01/06/14
La poesia della domenica - "Se muoio sopravvivimi con tanta forza pura" di Pablo Neruda.
Se muoio sopravvivimi con tanta forza pura
che desti la furia del pallido e del freddo,
da sud a sud leva i tuoi occhi indelebili,
da sole a sole suoni la tua bocca di chitarra.
Non voglio che vacillino il tuo riso o i tuoi passi,
non voglio che muoia la mia eredità d'allegria,
non bussare al mio petto, sono assente.
Vivi in mia assenza come in una casa.
È una casa tanto grande l'assenza
che v'entrerai traverso i muri
e appenderai i quadri all'aria.
È una casa tanto trasparente l'assenza
che senza vita ti vedrò vivere
e se soffri, amor mio, morirò un'altra volta.
Pablo Neruda, da Cento sonetti d'amore
Si muero sobreviveme con tanta fuerza pura
que despiertes la furia del pàlido y del frìo,
de sur a sur levanta tus ojos indelebles,
de sol a sol que suene tu boca de guitarra.
No quiero que vacilen tu risa ni tus pasos,
no quiero que se muera mi herencia de alegrìa,
no llames a mi pecho, estoy ausente.
Vive en mi ausencia como en una casa.
Es una casa tan grande la ausencia
que pasaràs en ella a través de los muros
y colgaràs los cuadros en el aire.
Es una casa tan transparente la ausencia
que yo sin vida te veré vivir
y si sufres, mi amor, me moriré otra vez.
31/05/14
D.H.Lawrence si ispirò ad un'italiana per l'Amante di Lady Chatterley?
D.H.Lawrence
Una delle eroine piu' famose e
turbolente della letteratura inglese era in realtà una donna
italiana molto emancipata vissuta negli anni Venti.
Lo scrittore
britannico D.H. Lawrence, per concepire il personaggio di
Connie, protagonista nel suo celebre romanzo 'L'amante di Lady
Chatterley', si sarebbe ispirato a Rina Secker, moglie del suo
editore, Martin Secker.
Rina Secker
Lo afferma un nuovo libro dell'autore
Richard Owen, dal titolo 'Lady Chatterley's Villa'.
Secondo il Daily Mail, sono stati scoperti molti parallelismi
fra Connie e Rina, a partire dall'insoddisfazione coniugale che
accomunava le due.
La moglie di Secker, inoltre, trascorse
lunghi soggiorni lontano dal marito e si dice che abbia avuto
molte avventure extraconiugali, ricordando in questo Lady
Chatterley.
Fu la stessa moglie di Lawrence, Frieda, a dire in
pubblico: "Rina, mia cara, Lady Chatterley sei tu".
Il romanzo, scritto in Toscana, venne pubblicato nel 1928 per
la prima volta a Firenze, ma da subito bandito per il suo
contenuto esplicito e uscì in Gran Bretagna solo nel 1960.
la prima edizione di Lady Chatterley
29/05/14
L'obiezione all'astrologia (di chi non conosce) - Marco Pesatori.
Coloro che deridono l'astrologia, spesso non sanno ciò di cui parlano.
Molti infatti confondono la tradizione astrologica millenaria basata sulla conoscenza simbolica dell'animo umano con le varie tecniche divinatorie.
Ma come sanno tutti coloro che si avvicinano all'astrologia seriamente, nessun astrologo serio si sognerebbe mai di divinare il futuro di una persona, ciò che gli succederà esattamente domani o dopodomani.
L'astrologia infatti si basa - come ogni scienza dei simboli - sulla individuazione dei principi individuali e collettivi che muovono i caratteri umani (e a questo termine così difficile da identificare - nessuno sa cosa sia il carattere di una persona - si associano altre parole misteriose legate all'esistenza umana: predisposizione, destino, fato, propensione, personalità ecc..)
Uno dei più seri astrologi italiani, Marco Pesatori, ha scritto recentemente (D di Repubblica, 24 maggio 2014):
L'astrologia è strumento per creature dotate di ragione e possibilità di scelta. Così l'estenuante polemica tra determinismo e libero arbitrio sembra aver poco senso.
Se dal servizio meteorologico si sa che domani il mare ha forza sette, è una sentenza precisa, ma nulla impedisce al bravissimo velista o all'incosciente di prendere la barca a vela per farsi un giro.
A chi è alto 1,53 nessuno impedisce di tentare il record mondiale di salto in alto, anche se sarà quasi impossibile ottenerlo e forse è meglio che si dedichi al 400 piani o alla maratona.
Che ci sia un disegno o no, non è dato sapere, ma ciò non mette in discussione la realtà o l'illusione di essere proprio noi a scegliere.
Mi sembra eloquente, e molto interessante.
Fabrizio Falconi
28/05/14
Magnum Mysterium - Ognuno è parte della verità.
La verità è scostante, scriveva Goethe nelle sue Lettere.
Al contrario di tanti che verranno dopo di lui, Goethe insomma sostiene non che la verità non esiste. Ma che è scostante. Cioè, non afferrabile. Mutevole, nascosta.
Il mondo si presenta complesso mano a mano che si cresce. E ogni complessità in più - anche nel mondo delle conoscenze - rappresenta un potenziale allontanamento dalla verità.
