02/04/17
E' morto Evtusenko. Poesia della domenica: "Distacco" di Evgenij Evtusenko.
Distacco
Il suono di un fischietto.
Il crescere del rumore.
Il treno passa come un lampo,
tra la polvere alta fino alla cintola.
L’arcata di un viadotto.
L’ansa di un fiume.
Lontano – pioppi e campi di canapa
– balenare di fazzoletti colorati.
Ragazze con allegra malizia nello sguardo,
il mercato, circondato
da dighe di
orci luccicanti,
montagne di sacchi su carri,
catinelle piene
di fragole di giardino,
sirene di locomotive
intorno alle pompe degli scali,
vagoni,
marciapiedi
e pensiline di stazioni,
caselli ferroviari,
casette di legno,
pali di telegrafo,
villaggi,
cespugli,
ponti..
Abbiamo già preso posto.
E già la hostess
ha distribuito le materassine.
E già, strada facendo, ci siamo
affiatati.
Ai nuovi nomi ci siamo abituati.
Già il mio compagno ha tirato fuori un tramezzino,
già si fa coda per l’acqua.
Già qualcuno, deposto a terra
un pesante bagaglio,
ha tracciato l’immancabile “pul’ka”,
un’armonica lontana
ha improvvisato una polca,
suoni di allegria,
senza rimpianti,
e io,
sistemato nella cuccetta superiore,
avvolto in una nuvola di tabacco Belomòr,
ascoltavo.
Chissà da dove
approdava un soffio
di fresca estate
tra il lungo gemito dei respingenti
e i secchi contraccolpi delle ruote,
e a un tratto –
un dialogo:
“Indovina, amico mio, indovina
che ragazza ho incontrato!
Se solo potessi fare amicizia,
conoscerla meglio, rivederla almeno una volta…” “Ma piantala, con queste assurdità! Ma dove credi che la rivedrai?”
“La rivedrò!”
“Ma davvero pensi che la ritroverai?”
“La ritroverò!”
Ascoltavo, come una corda vibra al suono;
come un’eco, ascoltavo
le confidenze di sconosciuti.
Scusate.
Anch’io lasciavo qualcuno,
anch’io mi separavo
dalla mia ragazza.
Sì, mia brava ragazza,
che senso
ha lamentarsi perché ci attende
un nuovo disagio,
una nuova inquietudine?
Non te ne vai forse anche tu?
Ma tu, soltanto,
da una stazione diversa per diversa strada…
Non m’importa che la gente
di casa
dica di me:
“Quando si stancherà,
alla fine,
di ripartire, di andar lontano, sempre?…”
Sì, andarmene lontano, questo per me ci vuole,
correre col treno,
rotolare con la neve,
incontrarti di nuovo
e poi di nuovo –
via! partire.
A ogni nuova separazione,
sempre più ti avvicini.
A te
io vengo
per sentieri di cerca.
“Ma dove credi che la rivedrai?”
“La rivedrò!”
“Ma davvero pensi che la ritroverai?”
“La ritroverò”.
Evgenij Evtušenko, 1952, tratto da Poesie, traduzione di Alfeo Berdin, Garzanti, 1970.
24/03/17
Menomale che ci sono i Mecenati stranieri: Tornerà alla luce il Foro di Cesare !
Dalla Danimarca arriva un importante
atto di mecenatismo per riportare alla luce il Foro di Cesare
nella sua interezza.
Un significativo contributo alla conoscenza
della storia che si cela nell'area archeologica dei Fori
Imperiali, patrimonio culturale dell'umanità.
Ne dà notizia il campidoglio che spiega in una nota che la
Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali ha siglato nei giorni
scorsi una convenzione con l'Accademia di Danimarca, del valore
di € 1.500.000 erogato dalla Fondazione Carlsberg di Copenhagen
(senza alcun onere di spesa a carico dell'amministrazione
capitolina), finalizzata all'ampliamento del Foro di Cesare,
tuttora l'unico dei cinque complessi architettonici imperiali a
essere visibile nell'intera lunghezza originaria, mentre
l'apprezzamento della sua larghezza è impedito dal fatto che
un'ampia parte di esso giace ancora sotto il bordo di Via dei
Fori Imperiali.
