Dieci grandi anime. 1. Dag Hammarskjold (5)
Le ultime pagine del 1961, prima della morte, sono straordinarie.
Il giorno del giovedì santo (30 marzo),
Hammarskjold davvero profeticamente, scrive:
La
morte si avvicina
Tutta la volontà di un uomo Quantum Satis
?
Egli è Deus Caritatis.
Ragionavo per intendere questo,
ma era troppo complicato per me:
finché non sono entrato nel santuario di
Dio. (14)
Le prime tre righe di questo scritto sono
tratte dal dramma di Ibsen, Brand. E davvero l’invocazione del pastore ibseniano che grida a Dio, devono
apparire ad Hammarskjold, in quei giorni di terribile solitudine, un
pre-sentimento fortissimo. Poche
settimane dopo, il 21 maggio, il giorno di Pentecoste, scrive quel brano di
diario destinato a diventare un piccolo classico della spiritualità, brano nel
quale, in poche righe, in scarne parole, è contenuto il significato di una vita
intera e di una ricerca. Una traccia di cammino, testamento esemplare da consegnare ai posteri:
Io
non so chi - o che cosa - abbia posto la domanda. Non so quando essa sia stata
posta. Non so neppure se le ho dato una risposta. Ma una volta ho risposto sì a
qualcuno - o a qualcosa. Da quel momento è nata la certezza che l'esistenza ha
un senso e che perciò, sottomettendosi, la mia vita ha uno scopo. Da quel
momento ho saputo cosa significhi non guardare dietro a sé, non preoccuparsi
del giorno seguente. Guidato attraverso il labirinto della vita dal filo
d'Arianna della risposta, ho raggiunto un tempo e un luogo, in cui venni a
sapere che il cammino porta a un trionfo, e che il crollo a cui esso conduce è
il trionfo; venni a sapere che il premio per l'impegno nella vita è
l'oltraggio, e che l'umiliazione più profonda costituisce l'esaltazione massima
che all'uomo sia possibile. Da allora la parola coraggio ha perduto il suo
senso, in quanto nulla poteva venirmi tolto. Proseguendo il cammino imparai,
passo dopo passo, parola per parola, che dietro a ogni detto dell’eroe dei Vangeli,
vi è un essere umano e l’esperienza
di un uomo. Anche dietro la preghiera che il calice gli
fosse allontanato e dietro la promessa di vuotarlo. Anche dietro ogni parola sulla croce. (15)
La consapevolezza che nulla può essere tolto. Una pienezza nuova e sconosciuta e finalmente
raggiunta. Nella umanità divina, nella sottomissione del Figlio, nel compimento
di un sì, egli trova la risposta
tanto agognata. La domanda è stata posta
nel modo giusto, la risposta è arrivata prima di comprendere pienamente la
domanda, sulla base di una fiducia totale, di una sottomissione senza pretese,
nella certezza di essere nel giusto. Il 2 agosto del 1961, 40 giorni prima
dell’incidente scrive:
Onnipotente…
Perdona
il mio dubbio,
la mia ira,
il mio orgoglio.
Piegami
con la tua grazia.
Innalzami
con il tuo rigore.
Nel Getsemani personale di Hammarskjold
l’ora è giunta. E’ un nuovo paese, scrive
nell’ultima pagina del suo diario, il 24 agosto, in una realtà diversa da quella del giorno ? Oppure ho vissuto io lì,
prima del giorno ? …. Eppure è lo stesso paese. E comincio a riconoscere la
mappa e i punti cardinali.
I contorni del nuovo paese sono forse
quelli di una nuova Gerusalemme. O
almeno così piace immaginare, quando si giunge al termine della lettura delle
fitte pagine di Markings, il Diario di Hammarskjold. Il sacrificio, come tutto lasciava
presagire, si compì.
Riguardo
la sua morte oggi sappiamo che si trattò, con ogni probabilità di un omicidio,
voluto dalla compagnia franco-belga Unione
Miniere, una eliminazione motivata
dall'opposizione dell'allora segretario generale dell'Onu alla secessione di
una regione, goloso obiettivo di una delle società minerarie più potenti del
pianeta. Scrive Luciano Canfora: “E ora, dopo quarant’anni, nelle pagine molto
interne dei giornali, leggiamo quello che abbiamo sempre saputo: che l’Unione Miniere condannò a morte (per
"incidente aereo") anche Hammarskjold, il segretario generale
dellOnu, colpevole di opporsi alla secessione del Katanga, preda avita
dellUnione Miniere”. (16)
Quel viaggio doveva servire al
Segretario Generale per raggiungere il villaggio di Ndola, al confine tra
Katanga e Rhodesia del Nord ed incontrare i secessionisti, convincerli a
intavolare subito una trattativa di pace.
All’aeroporto di Leopoldville, prima di
salire sulla scaletta dell’aereo, per l’ultimo volo fatale, Hammarskjold aveva
confidato all’amico Sture Linner di aver appena intrapreso una propria
personale traduzione dell’opera capitale di Martin Buber, l’Io e il Tu.
Per l’uomo che aveva fatto della sua
vita – al prezzo di una personale solitudine e di una devozione estrema - un
inno alle possibilità della relazione, di ogni relazione, umana e divina,
davvero non poteva esserci un testo programmaticamente più scelto di questo.
“Lo
scopo della relazione” scrive Buber
in una delle pagine più intense di quel libro, “è la sua stessa essenza, ovvero il contatto con il Tu; poiché
attraverso il contatto ogni Tu coglie un
alito del Tu, cioè della vita eterna.” (17) (5-FINE)
Fabrizio Falconi © - proprietà riservata
14. Op. cit. pag. 224 Fabrizio Falconi © - proprietà riservata
15. Op.cit. pag.225
16. Luciano Canfora, “Critica della retorica democratica”, Laterza, 2002.
17. Martin Buber, Io e Tu, in Principio Dialogico, Comunità Milano, 1958, pag. 57.
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