Un gioco di specchi è la nostra vita. Nel grande e nel piccolo siamo (s)perduti.
Ma nello stesso tempo ci rendiamo sempre più conto di non essere ir-rilevanti. Come intuirono i sapienti d'Oriente migliaia di anni fa, l'osservatore non è distinto dall'osservato. E l'osservato dipende strettamente dall'osservatore. Nessun trionfo del relativismo: significa semplicemente che ognuno di noi è parte della verità. Misteriosa.
O magnum mysterium è un testo in latino che narra il mistero della nascita di Cristo. È stato usato in composizioni corali da vari autori, tra cui Victoria, Gabrieli e Palestrina. Nella esecuzione dell'University of Utah Singers, questa è la versione di Morten Lauridsen.
Il testo latino è il seguente:
O magnum mysterium et admirabile sacramentum
ut animalia viderent Dominum natum
iacentem in praesepio.
Beata virgo cuius viscera
meruerunt portare Dominum Christum.
Alleluia.
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27/05/14
Una bellissima intervista ad Eugenio Borgna, di Antonio Gnoli per Repubblica.
Vi propongo questa bellissima intervista ad Eugenio Borgna realizzata da Antonio Gnoli.
Eugenio Borgna: "L'anima non guarisce mai del tutto, le resta sempre accanto un'ombra" Dagli studi universitari all'interesse per quei malati un tempo tenuti ai margini, lo psichiatra racconta come è cambiata la disciplina - di Antonio Gnoli - Da Repubblica.it
LA PRIMA cosa che viene in mente osservando Eugenio Borgna, mentre è ad attendermi alla stazione di Novara, è il suo spiccato senso di gentilezza.
Nelle movenze dinoccolate di quest'uomo alto e asciutto, che flette lieve verso l'altro come un giunco, si coglie la disponibilità rara dell'ascolto.
Ci fermiamo, vista l'ora di pranzo, a un ristorante gradevole e semivuoto: "Qui veniva Scalfaro", ricorda Borgna. E ho l'impressione di un altro tempo. Che è la medesima sensazione che provo nella casa di questo grande psichiatra: vasta, spoglia, ma anche sovraccarica di libri. Come congelata in un altro tempo. Forse più prezioso. Più intimo. Certamente meno duro e perfino più fragile. Proprio al tema della fragilità Borgna ha dedicato un libretto ( La fragilità che è in noi, edito da Einaudi) ricco di considerazioni tenui. Intonate al pastello più che all'acido; alle sfumature più che ai tratti decisi. Ho l'impressione che il pensiero di quest'uomo si svuoti dell'aggressività necessaria in una società votata all'urlo e alla chiacchiera.
Cosa rappresentano le parole per un medico come lei?
"Le parole hanno un immenso potere. Ci sono parole troppo dure e violente. Troppo inumane. Che i medici, non tutti per fortuna, rivolgono al malato. E ci sono parole in grado di aiutare l'altro. Le mie parole sono state anche domande a me stesso e agli altri. Sono i dubbi e le incertezze che ho seminato lungo la mia lunga vita".
Che ha avuto inizio dove?
"A Borgomanero, a una trentina di chilometri da qui. Vi ho trascorso la mia infanzia e poi l'adolescenza. Interrotta bruscamente quando i tedeschi nel 1943 occuparono la nostra casa. Mio padre, avvocato, faceva parte della Resistenza. E noi, sei figli, con mia madre che teneva in braccio l'ultimo nato, ci avviammo a piedi verso la collina dove protetti da un parroco ci nascondemmo".
Quanto durò?
"Sei mesi. Tornammo per constatare che la casa era stata distrutta. A poco a poco la vita riprese. La scuola, poi il liceo, infine l'Università a Torino e la specializzazione a Milano nella prima clinica per le malattie nervose ".
Perché quel tipo di scelta?
"Sulle orme paterne avrei potuto fare l'avvocato. O magari il letterato avendo divorato i libri della biblioteca di mio padre. Ma compresi, grazie anche alla letteratura e alla poesia, che occuparsi delle persone che stavano male poteva dare un senso più autentico alla mia esistenza".
Essere autentici è un dovere?
"Diciamo che avvertivo il desiderio di una verità più grande di quella che di solito osserviamo".
Mi faccia capire.
"Dopo un po' che frequentavo la Prima clinica mi accorsi che esistevano due tipi di pazienti, ben distinti: neurologici e psichiatrici. Questi ultimi erano ignorati".
Perché?
"Si pensava che solo le malattie del cervello meritassero attenzione. Mentre a me interessava relativamente quel tipo di indagine. E fu attraverso quei pochi pazienti psichiatrici, tenuti ai margini, che scoprii un mondo di dolore e di sofferenza che mi parve più autentico di quello biologico e organicistico".
Non le bastava la verità clinica?
"No, desideravo toccare una verità più esistenziale. Non volevo l'oggettività del neurologo. Ero portato ad ascoltare la sofferenza e l'angoscia come aspetti di una soggettività più complessa. Avevo 32 anni e una libera docenza che mi dischiudeva le porte per una grande carriera milanese".
E invece?