L'intervento, possibile grazie al significativo apporto danese,
si innesta in un percorso di risistemazione dell'area promosso
dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e dalla
Soprintendenza Speciale per il Colosseo e l'Area Archeologica
Centrale di Roma, e costituisce la prima tappa di un più
articolato e complessivo disegno che mira alla creazione di un
rapporto armonico tra l'antico e la città moderna, restituendo in
tal modo continuità al racconto storico di cui la Roma
contemporanea è il risultato.
Le attività oggetto dell'accordo con
la Danimarca avranno una durata di tre anni, eventualmente
rinnovabile, e comprendono nella fase preliminare la
realizzazione di un programma di ricerche finalizzato alla
conoscenza delle varie fasi del complesso e alla sua fruizione.
Seguirà la fase operativa con la realizzazione dello scavo
archeologico in cui verranno effettuate le indagini
stratigrafiche, la numeratura e schedatura dei reperti, il
rilevamento e la documentazione grafica e fotografica dei
ritrovamenti e la esecuzione degli interventi di primo restauro
su murature e materiali.
L'area corrispondente all'antico Foro di Cesare è stata in larga
parte scoperta nel corso di due ampi interventi di scavo
realizzati dal Governatorato di Roma nel 1932-1933 e dalla
Sovrintendenza Capitolina nel 1998-2000.
Attualmente sono
visibili i lati occidentale e meridionale, occupati dai portici,
e un ampio tratto di quello corto settentrionale al cui centro
rimangono i resti del Tempio di Venere Genitrice, con tre colonne
della peristasi rimontate nel 1933.
Obiettivo dello scavo è
quello di riportare alla luce il fianco orientale del tempio e
l'intero portico orientale della piazza, attualmente sepolti
sotto la sede stradale di via dei Fori Imperiali e sotto i
marciapiedi e le aiuole che la fiancheggiano.
Lo scavo potrebbe aggiungere, inoltre, importanti dati
storico-scientifici alla conoscenza delle vicende medievali e
moderne del monumento; nel sottosuolo è infatti presente una
ricca sequenza stratigrafica riguardante soprattutto i secoli
centrali del Medioevo, quando nell'area della piazza si insediò
un agglomerato umano con le tipiche abitazioni dell'epoca, delle
quali sono stati ritrovati molti resti.
Sulla base della sequenza
stratigrafica è poi prevedibile anche il ritrovamento di nuove
sepolture afferenti a una necropoli protostorica dei secoli XI-X
a.C. della quale tra il 1998 e il 2008 sono state già scavate 10
tombe, reperti importantissimi che consentono di ricostruire il
paesaggio pre-urbano della nascente città di Roma e di gettare
ulteriore luce sulle modalità della sua fondazione.
23/03/17
"Storia del mondo in 500 camminate" di Sara Baxter: esce un libro per scoprire e sognare.
Valicare le Alpi come Annibale con gli elefanti o calpestare
lo stesso basolato dei crociati armati fino a i denti alla
conquista della Terra Santa. Sognare di merci e pietre preziose
sulle Mura di Xi'An ripercorrendo l'antica via della Seta e poi
su per il Monte Roraima, nella jungla piu' intricata del
Venezuela, che gli indigeni Penom vogliono abitata dagli spiriti
ancestrali mawari.
Viaggiare nel tempo? Un modo c'e'. "Basta scegliere il giusto
mezzo di trasporto: le proprie gambe. E, certo, usare un po' di
immaginazione".
Parola di Sara Baxter, gia' firma del
Wanderlust, vera e propria bibbia del moderno viaggiatore
evoluto, oltre che per il Guardian, The Telegraph e una decina
di guide Lonely Planet, oggi autrice di un'inedita "Storia delmondo in 500 camminate" (ed. Rizzoli, pp. 400 - 29,00 euro).
Una guida illustrata, attraverso paesi e tempi, con passeggiate
in tutto il mondo (di lunghezza e difficolta' variabile), che
spaziano dal Circolo polare artico alla Grande muraglia cinese,
dalla via Francigena che dalla cattedrale di Canterbury in Gran
Bretagna vien giu' fino alla Basilica di S. Pietro a Roma e il
Grand Canyon americano, con i suoi rossi unici al mondo.
Avventure da scegliere (o anche solo sognare) non solo per i
paesaggi mozzafiato o le opere d'arte, ma per ricalcare passi
ormai millenari ed entrare in contatto con il passato. Suddivise
in sei capitoli in ordine cronologico, le camminate partono
infatti dalla preistoria per arrivare al Novecento passando per
il Mondo antico, Medioevo ed Eta' moderna.
