Roma significa il Mondo.
A Roma ho visto che il Tevere non è bello, ma trascurato nelle banchine, da dove spuntano rive a cui non c'è chi metta mano. Nessuno usa le navi da carico brunite dalla ruggine, nemmeno le barche. .. A Roma ho visto nel ghetto che non bisogna lodare il giorno prima della sera. Ma nel giorno dell'espiazione a ciascuno sarà perdonato in anticipo per un anno..
Ho visto a Campo de' Fiori che Giordano Bruno continua ad essere bruciato. Ogni sabato, quando smantellano le bancarelle intorno a lui restano solo le fioraie, quando la puzza di pesce, cloro e frutta marcita va disperdendosi sulla piazza, gli uomini raccolgono sotto i suoi occhi i rifiuti che sono rimasti dopo che di tutto è stato fatto mercato, e danno fuoco al mucchio.
Sul Campidoglio l'alloro e nel foro l'erbaccia proditoria, e quando l'erba sulle colonne chiuse con assi e sulle mura spezzate piombava nel crepuscolo, ho udito il rumore della città, ingannevolmente lontano, e soave lo scivolare delle automobili.
Ho visto, dove le strade di Roma finiscono, insinuarsi in città il cielo trionfante che non si chinava sotto nessun portone e si estendeva sopra i sette colli, azzurro dopo le scorrerie sulle coste della Sicilia e pieno dei frutti delle Isole del Mar Tirreno, illeso dopo gli assalti nei briganti d'Abruzzo e nero di grappoli di rondini, sopra gli Appennini.
A Roma ho visto che tutto ha un nome e che bisogna conoscere i nomi.
Alla stazione Termini ho visto che a Roma i commiati sono presi più alla leggera che altrove. Perché quelli che partono lasciano a quelli che restano lo scontrino della nostalgia.
Ingeborg Bachmann - inedito, dal Messaggero del 17 settembre 2013, anticipazione del libro Quel che ho visto e udito a Roma, di Ingeborg Bachmann pubblicato da Quodlibet.
Quel che ho visto e udito a Roma
Presentazione di Giorgio Agamben
Con una nota di Jörg-Dieter Kogel
Traduzioni di Kristina Pietra e Anita Raja
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Le corrispondenze da Roma di Ingeborg Bachmann per la radio di Brema (1954-'55), qui pubblicate insieme agli articoli da lei scritti nello stesso periodo per alcuni giornali tedeschi, sono un ritrovamento recente e testimoniano sia di un aspetto sconosciuto di questa ormai celebratissima scrittrice, sia di uno spaccato dell’Italia postbellica visto da una angolatura di eccezione. La Bachmann conosceva perfettamente l’italiano e si orientava con sicurezza nella politica e nella cultura locali. Dietro lo pseudonimo Ruth Keller, ella riferisce sugli argomenti più scottanti del periodo: su misteriosi eventi criminosi negli ambienti altolocati romani (il caso Montesi), su presunti tentativi di eversione da parte dei comunisti italiani, sulle catastrofi naturali che colgono di sorpresa i già provati popoli della Campania, sulle inquietanti manovre della mafia, sull'’ascesa alla ribalta della Lollobrigida e sulla ratifica dei “trattati di Parigi”. Un’occasione per ripercorrere la vita italiana degli anni ’50, meno distante da quella odierna di quanto si pensi, e per comprendere meglio l’attività di una scrittrice che ancora non ha finito di svelare tutti i suoi segreti. Assieme alle “Cronache”, pubblichiamo una breve prosa coeva, che dà il titolo all’intero volume, e che parla a sua volta di Roma. Associamo al grado meno letterario e più “fattuale” della scrittura bachmanniana una prosa intrisa di ispirazione conforme allo stile più noto e più felice della scrittrice. Si apre così lo spazio totale entro cui si muove l’occhio della Bachmann e da cui affiora il suo ritratto di Roma, e molti dei motivi che popolano le altre sue opere letterarie.
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