"Decisi - tra lo sconcerto dei colleghi, dei superiori e degli amici - di accettare il posto di direttore del reparto femminile dell'ospedale psichiatrico di Novara. Quando entrai vidi all'esterno degli enormi giardini. Mi accompagnava un silenzio assoluto. E malgrado fosse inverno le finestre dell'ospedale erano spalancate. Con i pazienti che guardavano fuori".
Una scena irreale?
"Sembravano le marionette di un teatro dell'assurdo. Ma era niente rispetto alla situazione che trovai all'interno. Quello che vidi fu raccapricciante: i pazienti legati o rinchiusi in spazi asfissianti. Le urla e i lamenti. Era agghiacciante. Sembrava di essere in un carcere crudele e senza senso. So bene che oggi la situazione è cambiata, ma allora, nei primi anni Sessanta, fu sconvolgente constatare che c'erano esseri umani cui era stata tolta la dignità del vivere".
Come reagì?
"Provai una profonda vergogna. E al tempo stesso capii che avevo fatto la scelta giusta. Provai a cambiare la situazione. Aprii le porte e vietai l'uso dei letti di contenzione. Nessun paziente poteva più essere legato. Chiamai da Milano alcuni assistenti con i quali avevo lavorato e che avevano, come me, combattuto contro certi metodi".
Metodi comunque fondati su una lunga tradizione clinica.
"Certo. In quelle decisioni non c'era malvagità, ma tanto pregiudizio. Meglio: l'incapacità di capire veramente cosa si nasconde nella follia".
Non è facile trovare un varco per la comprensione.
"Non lo è finché ci si rifiuta di pensare alla schizofrenia come a una forma di esistenza. Certo diversa dalla nostra normalità, ammesso che esista, ma pur sempre esistenza vitale".
Lei dice: la schizofrenia è un mondo vitale. Cosa ha trovato in quel mondo?
"La schizofrenia è una delle forme di sofferenza più enigmatiche e strazianti che si conoscano. Si radica, per lo più, nella crisi esistenziale segnata dal passaggio dall'adolescenza alla giovinezza".
di Antonio Gnoli - da Repubblica.it
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di Antonio Gnoli - da Repubblica.it
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26/05/14
"Interni in un interno" di Justin Bradshaw, dall'8 giugno alla Cappella Gandini di Padova.
Padova -
Interni in un interno (Interiors in an Interior) è la mostra dell'artista inglese Justin Bradshaw con
cui la Cappella Gandini inaugura la sua attività espositiva e culturale.
La serie di dodici quadri di Bradshaw raffigura interni di importanti edifici veneti, per la maggior parte religiosi, che attivano un intenso movimento dialettico con l'apparato decorativo astratto-concettuale di Jack Sal.
Ma la resa quasi fotografica delle vedute suggerisce, agli occhi dell'osservatore, un ulteriore piano interattivo, poiché pone a confronto lo spazio della Cappella con la memoria della grande architettura veneta.
L'opera pionieristica di Jack Sal, portata a compimento nella seconda metà degli anni Ottanta, sintetizza alcuni dei principali elementi del linguaggio concettuale e minimalista dell'artista americano. Iano.
In tal senso, l'impegno rivolto da Sal alla progettazione dell'opera prima ancora che alla sua realizzazione rende il pubblico non mero osservatore della stessa, ma partecipe della sua esecuzione e corresponsabile del suo impatto.
Di grande interesse si profila la reciprocità tra la natura atemporale dell'opera di Sal – concepita e realizzata appositamente per il luogo – e il carattere rarefatto e metastorico dei piccoli oli di Bradshaw.
L'immediatezza descrittiva con cui l'artista inglese ricostruisce le grandi navate delle chiese venete, con un piglio impressionista che giunge quasi alle soglie dell'iperrealismo, è al contempo evocazione di sapore romantico, riflessione sull'idea di opera d'arte totale e analisi del processo stesso dell'esser-ci, sia da parte di un artista che di un osservatore.
La relazione con la storia della Cappella e con l'opera permanente di Jack Sal non incrina Justin Bradshaw ma, anzi, ne esalta la capacità – già espressa in altri cicli, come quelli dedicati alla mitologia o alla Roma classica, medievale e rinascimentale – di ricercare la verità e il senso del mondo circostante in modo coerente con l'imperativo di ambire al sublime.
Justin Bradshaw è nato a Londra nel 1971.
Diplomato al City and East London Art College, fin dagliesordi dimostra una particolare propensione per le tecniche dell'acquerello e dell'olio su supporti eterogenei, come rame, zinco e legno. Stabilitosi in Italia dal 1994, al 2000 risale Pittore di Luce, prima mostra personale con testo in catalogo di Maurizio Fagiolo dell'Arco.
Partecipa a numerose collettive, tra cui La Via Crucis, un progetto multimediale svoltosi nel 2006 a Melbourne e Codice 01 al Chiostro del Bramante di Roma (2008). Tra le sue personali più recenti, spicca nel 2013 Rome Sketchbook, nella Sala delle Sibille del Chiostro del Bramante. I suoi lavori fanno parte di importanti collezioni private. Vive e lavora a Civita Castellana (VT) Info: http://paintings.jbradshaw.it
per info e contatti: www.cappellagandini.org
Ma la resa quasi fotografica delle vedute suggerisce, agli occhi dell'osservatore, un ulteriore piano interattivo, poiché pone a confronto lo spazio della Cappella con la memoria della grande architettura veneta.