Alcune sono rotte da sognare almeno una volta nella vita come
il Cammino degli Inca: quattro giorni attraverso le Ande
Peruviane lungo vie lastricate del XV secolo fino alla citta'
perduta di Machu Picchu, miracolosamente scampata ai
conquistadores spagnoli.
Altre hanno il sapore della sfida
eterna, come le nevi perenni dell'Himalaya o i misteriosi Moai
scolpiti all'isola di Pasqua.
Altre ancora vantano nomi
evocativi come il sentiero dei Fuggiaschi in Sudafrica o del
Filosofo in Giappone.
"Ma ogni volta - scrive la Baxter - non
importa dove, state certi che qualcuno o qualcosa vi ha
preceduti su quello stesso percorso"
Tra transumanze, sentieri di pellegrini, rotte commerciali,
marce militari e coraggiose esplorazioni, ecco allora il giro
dell'Uluru, il grandioso massiccio sacro al popolo degli
aborigeni australiani, o il sentiero del Vallo costruito
dall'imperatore Adriano duemila anni fa in Gran Bretagna per
tenere lontani i barbari.
C'e' l'ascesa alla Boccia d'oro, in
Birmania, con una gigantesca roccia pericolosamente in bilico
che si dice sia retta appena da un capello di Buddha. O il
sentiero del Muro di Berlino, dove rivivere, passo dopo passo,
una delle pagine piu' atroci del Novecento lungo la barriera che
fino all'89 divideva in due la citta', Checkpoint Charlie
compreso.
Senza andare troppo lontano, tanti i percorsi anche in
Italia.
Come la salita al Vesuvio, "modestamente" indicato
come "uno dei vulcani piu' pericolosi al mondo", o la Via
Appia, viaggio nel tempo in una delle primissime strade romane,
dove ancora oggi si puo' passeggiare tra resti gloriosi e le Mura
Aureliane.
E per chi ha un po' di ferie in vista di Pasqua, il
percorso puo' diventare anche occasione spirituale. Ecco allora
il cammino di Abramo: 970 km tra Turchia, Giordania, Palestina e
Israele, dal monte Nemrut a Petra, sui passi del patriarca
biblico. O i segni lasciati da Cristo, in Galilea, in cammino da
Nazaret alle rive del lago di Tiberiade. Fino alla vetta del
Monte Sinai, da conquistare in Egitto, arrampicandosi all'alba
fin lassu', dove Mose' incontro' Dio.
22/03/17
La chiesa di Santa Maria della Vittoria e lo scandaloso Ermafrodito.
La chiesa di Santa Maria della Vittoria,
all’angolo tra via xx Settembre e
piazza San Bernardo, costruita da Carlo Maderno nel 1608, su committenza del
cardinale Scipione Borghese, è una delle più famose di Roma (conserva, fra
l’altro, i trofei, cioè le bandiere e le insegne sottratte ai turchi nella
battaglia di Praga del 1757), soprattutto per la splendida cappella Cornaro,
opera di Gian Lorenzo Bernini, che ospita una delle più insigni opere della
scultura di tutti i secoli, di straordinaria modernità, L’Estasi di santa Teresa.
La scultura del Bernini ha da sempre colpito
l’immaginazione dei visitatori proprio per quella componente erotica che il
grande artista riuscì a infondere nell’atto mistico per eccellenza della santa,
ovvero l’estasi.
Per uno strano scherzo del caso, proprio le
fondamenta di questa chiesa restituirono, nel corso dei secoli, una delle opere
più conturbanti della scultura classica: il celebre Ermafrodito, capolavoro dell’arte ellenistica.
Il ritrovamento dell’opera avvenne dunque
proprio in via xx Settembre e
proprio quando si decise di dare vita alla nuova chiesa.
In un territorio che era quasi completamente
campagna, i frati carmelitani scalzi possedevano una vigna con un romitorio, e
decisero di costruire una chiesa da dedicare a san Paolo. I lavori, cominciati
nel 1608, si protrassero a lungo.
