30/08/14

'Kafka e il digiunatore', un libro prezioso di Raoul Precht.





Sono davvero molti i modi nei quali, dagli anni successivi alla sua morte, gli scrittori - fino ai giorni nostri - si sono misurati col genio di Franz Kafka, quasi del tutto misconosciuto nel breve volgere della sua vita. 

Come ricorda Raoul Precht, in questo prezioso libretto - Kafka il digiunatore, appena uscito per Nutrimenti editore - tra il 1908 anno di pubblicazione del suo primo libro (all'editore di allora, Wolff ci vollero ben quindici anni per esaurirne la tiratura di sole ottocento copie !) e il 1924, quando uscì l'ultimo, proprio questo racconto, Il digiunatore, Kafka pubblicò appena sette volumetti di racconti, con una scarsissima eco di critica e pubblico, al quale il suo nome resta sostanzialmente sconosciuto. 

La gloria postuma di Kafka iniziò dunque soltanto dopo il 3 giugno del 1924, cioè dopo la morte di Kafka, avvenuta nel sanatorio di Kierling, nei pressi di Vienna, all'età di soli quarantuno anni. 

E iniziò grazie alle opere che furono salvati dal fuoco dall'amico Brod (Kafka aveva lasciato disposizioni molto severe che prevedevano la distruzione tra le fiamme di gran parte della sua produzione), tra questi anche uno degli ultimissimi racconti di Kafka, o forse l'ultimo in assoluto, questo Il digiunatore, che Raoul Precht traduce direttamente dal tedesco in una nuova edizione. 

Due testi accompagnano poi il racconto, nelle pagine del quale Kafka descrive le peripezie di uno di quei famosi digiunatori che nei primi anni del secolo si esibivano nelle piazze e nei circhi d'Europa e d'America, chiusi in gabbie ermetiche per dimostrare al pubblico (pagante) accorrente che riuscivano a fare completamente a meno del cibo per trenta o quaranta giorni. 

Non è un caso, sottolinea Precht, che Kafka, al termine della sua infelice vicenda terrestre, accudito dalla giovanissima compagna Dora, conosciuta un anno prima, abbia scelto proprio questo tema e questa figura, quella del digiunatore, colui che si ritira da tutto, che è schifato dal cibo - da quello che amano tutti gli altri - e che si lascia scivolare in un oblio dove anche la sua bizzarra, ambigua arte verrà del tutto dimenticata. 

Un finale amarissimo per un uomo e un artista che si era sentito sempre - anche orgogliosamente - fuori posto tra i (gusti dei) suoi conterranei e in definitiva anche nel (crogiolo di convenzioni e di cinismi del) mondo. 

Il suo occhio scrutatore, per molti versi implacabile, non poteva non restare così attratto dal fenomeno parossistico e paradossale dei digiunatori dell'epoca, un mondo che Precht ricostruisce con alcune foto dell'epoca e molta, accurata ricerca bibliografica, nell'ultimo capitolo del suo libro: l'affresco di un'epoca per alcuni versi ingenua (anche se non innocente), ma giunta ormai alla fine, che sarebbe stata spazzata via dall'orrore azzerante dei totalitarismi europei e del secondo conflitto mondiale. 

Fabrizio Falconi

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