L'opera pionieristica di Jack Sal, portata a compimento nella seconda metà degli anni Ottanta, sintetizza alcuni dei principali elementi del linguaggio concettuale e minimalista dell'artista americano. Iano.
In tal senso, l'impegno rivolto da Sal alla progettazione dell'opera prima ancora che alla sua realizzazione rende il pubblico non mero osservatore della stessa, ma partecipe della sua esecuzione e corresponsabile del suo impatto.
Di grande interesse si profila la reciprocità tra la natura atemporale dell'opera di Sal – concepita e realizzata appositamente per il luogo – e il carattere rarefatto e metastorico dei piccoli oli di Bradshaw.
L'immediatezza descrittiva con cui l'artista inglese ricostruisce le grandi navate delle chiese venete, con un piglio impressionista che giunge quasi alle soglie dell'iperrealismo, è al contempo evocazione di sapore romantico, riflessione sull'idea di opera d'arte totale e analisi del processo stesso dell'esser-ci, sia da parte di un artista che di un osservatore.
La relazione con la storia della Cappella e con l'opera permanente di Jack Sal non incrina Justin Bradshaw ma, anzi, ne esalta la capacità – già espressa in altri cicli, come quelli dedicati alla mitologia o alla Roma classica, medievale e rinascimentale – di ricercare la verità e il senso del mondo circostante in modo coerente con l'imperativo di ambire al sublime.
Justin Bradshaw è nato a Londra nel 1971.
Diplomato al City and East London Art College, fin dagliesordi dimostra una particolare propensione per le tecniche dell'acquerello e dell'olio su supporti eterogenei, come rame, zinco e legno. Stabilitosi in Italia dal 1994, al 2000 risale Pittore di Luce, prima mostra personale con testo in catalogo di Maurizio Fagiolo dell'Arco.
Partecipa a numerose collettive, tra cui La Via Crucis, un progetto multimediale svoltosi nel 2006 a Melbourne e Codice 01 al Chiostro del Bramante di Roma (2008). Tra le sue personali più recenti, spicca nel 2013 Rome Sketchbook, nella Sala delle Sibille del Chiostro del Bramante. I suoi lavori fanno parte di importanti collezioni private. Vive e lavora a Civita Castellana (VT) Info: http://paintings.jbradshaw.it
per info e contatti: www.cappellagandini.org
INTERNI IN UN INTERNO
Justin Bradshaw alla Cappella Gandini, 2014
a cura di Luigi Attardi ed Edoardo Trisciuzzi
8 – 29 giugno 2014
Orari: Venerdì ore 16-19 – Sabato e Domenica ore 10-19
Cappella Gandini, denominata “Santa Maria della Maternità” Via Due Palazzi 2, Padova.
25/05/14
La poesia della domenica - 'La messe di pensieri' di Fabrizio Falconi.
La messe di pensieri
La messe di pensieri
dipana improvvisa, tra molte
orazioni di ore pallide
e sommerse, una: all'alba,
come sempre,
nell'attimo più ventoso
uno scrollare di spalle,
quieto risveglio
al riparo dalla scure dei fantasmi.
Quieto nella casa vuota
venni a sedermi sulla poltrona azzurra.
Nel drappo disadorno
del cielo, senza neve
e senza uccelli
un solo filo di fumo bianco.
Nel domino degli oggetti
intorno, manca un pezzo: quello
che tu spostavi,
in un inizio di riso
lasciato a risplendere nell'aria.
da: Fabrizio Falconi, Poesie 1996-2007 (prefazione di Robert P.Harrison, postfazione di M.Guzzi), Campanotto, 2007
in testa: foto dell'autore
23/05/14
Dieci grandi anime. 9 . Etty Hillesum (5 - fine)
Dieci grandi anime. 9 . Etty Hillesum (5 - fine)
Vincendo la resistenza a quel gesto, Etty Hillesum tornerà ad inginocchiarsi molte volte su quel ruvido tappeto di cocco, e a implorarlo: Signore, fammi vivere di un unico, grande sentimento – fa’ che io compia amorevolmente le mille piccole azioni di ogni giorno, e insieme riconduci tutte queste piccole azioni a un unico centro, a un profondo sentimento di disponibilità e di amore. (13)
E ancora: Mio Dio prendimi per mano, ti seguirò da brava, non farò troppa
resistenza. Non mi sottrarrò a nessuna
delle cose che mi verranno addosso in questa vita, cercherò di accettare tutto
nel modo migliore. Ma concedimi di tanto in tanto un breve momento di pace…
Andrò dappertutto allora, e cercherò di non aver paura. (14)
Ma chi è questo Dio che la ragazza ebrea
invoca, insegue e accoglie ? Etty, come
scrive Cristiana Dobner in un recente volume, “ha coscienza precisa di essere
creata a immagine e somiglianza di Dio.