Nel 1619, come riferiscono le cronache
dell’epoca, «nel piantarsi una spalliera nell’orto del convento», i costruttori
videro con sorpresa emergere dalla terra smossa il candore di una statua
classica, che si rivelò, una volta estratta, una splendida scultura
di ermafrodito dormiente, subito identificata come la copia romana di un
capolavoro ellenistico realizzato dal Policle nel ii secolo a.C., di cui parla Plinio nella sua HistoriaNaturalis.
La bellissima scultura mostrava un corpo
“ambiguo” semiaddormentato, riverso, che nell’atto di girarsi nel sonno,
mostrava i caratteri di entrambi i sessi.
Un soggetto che era assai diffuso nella Roma e, soprattutto, nella Grecia classica,
ma lo era molto meno nell’epoca
della Roma cattolica del Seicento. Il
rinvenimento, infatti, imbarazzò non poco i frati, i quali decisero di donare l’opera al cardinale
Scipione Borghese, famelico collezionista e nipote del papa, Paolo v.
Così orgoglioso del suo nuovo trofeo, il
cardinale diede ordine di trasportare la
statua nella sua villa, a porta Pinciana, e ne dispose il restauro
affidandolo al suo scultore prediletto, Gian Lorenzo Bernini, il quale, dopo
averla lungamente studiata, decise di valorizzarla, adagiando il corpo
dell’ermafrodito su di un morbido materasso marmoreo e di un soffice cuscino,
riprodotti con incredibile virtuosismo.
Per suggellare poi l’opera a vantaggio dei suoi committenti, Bernini,
creò una specie di letto di legno – su cui poggiava il materasso e l’intera scultura
– imprimendovi sopra lo stemma araldico dei Borghese e l’iscrizione: «duplex cor uno
in pectore / saepeinvenies / Cave insidias», (troverai
spesso due cuori nello stesso petto: guardati dagli inganni). Ma la scultura non rimase per sempre nella sala
approntata dal cardinale Borghese: nel 1807, pressato dai debiti e
costretto dai giochi di potere, il principe Camillo Borghese II fu costretto a vendere l’intera
collezione – compreso l’Ermafrodito– al cognato Napoleone Bonaparte.
La scultura prese così la strada della Francia, e oggi
costituisce uno dei pezzi più apprezzati della collezione d’arte antica
del Museo del Louvre, a Parigi, mentre l’opera che si può vedere
al palazzo Massimo alle terme è semplicemente una copia.
Anche se lontana, la storia dell’ermafrodito
romano continua comunque a incantare, soprattutto per il suo richiamo mitico:
Ermafrodito, infatti, secondo la mitologia, era il figlio di Hermes
(Mercurio) e di Afrodite (Venere). La ninfa Salmace (di cui canta Ovidio nelle Metamorfosi) si innamorò di lui, senza essere ricambiata. Nella fontana sacra alla ninfa, vicino
ad Alicarnasso, Salmacide si avvinghiò così forte al corpo
dell’amato (che stava nuotando) da fondersi con lui. I due divennero quindi un
essere solo – metà uomo e metà donna – indivisibile per l’eternità.
Una storia che ancora oggi affascina e
incanta.
Forse anche per esorcizzare il ritrovamento
scandaloso, la chiesa di Santa Maria della Vittoria, fu invece intitolata alla
Madonna: la vittoria di Praga – riportata dalle armate cattoliche di Ferdinando
ii d’Asburgo su quelle protestanti
(1620) al termine della guerra dei Sei anni – era stata infatti attribuita al
ritrovamento inaspettato di un’immagine della Vergine, che fu però distrutta da
un incendio scoppiato la notte del 29 giugno 1833.
L’attuale icona, conservata sull’altare
maggiore, è una copia, fatta rifare a spese del principe Torlonia, che
impreziosì anche l’altare di ornamenti e rari marmi.
Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. Tratto da Misteri e segreti dei Rioni e dei Quartieri di Roma, Newton Compton Editore
"Pompei e i Greci", dal 12 aprile, una grande imperdibile mostra.
La mostra, curata dal Direttore generale Soprintendenza Pompei Massimo Osanna e da Carlo
Rescigno (Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli), è promossa dalla
Soprintendenza Pompei con l’organizzazione di Electa.
Pompei e i Greci racconta le storie di un incontro: partendo da una città italica, Pompei, se ne esaminano i frequenti contatti con il Mediterraneo greco.
Seguendo artigiani, architetti, stili decorativi, soffermandosi su preziosi oggetti importati ma anche su iscrizioni in greco graffite sui muri della città, si mettono a fuoco le tante anime diverse di una città antica, le sue identità temporanee e instabili.
