Philip Glass ha scritto alcuni meravigliosi Quartetti per archi.
Dal 1966 (il N.1), quando aveva 31 anni, al 1984 (il N.2, Company, un movimento del quale è proposto nel video qui sopra nella esecuzione del quartetto ReDo), al 1985 (il N.3, Mishima), al 1989 (il N.4, Buczack), al 1991 (il No.5, senza titolo).
Sono pezzi apparentemente difficili (ciascuno oscillante, in quattro o cinque movimenti, intorno ai venti minuti di durata), diventati però già classici della esecuzione dal vivo da parte dei più affermati complessi da camera contemporanei.
Glass ha fondato la sua teoria artistica sulla variante e sul cambiamento.
Mutuando, sulle basi forti della musica occidentale, i principi filosofici della conoscenza orientale: tutto è cambiamento, tutto si trasforma, tutto - l'universo intero, gli atomi e le particelle che ci compongono, il nostro corpo, tutto - fa parte di una danza cosmica.
Vi è qualcosa di sublime in questo. La sensazione provata e descritta da Fritjof Capra e che lo spinse a scrivere il suo libro più famoso, Il Tao della fisica. Capra raccontò che l'ispirazione gli era venuta un giorno, mentre era seduto sulla riva del mare, quando aveva avvertito con tutti i sensi e con la profondità della sua conoscenza interiore, la danza cosmica che si svolgeva intorno a lui e di cui anche lui faceva parte.
Una sensazione di meraviglia, di fronte al misterioso e al sublime si impadronì di lui.
Il sublime ritorna anche nella apparente oscurità di questi Quartetti, che sembrano riproporre quella danza cosmica davanti ai nostri occhi e per le nostre orecchie.
Il bello implica direttamente un sentimento di intensificazione della vita, scriveva Immanuel Kant nella Critica del Giudizio nel 1790, il sentimento del sublime è invece un piacere che scaturisce in modo indiretto, venendo prodotto dal senso di un momentaneo impedimento delle forze vitali, seguito da una tanto più forte effusione di queste...
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