E’ il suo appartenere al popolo della berith
dell’alleanza, che le ha trasmesso questa certezza. Non è un vago progetto ma
una realtà rivelata, approfondita dalla teologia che la ritiene forza innata,
donata e presente, nella persona; Dio, a
motivo della sua immensità in quanto causa efficiente di tutto l’essere e di
tutto l’operare, inerisce intimamente a tutte le creature con un’esistenza
interiore alla stessa sostanza.” (15)
Il percorso verso Dio di Etty è insomma,
pienamente consapevole ed è frutto di una doppia conoscenza, quella tutta
interiore del corpo – Etty sente Dio
dentro di sé, come un nascente che preme e che lotta contro le distorsioni - ed esteriore, quella che avviene – come
per grazia – nell’incontro con l’altro, con il servizio e con il darsi
incondizionato.
Come ha fatto notare Patrick Lebeau, la
conversione di Etty è il frutto di tre incontri differenti: “Spier, del quale abbiamo ricordato il ruolo
e che la aiuterà a convertire la sua forza amorosa ed erotica in un’unica forza
raggiante di amore spirituale verso gli altri, Dio e, infine, l’incontro di
Etty con se stessa. Quest’ultimo
incontro non è aneddotico o narcisistico: le darà un’immagine di sé che non si
aspettava, un’immagine in cui si riconoscerà progressivamente per
appropriarsene, rendendola trasparente ai suoi occhi e poi visibile agli occhi
degli altri.” (16)
L’introspezione dolorosa di Etty nei
propri ‘inferni personali’ non è mai dunque fine a se stessa. Etty sembra inconsciamente convinta di
quello che Shakespeare annotava nei suoi Sonetti, ovvero che “ ripeness is all ”, la maturità è tutto:
la maturità è andare fino in fondo, nella discesa verso il centro di se stessi
dove è possibile trovare la faccia dell’altro e con essa il volto stesso di
Dio. Una discesa verso l’autenticità più
profonda del proprio essere, che non scantona, non prende scorciatoie, non pretende di glissare e vive il dolore
personale come una strada maestra verso l’affermazione di un senso divino
dell’esistenza. Anche il lutto di Spier
– lacerante per Etty - viene vissuto
come il tramite per qualcosa di altro
e qualcosa di oltre. Spier,
dotato di una personalità così straordinaria, ‘magica’ secondo molti dei suoi
contemporanei – è l’aggettivo che si dà quando le cose sono razionalmente
inspiegabili, sembra quasi farlo
intenzionalmente, una specie di addio al mondo volontario: si ammala improvvisamente, infatti, e muore
il 12 settembre 1942, esattamente il giorno prima di essere inviato anch’egli,
ebreo e intellettuale, al campo di smistamento di Westerbork.
Etty scrive nei giorni seguenti, pagine
accorate dedicate a lui: Sei tu che hai liberato le mie forze, tu che
mi hai insegnato a pronunciare con naturalezza il nome di Dio. Sei stato l’intermediario tra Dio e me, e ora che te ne sei andato la mia strada
porta direttamente a Dio e sento che è un bene, Ora sarò io l’intermediaria per
tutti quelli che potrò raggiungere. (18)
Sarà esattamente così.
Nelle testimonianze dei sopravvissuti
c’è fino all’ultimo istante il ricordo di una ragazza dai modi indimenticabili,
che anche nel momento stesso di salire sul treno per la Polonia , ha “una parola
gentile per tutti quelli che incontra, piena di umorismo scintillante anche se
forse un pochino malinconico, proprio la nostra Etty come voi la conoscete..:”
(19)
E’ il segno di una consapevolezza
piena, di una maturità piena, che Etty ha trovato nel fondo della sua anima,
come presenza di Dio, una consapevolezza e una maturità che è presumibile non
l’abbiano abbandonata del tutto neanche nei giorni della prova finale, nel
recinto spinato del campo di Auschwitz, prima della doccia a gas fatale.
Quella stessa consapevolezza e maturità
che espresse in modo così cristallino e toccante in una delle ultimissime
pagine del Diario, il 18 agosto del 1943,
venti giorni prima di partire (20):
Mi hai resa così ricca, Dio,
lasciami anche dispensare agli altri a piene mani. La mia vita è diventata un
colloquio ininterrotto con te, mio Dio, un unico grande colloquio. A volte, quando me ne sto in un angolino del
campo, i miei piedi piantati sulla tua terra, i miei occhi rivolti al cielo, le
lacrime mi scorrono sulla faccia, lacrime che sgorgano da una profonda emozione
e riconoscenza. .. Sono molto, molto stanca, già da diversi giorni, ma anche
questo passerà, tutto avviene secondo un ritmo più profondo che si dovrebbe
insegnare ad ascoltare, è la cosa più importante che si può imparare in questa
vita. Io non combatto contro di te, mio Dio, tutta la mia vita è un grande
colloquio con te.
Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata.
13.
E. Hillesum, Diario … op.cit. pag. 82.
14.
E.Hillesum,
Diario… op.cit. pag. 74.
15.
Etty
Hillesum, Pagine mistiche, tradotte e commentate da Cristiana Dobner, Ancora
edizioni, Milano 2007, pag.35.
16.
P. Lebeau, Il Diario di Etty Hillesum, in “La Civiltà Cattolica ”
q. 3603-3604 (2000), pag.240.
17.
E. Hillesum, Diario, Op.cit. pag. 203
18.
E. Hillesum, Diario, Op. cit. pag. 196
19.