Sono oltre 600 i reperti esposti tra ceramiche, ornamenti, armi, elementi architettonici, sculture provenienti da Pompei, Stabiae, Ercolano, Sorrento, Cuma, Capua, Poseidonia, Metaponto, Torre di Satriano e ancora iscrizioni nelle diverse lingue parlate -greco, etrusco, paleoitalico-, argenti e sculture greche riprodotte in età romana.
La mostra nasce da un progetto scientifico e da ricerche in corso che per la prima volta mettono in luce tratti sconosciuti di Pompei; gli oggetti, provenienti dai principali musei nazionali e europei, divisi in 13 sezioni tematiche, rileggono con le loro ‘biografie’ luoghi e monumenti della città vesuviana da sempre sotto gli occhi di tutti.
L’allestimento espositivo, che occupa gli spazi della Palestra Grande di Pompei, è progettato dell’architetto svizzero Bernard Tschumi e include tre installazioni audiovisive immersive curate dallo studio canadese GeM (Graphic eMotion).
La grafica di mostra e la comunicazione sono disegnate dallo studio Tassinari/Vetta. Pompei e i Greci illustra al grande pubblico il fascino di un racconto storico non lineare, multicentrico, composto da identità multiple e contraddittorie, da linguaggi stratificati, coscientemente riutilizzati: il racconto del Mediterraneo.
Una narrazione che suggerisce non da ultimo, un confronto e una riflessione con il nostro contemporaneo con il suo dinamismo fatto di migrazioni e conflitti, incontri e scontri di culture.
La mostra di Pompei è la prima tappa di un programma espositivo realizzato congiuntamente con il Museo Archeologico di Napoli: qui, a giugno, si inaugurerà una mostra dedicata ai miti greci, a Pompei e nel mondo romano, e al tema delle metamorfosi.
Pompei e i Greci
sede Pompei, Palestra Grande
orari aperto tutti i giorni dal 14 aprile al 31 ottobre dalle 9.00 alle 19.30 (ultimo ingresso alle 18)
1-27 novembre dalle 9 alle 17 (ultimo ingresso alle 15.30)
chiuso 1 maggio
Pompei e i Greci racconta le storie di un incontro: partendo da una città italica, Pompei, se ne esaminano i frequenti contatti con il Mediterraneo greco.
Seguendo artigiani, architetti, stili decorativi, soffermandosi su preziosi oggetti importati ma anche su iscrizioni in greco graffite sui muri della città, si mettono a fuoco le tante anime diverse di una città antica, le sue identità temporanee e instabili.
Sono oltre 600 i reperti esposti tra ceramiche, ornamenti, armi, elementi architettonici, sculture provenienti da Pompei, Stabiae, Ercolano, Sorrento, Cuma, Capua, Poseidonia, Metaponto, Torre di Satriano e ancora iscrizioni nelle diverse lingue parlate -greco, etrusco, paleoitalico-, argenti e sculture greche riprodotte in età romana.
La mostra nasce da un progetto scientifico e da ricerche in corso che per la prima volta mettono in luce tratti sconosciuti di Pompei; gli oggetti, provenienti dai principali musei nazionali e europei, divisi in 13 sezioni tematiche, rileggono con le loro ‘biografie’ luoghi e monumenti della città vesuviana da sempre sotto gli occhi di tutti.
L’allestimento espositivo, che occupa gli spazi della Palestra Grande di Pompei, è progettato dell’architetto svizzero Bernard Tschumi e include tre installazioni audiovisive immersive curate dallo studio canadese GeM (Graphic eMotion).
La grafica di mostra e la comunicazione sono disegnate dallo studio Tassinari/Vetta. Pompei e i Greci illustra al grande pubblico il fascino di un racconto storico non lineare, multicentrico, composto da identità multiple e contraddittorie, da linguaggi stratificati, coscientemente riutilizzati: il racconto del Mediterraneo.
Una narrazione che suggerisce non da ultimo, un confronto e una riflessione con il nostro contemporaneo con il suo dinamismo fatto di migrazioni e conflitti, incontri e scontri di culture.
La mostra di Pompei è la prima tappa di un programma espositivo realizzato congiuntamente con il Museo Archeologico di Napoli: qui, a giugno, si inaugurerà una mostra dedicata ai miti greci, a Pompei e nel mondo romano, e al tema delle metamorfosi.
