30/11/10

La morte di un grande Maestro: Mario Monicelli.



'Beat' a iss..' : è la magnifica 'chiosa' del povero ignorante alla morte di 'Abacucco', uno degli straordinari personaggi inventati da Mario Monicelli in quel capolavoro assoluto che è 'L'armata Brancaleone,' del 1966, scritto insieme ad Age e Scarpelli (che vale da solo più di un centinaio di pesantissimi saggi di politica culturale, per comprendere l'antropologia storica dell'homo italicus) uno dei moltissimi film che il grande maestro viareggino ha lasciato in eredità al cinema e alla cultura italiana.

In questa scena c'è tutta la filosofia di vita del 'pessimista' Monicelli (la vita come una condanna, una croce da portare): sembrava anzi, nel suo consolidato scetticismo toscano, che nessun altro approccio che il pessimismo fosse consentito di fronte alla vita.

Eppure, tutto il suo cinema è uno straordinario inno alla vita. La vita in tutti i suoi aspetti più folgoranti e grotteschi, in tutte le sue misere e grandi esaltazioni e in tutte le sue rovinose cadute.

Se c'è stato un innamorato della vita, questi era Monicelli. Che nel suo cinema non si è limitato a descrivere - forse come meglio non si poteva - l'italia e gli italiani (ai quali era legato da un sentimento di amore/odio che 'Brancaleone' massimamente esprime), ma ha fornito una visione autentica dei fatti della vita, dei contenuti della vita per quello che è. Non a caso i suoi film, privilegio della vera arte, si sono rivolti e sono stati compresi da ogni tipo di pubblico, di ogni età, di ogni censo, di ogni nazionalità.

Il suicidio del novantacinquenne Monicelli è l'ultimo disperato atto di appropriazione del proprio destino: la vita, anche nel distacco finale, ha voluto come sempre dirigerla lui, fino all'ultimo.

6 commenti:

  1. " la vita, anche nel distacco finale, ha voluto come sempre dirigerla lui "..
    Bel articolo Fabrizio,per questo
    amante della " vita ".

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  2. Grazie PJ
    Credo che tutti siamo debitori di quest'uomo.
    f.

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  3. Che angoscia il suicidio di un vecchio...é innaturale questa affermazione estrema di una adolescenziale , radicale volontà di vita.
    Un gesto temerario di sfida, atto di hybris contro l'ordine naturale delle cose. Per ciò la Chiesa non perdonsa i suicidi. In questo moto disperato di rivolta di chi si dà la morte in prossimità della morte c'é un senso tragico, titanico di non accettazione del limite. Come del giocatore che rovescia il tavolo...

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  4. Anna, pensa che in vece a me la cosa non angoscia, stavolta. Ritengo anzi, questa fine quasi un epilogo scontato. Conoscendo il personaggio e ciò in cui (non credeva).

    La vita per Monicelli era - lo ha descritto così meravigliosamente nei suoi film - un gioco inebriante, ma terribile. E per una persona profondamente atea, che vive la vita come qualcosa di puramente finito, l'essere arrivato a 95 anni, dopo una vita piena, lunga e ricca, con una diagnosi di malattia probabilmente finale, la prospettiva di morire soffrendo inutilmente, deve essere apparsa improponibile: meglio scegliersi da soli il finale, come ha sempre fatto nei film che dirigeva.

    A me piuttosto scandalizza il fatto che anche oggi - nel momento della morte per suicidio - ci sia qualcuno che liquidi la sua opera, i suoi film, come di bassa lega, commerciali, o di cassetta.

    Non rendendosi minimamente conto che Monicelli è considerato universalmente - ancor più all'estero che nel nostro disgraziato paese - uno dei più grandi cineasti degli ultimi 50 anni. E i suoi film rimarranno sempre, perché oltre alla poesia, contenevano la verità, che è l'unico scopo, l'unico reale discrimine della creazione artistica.

    F.

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  5. Purtroppo gli uomini fuggono dalla verità come dalla bellezza,che come dici tu nella creazione artistica coincidono.IL suicidio di Monicelli, é senza dubbio un atto di coerenza,la conclusione di una vita all'insegna della coerenza, del rifiuto di ogni fede consolatoria e di ogni speranza, per non dover morire disperato. Ma la coerenza non esclude la sofferenza, la lacerazione interiore che spinge a darsi la morte, che non é la stessa cosa che il togliersi la vita. Il ruggito di un leone morente deve essere terribile...
    da qui l'angoscia,lo sgomento per una fine che per quanto meditata, pianificata,non riesco a non sentire violenta e tremenda come un delitto. Ma forse ogni morte,anche la più naturale,arriva come un delitto

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  6. Sì, in effetti lo è. Ed è così che noi la viviamo, generalmente: proprio perché siamo del tutto incapaci di vivere la morte come 'qualcosa di naturale'.
    Eppure ogni cosa in natura nasce e muore. E qualche volta, come insegna il passo evangelico, se non muore (come il chicco di grano), non può nascere.
    F.

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