E’ il commovente resoconto dell’addio di Etty
dalla stazione di Westerbork, narrato dall’amico Joseph (Jopie) Vleeschouwer e
che conclude il racconto del Diario nella edizione curata da J.G. Gaarlandt. Ho
con me i miei diari, la mia piccola Bibbia, la mia grammatica russa e Tolstoj e
non so quante altre cose, furono le sue ultime parole all’amico.
20.
E. Hillesum, Diario, Op. cit. pag.253.
22/05/14
Dieci grandi anime. 9 . Etty Hillesum (4./)
Dieci grandi anime. 9 . Etty Hillesum (4./)
Cos’è che spinge una persona in questa condizione - nella condizione di vittima designata di un sistema folle che opera per distruggere e cancellare dalla faccia della terra una intera genia di innocenti - a prendere le parti di Dio, a proporre addirittura di aiutarlo, anziché protestare contro di lui, inveire contro
Per spiegarlo dobbiamo capire il senso della teologia personale di Etty,
il cui disegno coraggioso appare chiaro – pur con tutte le sofferenze e le
lacerazioni - nel dipanarsi febbrile
delle pagine del diario e delle lettere
scritte negli ultimi mesi prima della sua morte.
L’atteggiamento della Hillesum di fronte agli spaventosi eventi della
modernità è radicalmente diverso da quello della maggioranza delle intelligenze
ebraiche che angosciosamente si interrogano sul silenzio di Dio. Pensiamo ad esempio ad esempio ad Elie Wiesel per il quale questo silenzio rappresenta la
fine della fede o almeno di quella fede tradizionale. Se l'Eterno ci sta mandando tutta questa manna senza poter far nulla
– scrive Wiesel - o questo Eterno è impotente o talmente sadico che nessun disegno
Provvidenziale e Imperscrutabile potrà giustificarlo (agli occhi di un uomo e
soprattutto di un uomo disperato che vive l'esperienza del campo) (11).
Di fronte a questo umanissimo pensiero, Etty
offre invece una prospettiva del tutto rovesciata: Sono
pronta in ogni situazione e nella morte a testimoniare che questa vita è bella
e piena di significato, e che non è colpa di Dio, ma nostra, se le cose sono
così ora… dentro di me c’è una fiducia in Dio
che in un primo tempo quasi mi spaventava per la sua crescita veloce, ma
che sempre più diventa parte di me..
Questa fiducia, questo abbandono non sono,
per la Hillesum gratuiti, non scaturiscono dal cuore in modo immotivato: sono piuttosto il prezzo
di una presa di consapevolezza, di una umanità raggiunta al prezzo di un
coraggio personale introspettivo che non cerca infingimenti o facili
consolazioni e nemmeno mai cerca scorciatoie liquidatorie: Il
misticismo deve fondarsi su una onestà
cristallina, scrive, quindi prima
bisogna aver ridotto le cose alla loro nuda realtà, cioè come è stato fatto
notare recentemente da una studiosa del pensiero di Etty, “ sempre dentro lo
spessore del contraddittorio e difficile. Di lì si è rimandati all’Oltre,
all’Inafferrabile vicino che sollecita aperture inattese, e crescite impensate,
itinerari sconosciuti (12).”
Esempi di questa fede contraddittoria e difficile ma sempre
vissuta fino in fondo, sempre vissuta senza sconti e visceralmente, nel senso che
oggi si definirebbe più autentico, sono disseminati lungo il diario, nel
racconto personale di Etty che si segue come lo svolgimento di un romanzo:
l’esperienza dell’aborto, vissuta con determinazione lucida e dolorosa (ho giurato che nel mio grembo non nascerà
mai un essere altrettanto infelice, scrive dopo aver assistito all’ennesima
scenata del labile fratello Mischa, che viene portato in una casa di cura);
quella del darsi a uomini diversi (solo
dodici ore fa ero tra le braccia di un altro uomo e gli volevo e gli voglio
bene) quella della totale mancanza
di autostima (Etty, mi disgusti, così
egocentrica e meschina) sono
stazioni di una via crucis personale, che hanno come epilogo la partenza del
vagone dalla stazione di Westerbork e l’annientamento nel campo polacco.
Eppure, in questo cammino così controverso e difficile, Etty riesce a
non perdere di vista l’essenziale. Sa
che Dio non le scapperà di mano, se lei non lo lascerà scappare. Lo insegue, lo ricerca, lo ascolta, lo
accoglie. E una specie di grazia
salvifica sembra scendere a proteggerla, a illuminarla, feconda di nuove
scoperte:
ieri sera, scrive in una domenica mattina del 1941, subito prima di
andare a letto, mi sono trovata improvvisamente in ginocchio nel bel mezzo di
questa grande stanza, tra le sedie di acciaio sulla stuoia chiara. Un gesto
spontaneo: spinta a terra da qualcosa più forte di me.
Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata.
11.
E. Hillesum, Diario, Op.cit. pag. 169.
12. Così Elie Wiesel in quello che è
considerato il suo capolavoro-autobiografia, il romanzo La notte, edito in Italia da La Giuntina , 1992.
21/05/14
Dieci grandi anime. 9 . Etty Hillesum (3./)
Dieci grandi anime. 9 . Etty Hillesum (3./)
Lo stesso percorso di vita di Etty parla il linguaggio della coerenza e
del coraggio. L’adesione incondizionata, a prezzo della sofferenza personale, all’ideale
della giustizia e del bello. Dai tempi
del ginnasio, che frequentò a Deventer, dove cominciò a frequentare un gruppo
di giovani sionisti, imparando anche l’ebraico.