Pompei e i Greci
sede Pompei, Palestra Grande
orari aperto tutti i giorni dal 14 aprile al 31 ottobre dalle 9.00 alle 19.30 (ultimo ingresso alle 18)
1-27 novembre dalle 9 alle 17 (ultimo ingresso alle 15.30)
chiuso 1 maggio
21/03/17
"La caduta delle utopie è la caduta stessa del futuro", Claudio Magris sull'Europa, a Berlino.
"In Europa bisogna eliminare il
principio dell'unanimità perché così non si va avanti.
L'unanimita' non e' un principio delle democrazie ma delle
dittature".
Lo ha detto lo scrittore Claudio Magris intervenendo
all'Ambasciata d'Italia a Berlino in occasione della
manifestazione Dedika 2017, organizzata dall'Istituto di cultura
italiano, in concomitanza con le celebrazioni del 60mo
anniversario della firma dei Trattati di Roma.
"Dell'Europa colpisce un po' il tentennare, il voler
conciliare tutto e il suo contrario", ha proseguito Magris
sottolineando il sogno di un'Europa federale.
"Vorrei votare il
mio presidente dell'Unione e vorrei che gli Stati nazionali
fossero quello che i Laender tedeschi sono per la Germania", ha
aggiunto, "la tutela degli interessi nazionali non deve
diventare partigiana".
"La caduta delle utopie e' la
caduta stessa del futuro", ha aggiunto Magris. Le utopie del Novecento
sono state il tentativo grandioso e tragicamente fallito della
politica di controllare l'economia, "oggi uno dei disastri e' il discredito dell'utopia".
Per Magris si e' "perso il senso che il mondo cosi' come e' non
basta e che non va solo amministrato".
Prevale una mancanza di
visione del futuro, ha proseguito, c'e' "una terribile caduta
dell'idea stessa che possa pensarsi un futuro diverso".
Per lo
scrittore triestino, il disincanto necessario, il sapere come
vanno le cose, va associato alla "capacita' di incantarsi", di
immaginare che "le cose possano essere diverse, almeno un po'".
"I realisti sono quelli che comprendono poco la realta'", ha
concluso Magris.
Nel confronto con altri popoli e
altre culture, "siamo in un momento in cui dobbiamo decidere
cosa accettare e cosa respingere". Per lo
scrittore triestino "bisogna unire il massimo possibile di
relativismo, cioe' di apertura alle culture degli altri, con il
minimo necessario di universalismo": principi irrinunciabili,
come "l'uguaglianza dei diritti delle persone".
Per Magris
l'apertura alle altre culture e' necessaria, "ma un mondo in cui
tutto e' permesso e' un mondo orribile".
20/03/17
Torna "La luna sul Colosseo", visite notturne all'Anfiteatro Flavio.
Torna "La luna sul Colosseo", visite notturne all'anfiteatro Flavio fino al 31 dicembre, con tappa ai sotterranei e gallerie interne
Il percorso comincia dal piano dell`arena, da dove si scorgono le
profondità dei sotterranei, le cavità delle gallerie e il
susseguirsi delle arcate interne del monumento, resi
particolarmente suggestivi dall`illuminazione serale.
Qui si
raccontano gli spettacoli munera et venationes (duelli tra
gladiatori e cacce), la storia e l`architettura del monumento.
Le aperture serali dell`anfiteatro consentono anche la visita ai
sotterranei, mostrando i luoghi in cui gladiatori e belve feroci
attendevano prima di apparire al cospetto del pubblico per
sfidarsi in combattimenti e cacce cruente, e spiegando il
funzionamento dell`apparato tecnico che consentiva il
sollevamento di uomini e animali dai sotterranei all`arena.
Quest`anno il percorso sarà arricchito dalla visita alla mostra
"Colosseo. Un`icona", promossa dalla Soprintendenza Speciale per
il Colosseo e l`area archeologica centrale di Roma con Electa,
che andrà avanti fino al 7 gennaio 2018.
Le visite di 75 minuti - in italiano, inglese e spagnolo - si
terranno fino al 31 dicembre 2017.
19/03/17
Perché il Cristo della Pietà scolpito da Michelangelo ha un dente in più ? Una scoperta inquietante che ha una risposta.
