I tesori di Santa Maria Sopra Minerva, una delle più belle chiese di Roma
Tratto da Fabrizio Falconi - Le Basiliche di Roma - Newton Compton, Roma, 2022 - tutti i diritti riservati
La meravigliosa Basilica
a pochi passi dal Pantheon è uno dei casi in cui il nome dell’edificio
chiarisce da se stesso la sua origine, le sue fondamenta. La Chiesa di Santa Maria sopra Minerva è
una delle più straordinarie di Roma. Fondata nel secolo
VIII sui resti di un tempio di Minerva Calcidica e
rifatta in forme gotiche nel 1280, deve il suo fascino anche a questo: il
sorgere sullo stesso luogo esatto dell'antico Tempio di Iside al Campo Marzio
(o Iseo Campense o Iseum et Serapeum) che
i Romani avevano dedicato al culto delle due divinità orientali, Iside e
Serapide e che nel corso dei secoli, dopo la caduta dell’impero, ha restituito
preziosissimi reperti, in gran provenienti dall'Egitto e trasportati a Roma
dopo che quella provincia fu acquisita da Augusto dopo la morte di Cleopatra
imperatrice. Non solo: nella stessa zona dell’Iseo Campense,
sorgeva anche il Tempio di Minerva Chalcidica, costruita dall’imperatore
Domiziano, l’ultimo della dinastia Flavia, alla fine del I secolo d.C.
L’appellativo di Chalcidica significava letteralmente “guardiana” o
“portiera” e si riferiva al fatto che il tempio in onore della dea (chiamato
anche in seguito Minerveum), era
stato costruito proprio di fronte al Porticus Divorum, la grande area
porticata voluta dallo stesso Domiziano, dedicata al padre Vespasiano e al
fratello Tito.
L’esistenza di una chiesa
cristiana, edificata sopra i resti di questi edifici è testimoniata già nel 700
d.C. ed era stata affidata alle suore basiliane provenienti da Costantinopoli, ma
fu rifatta completamente in forme gotiche intorno al 1280 da architetti toscani,
quando il possesso dell’oratorio era passato nelle meni dei frati domenicani. È
dunque particolarmente importante in una città come Roma dove sono piuttosto
rari gli esempi del puro gotico.
Modificata poi con vari interventi
nei secoli scorsi, la basilica è una delle più importanti di Roma per i tesori
d'arte che contiene e per contenere le tombe della Santa patrona d’Italia,
di quattro pontefici e di innumerevoli altre personalità.
La splendida facciata – quasi
minimalista – della chiesa, fu dovuta al conte Francesco Orsini che ne finanziò
la costruzione nel 1453. Sopraggiunti problemi economici però, evidentemente,
ne bloccarono il completamento ed essa rimase incompiuta fino al 1725, fino a
quando non intervenne papa Benedetto XIII. La facciata resta ancora oggi
semplicissima, nuda e disadorna abbellita però da due portali rinascimentali (i
laterali) e uno ottecentesco (il centrale), sovrastati da tre rosoni. La
facciata, nitida e bianca fa da sfondo alla piazza antistante, al centro della
quale si erge il celebre Elefantino (o Pulcino) della Minerva, opera
dello scultore Ercole Ferrata su progetto del Bernini, che sorregge uno dei
tredici, vetusti obelischi originali egizi romani, il più piccolo di tutti
(proveniente proprio dall’Iseum et Serapeum).
L’interno della basilica è imponente, a tre navate, separate da massicci pilastri e offre al visitatore il colpo d’occhio di uno sterminato cielo stellato che fa pensare ai simili soffitti medievali a crociera della Basilica superiore di San Francesco ad Assisi, o del duomo di Siena o di San Gimignano, ma invece è di fattura moderna: risale infatti al XIX secolo, quando si scelse una decorazione più in linea con le linee gotiche antiche dell’edificio. Nel pavimento sono invece incastonate moltissime e importanti iscrizioni e sepolture. Nelle due navate laterali si aprono invece diverse cappelle che contengono numerosi tesori. Cominciando dalla navata di destra, nel primo pilastro si ammira la tomba e il busto di Antonio Castalio, una delle più belle sculture del rinascimento romano. Più avanti, nella quinta cappella, la tomba seicentesca firmata dal Maderno, di Papa Urbano VII, il pontefice che detiene il record di minor durata del pontificato: soltanto tredici giorni in tutto, dal 15 al 27 settembre del 1590. Subito dopo la sua elezione, infatti, il papa fu colto da violente febbri malariche, che ne impedirono anche la cerimonia di incoronazione. Venne sepolto in San Pietro, ma fu poi trasferito qui per la sua generosità nei confronti della Arciconfraternita dell’Annunziata che si dedicava all’assistenza delle zitelle bisognose e che aveva sede vicino a Santa Maria sopra Minerva. Sull’altare di questa cappella, una bellissima Annunciazione di Antoniazzo Romano, del 1460. Nella settima cappella, un affresco di Melozzo da Forlì – Cristo giudice tra due angeli - che adorna una delle tombe rinascimentali.