E poi, da studentessa universitaria, quando pur non facendo parte di
alcun gruppo politico, mise in campo la sua passione personale nei rapporti con
un’infinità di conoscenti, amici e colleghi universitari, fino al conseguimento
della laurea in legge, e al fatale incontro con Julius Spier, lo psicologo e
psicoanalista ebreo tedesco, allievo di Jung, che Etty conobbe casualmente il 3
febbraio del 1941 durante un concerto in ambito domestico e che praticava la psicochirologia, basata sulla lettura della mano.
Spier fu l’incontro determinante per Etty: divenne la segretaria e anche
l’amante di un uomo carismatico e molto ambito, che la prese in terapia, le
insegnò a dominare i suoi stati depressivi e caotici, la spinse ad iniziare la
stesura di quel Diario che diventerà un testo capitale della spiritualità
moderna, la protesse dall’angoscia opprimente del cerchio che la persecuzione
nazista andava stringendo giorno dopo giorno intorno a lei e a quelli come lei.
Come ha scritto F. MichaelDavide: “la duplice esperienza di umanità – la
relazione con Spier – e di disumanità – lo sterminio nazista – sono state la
trama sulla quale si tesse la tela di questa vita che seppe trovare consistenza
nell’ordito della presenza intima e discretissima del Dio dei padri: così
vicino e così lontano. Senza la relazione con Spier, fatta di delicatissima e
ardita umanità, Etty sarebbe stata senza dubbio sopraffatta dall’orrore e dal
logoramento della persecuzione. Senza
queste ultime, non sarebbe stata sollecitata con tanta forza ad andare avanti
nel cammino di interiorità fino a scegliere di essere consapevolmente sterile
per essere feconda nella trasmissione di un amore più grande sempre pronto alla
morte, come paradigma di incompiuta prontezza al dono di sé in ogni momento.
(8)”
Le pagine del Diario raccontano di una relazione – quella con Spier –
che nella sua profonda umanità, e anche con il corollario di una passione
erotica a tratti travolgente (sto
proprio rischiando di rovinare questa amicizia con l’erotismo, scrive
Etty) diventa la chiave per maturare e
per crescere, e “attraversare la vita senza finzione ma nel coraggio di una
verità su se stessi talora assai dura”. (9)
Questo stesso metodo che non concede sconti a sé stessa, sul piano del cammino personale, Etty applica, con la pazienza di un entomologo al suo “Discorso con Dio”, che procede di pari passo lungo le pagine del Diario stilato in quei due anni terribili per la storia dell’Europa e del mondo.
E’ soltanto la fedeltà a questo metodo
che permette a Etty di non perdere mai totalmente La fiducia in Dio, nonostante
l’orrore che vede ogni giorno, nonostante la sensazione di una ingiustizia così
conclamata che vede diffondersi nel mondo, nel suo mondo, tra i suoi amici, tra
i suoi più stretti famigliari, perseguitati per essere semplicemente
appartenenti ad una razza sbagliata. Il dramma del silenzio di Dio, in questi anni
così orribili, Etty lo risolve a suo modo, con una professione di fedeltà
interiore commovente, che giunge a spalancare nuovi orizzonti di comprensione
spirituale. E’ una consapevolezza nuova – quella di essere il cuore pensante della baracca, come lei
stessa si definisce – a permettere ad Etty Hillesum di poter scrivere una pagina come questa:
Mio Dio, sono tempi tanto
angosciosi. Stanotte per la prima volta ero sveglia al buio con gli occhi che
mi bruciavano, davanti a me passavano immagini su immagini di dolore umano… Ti
prometto una cosa Dio, soltanto una piccola cosa… Cercherò di aiutarti affinché tu non venga distrutto in me, ma a
priori non posso promettere nulla. Una
cosa però, diventa sempre più evidente per me, e cioè che tu non puoi aiutare
noi, ma che siamo noi a dover aiutare te, e in questo noi aiutiamo noi
stessi. L’unica cosa che possiamo
salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo
pezzo di te in noi stessi, mio Dio. … Dicono: me non mi prenderanno. Dimenticano che non si può essere nelle
grinfie di nessuno se si è nelle tue braccia. (10)
Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata.
1. Fr. MichaelDavide, Etty Hillesum: Dio Matura, edizioni La Meridiana (Pagine altre),
Molfetta (BA) 2005, pag.16.
2. F.MichaelDavide, Etty Hillesum… Op.cit,
pag. 151
3.
E. Hillesum, Diario, Op.cit. pag. 169.
20/05/14
Dieci grandi anime. 9 . Etty Hillesum (2./)
Dieci grandi anime. 9 . Etty Hillesum (2./)
Ma – prosegue
nella ricostruzione Klaas A.D. Smelik – la pubblicazione a parte di due lettere
che Etty aveva scritto da Westerbork, lo incoraggiò a non demordere. Arrivò
così l’incontro, nel 1979, con l'editore J.G. Gaarlandt. Nel frattempo il padre di Klaas era
morto. L’editore diede ordine di far trascrivere i diari – la
calligrafia di Etty era pessima – e procedette alla pubblicazione di tutti,
tranne due – quelli contrassegnati con il n.6 ed il n.7 che nel frattempo erano
scomparsi. Presentata nel 1981,
l’antologia ebbe un successo immediato, enorme.