C'e' qualcosa che forse gli
appassionati di arte non hanno notato guardando la Pieta' di
Michelangelo, custodita nella Basilica di San Pietro a Roma.
Un dettaglio per certi versi impercettibile ma intrigante.
La presenza, nel volto del Cristo, di un dente in piu', il
quinto incisivo centrale, che all'epoca veniva considerato il
'dente del peccato', il 'dente bastardo', ma in realta' dal punto
di vista odontoiatrico ha un nome ben preciso: mediodens
(presenza di denti in sovrannumero).
Perche' il Cristo viene scolpito con un incisivo in piu'?
Sappiamo che Michelangelo non faceva mai nulla di casuale.
La
ragione e' che cosi' sembra assumere, prendere su di se',tutti i
peccati del mondo.
A evidenziarlo lo storico dell'arte Marco
Bussagli, dell'Accademia di Belle Arti di Roma, in una lettura
inaugurale al XVIII Congresso Internazionale su Parodontologia e
Salute Orale a Rimini della SIdp (Societa' italiana di
parodontologia e implantologia).
"L'idea del quinto incisivo
come dente del peccato in realta' e' precedente a Michelangelo,
l'esempio piu' antico e' la Pieta' di Lorenzo Salimbeni - evidenzia
lo storico, che per primo ha identificato questo dettaglio
dedicando al tema diversi testi, l'ultimo dei quali nel 2014 -
oltre a Michelangelo, che lo utilizzo' pure in alcuni volti del
Giudizio Universale, compare anche in Botticelli, nel Demonio
delle illustrazioni della Divina Commedia".
Anche la bellissima Cleopatra di casa Buonarroti ne possiede
uno, perche' considerata 'lussuriosa'.
particolare della Bocca socchiusa del Cristo scolpito da Michelangelo con indicato il quinto incisivo.
17/03/17
Spegnete le vostre luci ! Il prossimo 25 marzo è l'Ora della Terra.
E' iniziato ufficialmente il conto alla rovescia per il più grande evento globale dedicato alla sfida contro i cambiamenti climatici - Earth Hour / Ora della Terra del WWF - che quest'anno celebra i 10 anni dalla sua prima edizione del 2007 svoltasi a Sidney.
L'invito è quello di spegnere simbolicamente per un'ora, dalle 20.30 di ciascun paese, le luci in casa, in ufficio, al ristorante magari cenando a lume di candela: l'effetto di questa grande mobilitazione globale che unirà di nuovo centinaia di milioni di persone, sarà una grande ola di buio che per 24 ore farà il giro della Terra.
Nel 2016 ben 178 paesi parteciparono spegnendo le principali icone mondiali come l'Opera House di Sydney, il Cristo Redentore a Rio de Janeiro, la Torre Eiffel, il Ponte sul Bosforo.
Partecipare ad Earth Hour vuol dire anche informare e sensibilizzare sui cambiamenti climatici, sfruttando la forza dei social network.
Dalla piattaforma sarà possibile donare il proprio profilo facebook e contribuire a diffondere i messaggi del WWF contro i cambiamenti climatici.
"Il cambiamento climatico ha tanti volti e impatti diversi in ogni angolo del pianeta, ma la realtà è uguale per tutti: il momento per cambiare il clima che cambia è ora - ha dichiarato Donatella Bianchi, Presidente di WWF Italia - Earth Hour negli anni ha dimostrato che centinaia di milioni di persone in tutto il mondo comprendono quanto la sfida del clima sia centrale per il Pianeta, per il benessere umano e la sopravvivenza di specie animali e vegetali. Il 25 marzo questo grande movimento globale per il clima fatto di singole persone, comunità e organizzazioni, farà sentire la propria voce per chiedere di accelerare gli impegni verso una rapida decarbonizzazione delle nostre economie, per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C, secondo l'impegno assunto con l'Accordo di Parigi".
Il 2016 è stato l'anno più caldo da quando esistono le registrazioni scientifiche e dai rilievi è risultato che per il 2016 abbiamo un'anomalia rispetto al periodo preindustriale pari a + 1,3 °c.
Per l'Artico, come riportato nell'Arctic Report Card della NOAA statunitense, l'incremento è stato di * 2°c.
Inoltre la concentrazione di CO2 nella composizione chimica dell'atmosfera ha raggiunto le 400 parti per milione, un livello che gli scienziati ritengono non sia mai stato toccato negli ultimi 23 milioni di anni.