Nella navata di sinistra, invece,
la terza cappella conserva un piccolo olio su tavola, che dopo una
dubbia attribuzione al Pinturicchio, è oggi unanimemente considerato opera
di Pietro di Cristoforo Vannucci, più famoso con il nome di Perugino
(1448-1523), il maestro di Raffaello. Perugino (o allievi della sua
stretta scuola) lo realizzò negli anni successivi al 1479, quando fu
chiamato da Papa Sisto IV per decorare l'abside della Cappella della Concezione
nel coro della Basilica Vaticana. È un ritratto, quello del Salvatore del
Perugino, estremamente affascinante. Per l'uso dei colori (il verde
intenso del mantello sul rosso pompeiano della tunica), per l'effige del
volto, in espressione dolcissima, con il capo debolmente reclinato sulla
destra, il viso incorniciato dai capelli castani, le guance rosee, lo sguardo
penetrante. Perugino usò la tecnica dello sguardo animato (comune
ad altri celebri ritratti rinascimentali, tra cui La Gioconda):
grazie ad un sapiente uso della prospettiva, lo sguardo del Cristo, infatti,
sembra seguire quello dell'osservatore. Lo si sperimenta davanti al
dipinto, spostandosi lentamente da destra verso sinistra e al contrario: lo
sguardo del Cristo sembra continuare ad osservare direttamente negli occhi,
colui che guarda.
Passando ora al transetto, alla fine
della navata di destra, eccoci davanti alla meravigliosa Cappella Carafa, uno
dei capolavori assoluti del Quattrocento, con gli straordinari affreschi di Filippino
Lippi, su commissione del cardinale Oliviero Carafa. Nelle quattro vele della
volta, sono rappresentate quattro Sibille. Lo stemma al centro è quello della
famiglia Carafa. La parete centrale inserisce all’interno della scena dell’Annunciazione
la figura di san Tommaso che presenta
alla Vergine Maria il cardinale Carafa,
inginocchiato. Nella parte alta c’è l’Assunzione della Vergine e una corona di angeli
che le danzano intorno, ciascuno con in mano uno strumento musicale diverso, un
vero e proprio inventario di strumenti musicali dell’epoca. Nella parete destra,
scene della vita di san Tommaso, mentre sulla lunetta,
verso sinistra è raffigurato il miracolo del Crocifisso che parlando al Santo
gli dice: “hai scritto bene di me Tommaso, che ricompensa vuoi?”. E sembra lui
abbia risposto: “Nient’altro che te Signore”. In basso, è
raffigurato invece il Santo in cattedra che tiene in mano un libro con la
scritta: "Sapientiam sapientum perdam", che significa
"Distruggerò la sapienza del sapiente", frase tratta dagli scritti di
san Paolo. Davanti a lui una figura con un volto inquietante, raffigurante il
peccato con un cartiglio che dice "Sapientia vincit malitiam",
"La sapienza vince la malizia”, chiara allusione alla spiritualità
domenicana da sempre caratterizzata da una ricerca della Verità e una lotta al
vizio e all’errore. Tommaso è circondato da quattro figure femminili che
rappresentano la filosofia, la teologia, la dialettica e la grammatica. I molti
personaggi in primo piano sono per lo più eretici (identificati anche da
iscrizioni dorate sui loro indumenti), tra cui il profeta persiano Mani,
fondatore del manicheismo , con un dito sulle
labbra, Eutiche con un orecchino di
perla, Sabellio, Ario e altri. I libri per
terra sono quelli eretici, che stanno per essere bruciati. All’interno della
Cappella anche la grande tomba di papa Paolo IV Carafa, opera di Pirro Ligorio.