In poco tempo si consumarono diciotto ristampe e traduzioni in
Inghilterra, Stati Uniti, Italia, Spagna, Brasile, Svezia, Norvegia, Danimarca,
Finlandia, Israele e Giappone.
Nel frattempo era anche
‘miracolosamente’ tornato alla luce il sesto quaderno – il settimo è a
tutt’oggi introvabile – ed era stata istituita, il 17 ottobre 1983, la Fondazione Etty
Hillesum che si è impegnata in questi anni in un prodigioso recupero dei testi
originali, di quelli mancanti – con il ritrovamento di venti lettere indirizzata
all’amico Osias Korman, detenuto anche lui a Westerbork (4) – nella
pubblicazione di un’edizione integrale dell’opera, critico-scientifica, accessibile a tutti, e nella ricerca dei testimoni, di tutte quelle
persone ancora in vita che ebbero occasione di conoscere Etty Hillesum.
Leggere di queste traversie che accompagnarono la pubblicazione delle
lettere e dei diari – durate 40 anni –
prima che un editore si rendesse conto della eccezionalità assoluta degli
scritti che gli erano capitata tra le mani, lascia solo in parte stupefatti: le pagine di Etty Hillesum, infatti, anche se
destinate a tutti, a ogni potenziale lettore, non sono mai facili.
Etty era quella che si definirebbe infatti, una anima inquieta. Sempre in bilico, sempre alla ricerca di un
equilibrio tra stati di profonda e introspettiva sofferenza ed estasi
improvvise, tra illuminazioni maturate al termine di impietosi percorsi di
autoconoscenza e autoanalisi e cedimento o volontario abbandono al dominio dei sensi.
Un po’ di questa inquietudine l’aveva forse ereditata dallo spirito
russo della madre, Rebecca Bernstein, nata nella provincia del Potsjeb nel
1881, e finita in Olanda a seguito del pogrom del 1907.
Ad Amsterdam cinque anni dopo, nel 1912 aveva
sposato Louis (Levi) Hillesum, anche lui ebreo, insegnante liceale. Dal matrimonio erano nati tre figli, la
primogenita Etty, nel 1914, e poi i due maschi Jacob (Jaap) nato due anni dopo
e Misha nato nel 1920. Una intera
famiglia che fu spazzata via dal nazismo.
Insieme ad Etty, nel lager di Auschwitz trovarono infatti la morte i
genitori e il più piccolo Misha. A Jacob toccò invece l’amaro destino di
sopravvivere loro, scampando al viaggio verso il campo di concentramento, e di
morire dopo la liberazione, nell’aprile del 1945, durante il viaggio di ritorno
a casa.
Una inquietudine, quella di Etty, che risulta dichiarata in modo quasi
programmatico in un passo di una sua lettera: Io credo che nella vita si possa ricavare qualcosa di positivo in tutte
le circostanze, ma che si abbia il diritto di affermarlo solo se personalmente
non si sfugge alle circostanze peggiori. (5)
Dichiarazione che costerà ad Etty una fedeltà totale al suo destino, fino
al consapevole sacrificio finale. Quella
fedeltà che gli farà scrivere, in una delle ultime lettere dalla prigionia di
Westerbork, quando ormai è imminente la partenza per Auschwitz: La vita qui non consuma troppo le mie forze
più profonde. Fisicamente forse si è un po’ giù e spesso si è immensamente
tristi, ma il nostro nucleo interiore diventa sempre più forte (6). E ancora:
Una volta è un Hitler, un’altra è
Ivan il Terribile; per quanto mi riguarda; in un caso è la rassegnazione, in un
altro sono le guerre, o la peste e i terremoti e la carestia. Quel che conta in
definitiva è come si sopporta, e risolve il dolore, e se si riesce a mantenere
intatto un pezzetto della propria anima. (7)
Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata.
4. Korman, ebreo di origine polacca, ha a
sua volta una storia straordinaria: fu
infatti uno dei passeggeri della Saint Louis, la nave salpata dal porto di
Amburgo il 13 maggio del 1939 con
destinazione L' Avana e con 936 ebrei tedeschi in fuga dalla Germania. Il
rifiuto delle autorità cubane e poi di quelle statunitensi di accogliere i
rifugiati costrinse il comandante a tornare in Europa. Osias Korman, quattro
anni dopo finì a Westerbork. In una lettera a lui indirizzata Etty scrive: L'unica cosa che si può fare è di lasciare scaturire in ogni direzione
quel po’ di buono che si ha in sè. Tutto il resto viene dopo. Se Osias
sopravvisse alla difficile esistenza nel campo di transito, fu anche grazie a
Etty.
5. Etty Hillesum, Lettere (1942-1943), a cura
di Chiara Passanti, prefazione di Jan G.Gaarlandt, Adelphi, 1990, pag. 27.
6. E. Hillesum, Lettere, Op.cit. p.88
7. Etty Hillesum, Diario (1941-1943), a cura
di J.G. Gaarlandt, Adelphi, 1985 pag.
161.
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