Silvia Avallone è una brava scrittrice (vincitrice quest'anno del Viareggio), impegnata nel sociale, e mai banale nei suoi interventi nelle rubriche fisse che tiene in diversi quotidiani e settimanali.
Ancora di più quindi, non mi capacito come, nella sua rubrica sul settimanale Sette, in edicola il 1 agosto, possa aver definito - seppure generalizzando - la "questione Alice Munro" un "errore difficile da perdonare" alla stessa stregua cioè di "meschinità, debolezze, colpe" riscontrabili nella vita di altri romanzieri.
Come fa una come la Avallone a non sottolineare piuttosto come il caso di questa scrittrice sia molto differente: lei (la Munro) che nel lontano 1992 seppe dalla figlia ventenne che era stata stuprata dal patrigno, Gerald Fremlin, sistematicamente dai 9 fino ai 12 anni di età e oltre, e che a questa notizia lei (la Munro), come scrive oggi Franco Cordelli, non seppe rispondere se non con il suo silenzio connivente che mantenne per sempre, restando insieme al marito, Fremlin, fino alla morte di questi, nel 2013 (e nonostante un processo celebrato otto anni prima in cui Fremlin stesso aveva ammesso i fatti).
Come è possibile definire o far rientrare il comportamento della Munro nella categoria degli "errori"?
Un "errore" non fare niente, non dire niente, non denunciare, quando si scopre che tua figlia bambina è stata stuprata per anni interi dall'uomo che è tuo marito? Un errore che si protrae per anni, ai danni di una figlia bambina, un errore che oppone un silenzio omertoso giustificato dal "non voler restare sola"?
Come fa a chiamarlo "errore" una donna, una scrittrice intelligente come la Avallone?
Separare la scrittrice dalla persona privata. Si siamo d'accordo tutti. Ma per la persona privata - che di mestiere fa la scrittrice - come si fa a parlare di errore? E poi, la cosa forse non porterà anche a riconsiderare come scrive oggi Cordelli, l'orribile verità camuffata con/in una "specie di sgradevole, contorto e menzognero racconto?"
Chi parla qui di moralismo (si sta parlando con ogni evidenza di "reati", gravi reati, e non di "morale"), non sa nulla delle parole e di quello che significano. Parole che forse bisognerebbe avere l'onestà di usare in modo giusto, anche se di mezzo c'è un grande artista o un grande scrittore. Una volta si diceva dei terroristi: "compagni che sbagliano". Sì ma c'è sbaglio e sbaglio, errore e errore. Se provo la pistola su un set e so che dovrebbe essere caricata a salve e ammazzo qualcuno, è stato un errore o uno sbaglio (che non dipende soltanto da me). Se copro con il silenzio e l'omertà un reato grave, lo stupro di mia figlia bambina, non è soltanto un errore o uno sbaglio, è dolo. La differenza era chiara già agli antichi romani che hanno fondato il diritto occidentale, duemila anni fa.
Fabrizio Falconi - 2024
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