Proseguendo a sinistra del presbiterio, una statua molto particolare:
pochi sanno infatti che la basilica di Santa Maria sopra Minerva, oltre ai
molti tesori custodisce anche un’opera di Michelangelo, il Cristo Portacroce,
che fu realizzata tra il 1519 e il 1520 con l’intervento di allievi del
maestro. Originariamente il Cristo era interamente nudo, cosa che ovviamente urtò
la suscettibilità di qualche notabile o cardinale, che ordinò di ricoprirne i
fianchi con una fascia di bronzo dorato. Con lo stesso metallo fu realizzata
anche una calzatura per il piede destro, sporgente, proprio per prevenirne la
consunzione ad opera dei fedeli, come è avvenuto per il piede della statua
dell’Apostolo, in San Pietro.
Al di sotto dell’altare maggiore, realizzato in stile neogotico,
riposano i resti del corpo di Santa Caterina da Siena, contenuti in un
sarcofago del Quattrocento. La Santa, patrona d’Italia e compatrona d’Europa
morì a Roma il 29 aprile del 1380 e fu sepolta nel cimitero di Santa Maria
sopra Minerva. Il teschio e un dito sono invece conservati e venerati nella
basilica di San Domenico, a Siena, città di nascita della Santa. Il sarcofago,
che si vede attraverso i vetri, sotto l’altare è assai suggestivo, perché
raffigura la santa, giacente.
L’abside della Basilica conserva poi le tombe di due papi, opere
di Antonio da Sangallo il giovane: Clemente VII e Leone X, entrambi
appartenenti alla famiglia dei Medici. Sempre nel transetto sinistro, nel
passaggio che viene comunemente usato per l’uscita secondaria dall’edificio,
un’altra importante sepoltura: quella del Beato Angelico, al secolo Guido di
Pietro. Il sommo pittore morì a Roma il 18 febbraio del 1455 e fu qui
sepolto. La lapide interrata mostra il
rilievo del corpo del pittore con indosso l’abito domenicano, entro una
nicchia rinascimentale e una iscrizione che recita: “Qui giace il venerabile
pittore Fra Giovanni dell'Ordine dei Predicatori. Che io non sia lodato
perché sembrai un altro Apelle, ma perché detti tutte le mie ricchezze, o Cristo, a te. Per
alcuni le opere sopravvivono sulla terra, per altri in cielo. la città di
Firenze dette a me, Giovanni, i natali.” |
Tornando a Santa Caterina, nella
sagrestia della Basilica si venera il piccolo Oratorio di Santa Caterina, con
la camera dove morì la Santa, ornata da affreschi del Quattrocento. Tra le
molte altre sepolture, nella Basilica, ricordiamo quelle di altri due papi,
oltre ai tre già citati: Urbano VII (morto nel 1590) e Benedetto XIII (1730); quella
del poeta, umanista e cardinale Pietro Bembo, del vescovo Guglielmo Durand e dello
scultore Andrea Bregno. Tra le molte vicende storiche di cui la Basilica fu
testimone, vanno annoverati anche due conclavi, da cui uscirono eletti Eugenio
IV nel 1431 e Nicolò V nel 1455. Quest’ultimo, come raccontano le cronache
dell’epoca, “fu posto a sedere sopra l’altare maggiore della chiesa e vi
ricevette l’obbedienza.”
La Basilica, ogni 25 marzo
ospitava la caratteristica cerimonia in occasione della festività
dell’Annunziata, alla presenza del papa: si trattava dell’elargizione dei
sussidi dotali alle zitelle che venivano prescelte tra tutti i rioni della
città e che si riunivano nella piazza Santa Chiara, dov’era la sede della
Arciconfraternita dell’Annunziata, fondata nel 1460. Da qui, le donne, a due a
due, vestite di bianco (dovevano essere vergini e di buona reputazione) e con
una candela in mano, procedevano in processione fino a Santa Maria sopra
Minerva per assistere alla messa solenne, al termine della quale, ricevevano
dalle mani del papa un sacchetto contenente la dote che variava da un minimo di
trentacinque a un massimo di ottanta scudi, oltre alle vesti e a un fiorino per
le scarpe.
Tratto da Fabrizio Falconi - Le Basiliche di Roma - Newton Compton, Roma, 2022 - tutti i diritti riservati
Nessun commento:
Posta un commento
Se ti interessa questo post e vuoi aggiungere qualcosa o commentare, fallo.