1. (Dieci grandi anime) - Dag Hammarskjold (2)
Quel
che appare certo è che in un certo senso Dag Hammarskjold aveva un destino già
scritto, se è vero che egli era l’ultimo dei quattro figli maschi di Hjalmar
Hammarskjold, eminente politico del dopoguerra svedese, che fu anche primo
ministro e membro dell’Accademia Reale di Svezia. Quando Dag, alla sua morte, è chiamato a prenderne il posto, alla fine
del 1953, pronuncia un celebre discorso in memoria del padre. E ricordando il
se stesso diciannovenne che seguiva dalla tribuna la cerimonia di insediamento
del padre, dice: le parole che lui
pronunciò riassumevano, per me, una vita di fede nella giustizia e di servizio
compiuto nella negazione di sé, sotto una responsabilità che ci unisce tutti.
Negazione di sé, sottomissione, darsi agli
altri, sono le parole d’ordine che risuonano quasi in ogni pagina del
Diario di Hammarskjold. Sembrano
coniugare la personale teodicea di quest’uomo che pronuncia la parola ‘fede’
con molta esitazione, e che con la stessa prudenza e attenzione si rivolge a
Dio.
Eppure, Hammarskjold, soltanto a
scorrere il suo Diario, appare un assiduo frequentatore delle Scritture. Quasi ogni pensiero è scandito di echi,
magari anche lontani, anche non espliciti, all’Antico e al Nuovo Testamento.
E quando i soccorsi raggiungono in
Africa il luogo dell’incidente aereo, in
quel giorno d’estate del 1961, scoprono, non lontano al cadavere di
Hammarskjold, la copia tascabile del De
Imitatione Christi di Tommaso da Kempis, uno dei testi più popolari della
spiritualità cristiana. La stessa copia che Hammarskjold teneva abitualmente
sul comodino del suo appartamento di New York,
che portava sempre con sé e che era accompagnata da un segnalibro molto
particolare: una cartolina su un lato del quale era battuto a macchina il
giuramento formulato nella cerimonia di insediamento come Segretario Generale
delle Nazioni Unite.
Un uomo di fede, dunque, si direbbe
senza alcun dubbio.
Eppure, scorrendo le brevi frasi, le
rapide illuminazioni contenute nelle
pagine dei Diari, si scoprono gli angoli di un negoziato con Dio vissuto al prezzo di dubbi, lacerazioni del
cuore, paure, incerti scaturiti da notti insonni, o da pause meditative durante
le quali il compito di operatore di pace tra popoli e genti che non volevano
saperne di ragionare, dialogare, smettere di guerreggiare, doveva apparirgli
improbo, disperato.
Chi ama vuole la perfezione dell’amato, scrive la vigilia di Natale del 1955, la
quale esige l’essere liberi persino da chi ama. Dio vuole la nostra indipendenza e in essa
noi “ricadiamo” in Dio, quando smettiamo di cercarla da soli.
Ma questa libertà, questa indipendenza
che Dio lascia all’uomo è forse anche pericolosa. Hammarskjold la avverte come un campo aperto,
dove è molto facile perdersi, ancora di più per un uomo come lui esposto a
tentazioni umane molto tangibili e suadenti: il potere, l’autoaffermazione, il
riconoscimento degli altri, il narcisismo, l’interesse personale.
Il
cristiano Hammarskjold procede allora su un altro piano, che è quello della totale sottomissione ai
disegni di Dio, una sottomissione che viene avvertita anche nei toni di un
destino personale, forse pre-sentito. E’
infatti curioso constatare come riecheggino per tutto il diario presentimenti
di una possibile fine imminente, di un annientamento. Basti pensare che ogni
nuovo anno del taccuino personale, si apre con la stessa frase: “e presto verrà la notte”…
La condizione umana è quella, per come
viene sperimentata da Hammarskjold, di un viaggio senza ritorno, di un cammino
che una volta intrapreso ha un solo possibile epilogo, quello del sacrificio e
del grande salto nell’Oltre. Tornare
indietro non è possibile. Vi è un punto
in cui tutto diviene semplice, in cui non c’è più alternativa, poiché tutto
quello che hai puntato è perso se ti guardi indietro. Il punto di non ritorno,
proprio della vita. (3)
Il cammino della vita procede su
coordinate fisse, soltanto in parte decise ab
origine. E una di queste coordinate, quella zenitale, è la responsabilità
personale. Responsabilità personale che
consiste, in primis, nel non deludere le aspettative. Nell’essere all’altezza. Dag ha fatto propria una massima di Joseph
Conrad che ripete spesso: Vivere secondo
le aspettative dei propri amici. (-segue 2./).
Fabrizio Falconi © - proprietà riservata
3. Op. cit. pag. 83.
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