Partono le prime note della sigla e riconosci al volo l'inconfondibile Kamasi Washington e il suo sax.
Non potrebbe esserci miglior prologo.
Già dopo i primi 10 minuti hai chiaro che "Sugar" non è una serie come le altre.
Siamo, qualitativamente, molto più in alto.
Ha la faccia di Colin Farrell, attore capace di fare tutto o quasi e forse anche per via della sua faccia, si pensa quasi subito a True Detective (visto che Farrell era il co-protagonista della seconda, bellissima stagione, ovviamente non all'altezza della prima, ma questa è un'altra faccenda).
Il detective Sugar riceve l'incarico di ritrovare Olivia, nipote di un magnate ebreo di Hollywood, potente e ricchissimo. Olivia è scomparsa nel nulla. Il nonno è preoccupato, il padre no, perché la ragazza vive border line, e già più volte si è allontanata e poi è tornata.
Sugar però percepisce subito che c'è di più. Nel rapido sviluppo di 8 puntate - ciascuna molto breve, poco più di 30 minuti l'una - veniamo a scoprire che il detective fa parte di una rete, in cui ciascuno ha un compito speciale, coordinati dalla misteriosa Ruby.
L'intreccio noir si complica, ma noi, più che dalla trama siamo ammaliati dal monologo, interiore, continuo di Sugar, che accompagna i fatti. Considerazioni, paure, un sottofondo filosofico intessuto strettamente con l'azione: Sugar è un detective sui generis, contrario alla violenza, fa discorsi strani ai criminali con cui ha a che fare, li sconcerta con toni quasi naif.
E tutto, insieme alla narrazione di Sugar, si muove insieme a mille flash di pellicole famose. Sugar è un cinefilo, ha nella testa le scene di quello che vive e di quello che ha visto, al cinema. Il montaggio è prodigioso. La regia è per cinque delle otto puntate di Fernando Meirelles, uno dei registi più talentuosi in attività (premio Oscar per City of god) e per le restanti tre di Adam Arkin, figlio del mitologico Alan, uno dei più grandi attori caratteristi della storia di Hollywood.
Alla fine della 6a punta si teme che l'incanto si rompa e vada in mille pezzi: c'è infatti un colpo di scena che improvvisamente mette la vicenda - e la serie - su un binario parallelo di scie-fi.
Ma per fortuna, il delicato equilibrio resta in piedi fino alla fine. Nessun effettaccio e nessuna scorciatoia ridicola o ridicolizzante. Resta invece il tono dolente della narrazione, la singolare caratterizzazione dei personaggi, a partire dal protagonista.
E' una delle rarissime volte in cui ai titoli finali ho sentito il desiderio di vedere una seconda stagione - se e quando sarà disponibile.
Colin Farrel è magnifico, insieme ad Amy Ryan, splendida attrice, che regge una parte da quasi co-protagonista.
Altamente raccomandato.
Fabrizio Falconi - 2024
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