Ho finito da poco di rileggere 'Una vita', di Guy de Maupassant. E, ancora una volta, ho avuto conferma che da un romanzo classico si possono trarre utili insegnamenti per la nostra vita, la vita di oggi.
Una vita scuote nel profondo, perché mette a confronto i disastri che sorgono tra una vita immaginata e idealizzata (quella di Giovanna, la protagonista, 'prima' di entrare nella vita, e cioè quando è chiusa in convento, dove i genitori l'hanno chiusa per preservarla e prepararla al futuro) e la vita reale. L'isolamento di Giovanna, la sua 'preparazione' nel convento, ne ha fatto una impreparata alla vita. Ella è convinta che un destino solare l'attenda: non può essere altrimenti. E il viaggio verso 'il Castello' - la casa avita - in quella terribile giornata di pioggia (che pure sembra un presagio) è per lei tutto un incantamento.
Da qui, nasce il suo lungo calvario di disillusioni, una più amara dell'altra.
Ma Giovanna, non è per me innocente. Per tutto il romanzo si aspetta la 'reazione' di Giovanna (è esattamente lo stato d'animo in cui Maupassant mette il lettore), ma la reazione di Giovanna, per l'appunto, NON ARRIVA MAI.
Giovanna è una passiva. Il suo atteggiamento ai limiti dell'ignavia, genera e amplifica tutte le disgrazie che le arrivano: accetta Giuliano senza nemmeno conoscerlo, passivamente. Passivamente si fa trasportare da una idea di amore coniugale (che del resto subito si dimostra falsissima). Passivamente accetta il tradimento con la serva (con tanto di figlio illegittimo) subito convinta dal pistolotto del curato (quello 'buono' è quasi più insopportabile e odioso dell'esaltato Tobiac). Passivamente accetta il nuovo tradimento con la contessa che avviene sotto i suoi occhi e che finge di non vedere, consolata dall'arrivo del figlio. Passivamente si concede perfino per un secondo figlio, nonostante la conclamazione del tradimento ! Passivamente accetta che sia l'energumeno marito della contessa a togliere di mezzo i due fedifraghi. Passivamente giunge perfino a rimpiangere il marito (un essere totalmente meschino). Passivamente riversa ogni sua frustrazione sull'unico bene rimastole del figlio, viziandolo in ogni modo.
Passivamente accetta che anche il figlio si dimentichi di lei (aspetta un tempo immemorabile prima di metterlo di fronte a quello che ha combinato). E passivamente accetta il risarcimento tardivo della sorte, con quel fagotto che le piove dal cielo.
Giovanna non può lamentarsi: ha avuto dalla vita quel che ha dato, cioè NULLA.
Rosalia, la serva, è l'esempio, opposto, di chi, pur segnato dalla vita, la prende per mano, la affronta: non si bea delle avversità, non si piange addosso, non si sente vittima perché ha troppo idealizzato la vita. Come enuncia alla fine, la vita per lei "non è nè bella, nè brutta". E' la vita, appunto. E va vissuta.
Non c'è niente di peggio, che prendere la propria vita e chiuderla in un cassetto. E' forse il peccato più grande che possiamo fare, di fronte alla vita che abbiamo ricevuto.
Il difetto più grande di Giovanna è dunque proprio quello che appare, anche nella nostra contemporaneità, un limite im-perdonabile: la mancanza di CORAGGIO.
Sono d'accordo con te, caro Fabrizio
RispondiEliminaChe brutto chiudere la propria vita in un cassetto!
E chi vorrebbe farlo?
E poi quel piangersi addosso continuamente, la lamentela per principio!
Non ho letto il libro che hai così bene commentato, ma mi ha fatto venire in mente Gertrude che trovandosi a scegliere tra bene e male, non avendo mai avuto modo di esercitare la propria volontà, si fa ogni volta passivamente trascinare dal male ed in esso coinvolge anche chi le sta attorno.
Invece non definirei così negativamente l'idealizzazione (forse perchè sono un'idealista, anche; dunque mi sento chiamata in causa). Essa può spingere a fare cose molto belle e molto grandi e non necessariamente comporta disillusioni. Non sempre. Tutto sta nell'indirizzare verso giuste cause questa tendenza dell'anima.
Ma tu, certo, parlavi del caso specifico, di questa Giovanna che non è stata capace di vivere la propria vita. Compiangiamola dunque :-)
grazie dello spunto di riflessione
Filomena
Grazie a te, Filomena.
RispondiEliminaSì in realtà parlavo di un certo tipo di idealizzazione, che in questo caso è sintomo di immaturità, di incapacità di confrontarsi con la vita vera.
F.
