di laminatoi o colate d'acciaio, ma come i bits d'un flusso d'informazione che corre sui circuiti sotto forma d'impulsi elettronici. Le macchine di ferro ci sono sempre, ma obbediscono ai bits senza peso.

E' quanto scriveva Italo Calvino nelle sue celebri Lezioni americane, a proposito della Leggerezza, la prima delle sei proposte per il prossimo millennio che il grande scrittore indicò poco tempo prima di lasciarci. 

Di tutte queste proposte - Leggerezza, Velocità, Esattezza, Visibilità, Molteplicità, Consistenza (che Calvino non fece in tempo a scrivere) - è proprio la prima, quella di cui oggi a mio avviso si avverte maggiormente la latitanza. 

Essere leggeri è quella qualità capace (e Calvino ne illustra molti esempi, in letteratura) di rovesciare il peso della gravità terrestre di cui la nostra vita è fatta e da cui è condizionata.  E', anzi, quella gravità senza peso che rende possibile la trasformazione del grave e del greve in quella sospensione lunare (Calvino scrive di aver pensato in un primo momento di dedicare tutta la sua conferenza sulla leggerezza alla Luna e alle apparizioni della luna nelle letterature di ogni tempo) che rende ogni cosa luminosa e vera, pur non essendo pesante

E' così anche nelle nostre vite: preziose sono quelle anime che sanno attraversare la vita senza restare inchiodati alla pesantezza (corporea, materiale, effettuale ed effettiva) e sanno trasformare in gioco e leggerezza le vicissitudini e i caratteri dell'umano.  

Preziosi sono quegli uomini e quelle donne che sanno mantenersi leggeri senza mai essere superficiali, che sanno come nulla di più serio vi sia - lo sa bene un bambino - del suo gioco. Di come si possa sorridere nella osservazione e osservare nel sorriso. 

Che è l'opposto della noncuranza, il vero cancro, questo, che - insieme alla pesantezza incagliata - inquina le nostre vite, rendendo spesso impossibile ogni elevazione o sviluppo della persona e dello spirito.


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