Bellissimo! L'ho appena letto, è proprio vero, ma con certe situazioni analoghe ci si scontra tutti i giorni, in verità. Che dire? Vivere richiede coraggio e abnegazione, spesso per sè ma pure per gli altri, e di ignavia ce n'è purtroppo molta in giro. Io comincio sempre battendo la mia. Incapacità di scelta, non volontà di affrontare con coraggio inevitabili rinunce. Ce ne sono troppe di cose contro cui battersi. Importante è non rinunciare. Un saluto, sempre Paola doc. DOP
RispondiEliminaprovo
RispondiEliminaGiovanna é sorella di Emma Bovary; Emma é l'altra faccia speculare di un modo di porsi dinnanzi alla vita che non direi d'ignavia, ma di inettitudine. L'ignavia riguarda l'agire ed é una categoria morale, l'inettitudine- l'incapacità a vive...re la vita così com'é, coi suoi pieni e i suoi vuoti, le illusioni e il disincanto, le speranze e i suoi tradimenti- é una disposzione d'animo, una categoria esistenziale di adolescenzialità- é dell'adolescente l'incapacità ad accettare il limite, il rifiuto di confrontarsi con esso, un'intransigenza dolorosa,da non confondere con la coerenza,a vivere le proprie pulsioni ideali. Come Flaubert dice di Emma : "Madame Bovary c'est moi, così Maupassant sente sua questa infelice creatura che in nome di una fedeltà a un sogno, a un suo modo di essere che si fa destino - i greci non ci hanno forse insegnato che il destino é il carattere?-rinuncia a vivere, si vota al sacrificio di quella parte di sè che non può conciliare col sogno.La serva é saggia come Sancho, ella vive, come le piante, gli animali, d'istinto, non s'immagina la vita e ciò la preserva dal disincanto. Giovanna é l'hidalgo folle, che lotta contro i mulini a vento della sua immaginazione. Mentre Giovanna rimane abbarbicata a un sogno impossibile di purezza e di amore assoluto,e resta nel guado di una vita di umiliazioni e di quotidiani fallimenti, Emma cerca disperatamente di superare il limite che si frappone ai suoi sogni romantici di
RispondiEliminabellezza e di passione totale nelle sue infelici e miserande storie di tradimenti. Ma il limite gli si materializza tutte le volte che cerca d'infrangerlo più insormontabile che mai. Più tragico di Giovanna é il destino di Emma,più irrimediabile lo scacco a cui la espone la sua audacia, la sua volontà di non rassegnazione. Ho letto Una Vita di Maupassant a 16 anni e poi l'ho riletto da adulta. E mi ha sempre commosso questa fedeltà di Giovanna a un sogno perso. La sua rinuncia a vivere non mi pare viltà, ma "amor fati".
Il coraggio è davvero un problema un pò di tutti i tempi e visto che siamo e non siamo in democrazia affermare il propio pensiero può diventare pericoloso....
RispondiEliminaSì, Paola è proprio vero. Con queste cose ci scontriamo tutti, tutti i giorni: ed è per questo il motivo per cui questi romanzi sono immortali. Per la capacità che hanno avuto Maupassant e quelli come lui, di descrivere le virtù e le miserie dell'animo umano.
RispondiEliminaLa passività di Giovanna in qualche modo ci interroga tutti.
f.
Pope Joane:
RispondiEliminae già, mi vado sempre più convincendo che sia la virtù umana oggi più importante, anzi imprescindibile.
F.
Anna,
RispondiEliminaè molto interessante quello che scrivi. E in un certo senso hai fatto chiarezza nel mio pensiero e nei sentimenti che mi ha suscitato la lettura di 'Una Vita', visto che avevo anche riletto 'Bovary' poco tempo prima.
In effetti, hai ragione, Bovary e Giovanna sono due modi diversi - potremmo dire perfino opposti - di manifestare un disagio esistenziale.
Il dato che le accomuna, forse, è proprio questa idealizzazione della realtà - e soprattutto della vita amorosa. Entrambe vivono in un mondo cerebrale incantato - l'una, Giovanna, che vede l'amore come un luogo protetto e sicuro, con un 'Principe azzurro' che risolverà e soddisferà ogni desiderio di felicità, l'altra, Emma, che vede l'amore come pienezza totalizzante, erotica e sentimentale, che riempie di sé completamente la vita e le dà senso.
In realtà entrambe, sia Emma che Giovanna, spostano, seppure in modi diversissimi (l'una con il tradimento e l'erotismo, l'altra con la castità e l'amicizia coniugale) sulla realizzazione amorosa come oggetto, la realizzazione di sè.
E una volta che la realizzazione amorosa si dimostra incompleta (Emma) o fasulla (Giovanna), scoprono l'enorme vuoto esistenziale sul quale hanno costruito la propria vita.
Entrambe, sono cioè immature. Emma è tutto meno che passiva, al contrario di Giovanna: ma il suo iperattivismo non porta a niente, anzi, la porta solo a sovrapporre disastri.
Quindi, fai bene, Anna, a mettere in campo questo paragone: perché la passività non va, non andrebbe combattuta con l'iperattivismo di Emma.
Semmai ci vorrebbe quel coraggio che abbiamo invocato, e che anche Emma dimostra di non avere, tutt'altro: è spregiudicata nel vivere il suo sogno erotico-amoroso, ma quando si tratta di affrontare, con coraggio, le conseguenze del suo comportamento, ovvero mettere il coniuge di fronte alla realtà, e rompere definitivamente il rapporto con lui, preferisce la codardia, il nascondimento, la fuga, l'inganno.
Grazie.
f.