Un recente studio coordinato dell'Enea sull'innalzamento del Mar Mediterraneo negli ultimi 1.000 anni stima nei prossimi 100 anni un'accelerazione netta dell'innalzamento.
Tra il 2016 e il 2017 si sono registrate molte anomalie e temperature record: in Australia, per esempio, si è appena conclusa un'estate 'arrabbiata' caratterizzata da ondate di calore, incendi e alluvioni, con temperature record in alcune aree vicine ai 50°C.
Il caos climatico indotto dall'intervento umano purtroppo già colpisce sia molte comunità umane, a cominciare da quelle più fragili e più povere e che abitano sulle isole o lungo le coste, sia molte specie animali come orsi, pinguini, numerose altre specie di mammiferi e uccelli e di anfibi, colpendo inoltre tantissime altre specie sia di animali invertebrati (dagli insetti ai molluschi) che di piante.
Secondo le ultime analisi sono migliaia le specie del pianeta che risentono degli impatti negativi del cambiamento climatico.
Guardando in particolare le sole specie inserite nella Lista Rossa di specie a rischio, un recente studio ha denunciato a rischio 'climatico' quasi la metà dei mammiferi e circa un quarto degli uccelli: in una precedente analisi le percentuali erano molto più basse, rispettivamente il 7% e il 4%.
Per questo l'edizione 2017 di Earth Hour - Ora della Terra in Italia sarà dedicata con particolare attenzione alle specie 'simbolo', a partire dall'orso polare destinato ad estinguersi molto rapidamente se non ci affretteremo ad azzerare le emissioni di CO2 e sostenere la specie con specifici interventi di tutela, come quelli attivati dal WWF.
Quest'anno in Italia tra i monumenti simbolo coinvolti, si spegneranno a Roma la basilica di San Pietro, il Colosseo e il Museo Maxxi firmato dall'archistar Zaha Hadid, scomparsa lo scorso anno.
E proprio l'area esterna del Museo nazionale delle arti del XXI secolo diventerà per un giorno la piazza di 'Aspettando Earth Hour' con laboratori per bambini, giochi ed eventi di intrattenimento in attesa del conto alla rovescia finale.
Tra le altre adesioni che stanno via via arrivando, quella sera luci spente anche a Firenze il Ponte Vecchio, Palazzo Vecchio e la Torre di Arnolfo, la Cupola del Duomo, la Statua del David (a Piazzale Michelangelo), la Basilica di Santa Croce, e l'Abbazia San Miniato al Monte. A Torino la Mole Antonelliana, il Duomo, la Basilica di Superga, Palazzo Civico, Chiesa della Gran Madre di Dio, la Chiesa di Santa Maria al Monte dei Cappuccini. Inoltre l'Arena di Verona, la Scalinata del Pincio a Bologna, Piazza del Ferrarese a Bari, il Palazzo delle Aquile, Piazza Pretoria, la facciata del teatro Politeama a Palermo, mentre in Molise hanno aderito ben 76 Comuni. Earth Hour ha già ricevuto il Patrocinio della Camera e del Senato.
Anche quest'anno partecipano ad Earth Hour rappresentanti del settore privato, con diverse attività ed iniziative di sensibilizzazione. Wind Tre promuove l'iniziativa sui propri canali di comunicazione web e social, coinvolgendo anche i propri clienti nel sostegno all'iniziativa. Tra le Aziende Partner del WWF Italia aderiscono all'evento Auchan e Simply, Eurojersey, Gruppo Gianasso - I Provenzali, Mutti, Save the Duck, Sofidel, UniCredit e Unilever Italia, attraverso spegnimenti simbolici e attività di sensibilizzazione e promozione della mobilitazione WWF sui loro canali di comunicazione.
16/03/17
Poesia del Giovedì: "Le vele" di Fabrizio Falconi.
le vele
insubordinandosi, anche la mia
penna d’oca decise
di non scrivere più.
tutto era già accaduto
nel gigantesco mare di riflessi
del dopodomani;
la scrittura non era già più
la mia, sul pontile
i derelitti assisi
guardavano
allontanarsi
le vele.
Fabrizio Falconi - inedito 2014 © riproduzione riservata
15/03/17
"Il senso del Rosso" - Apre oggi a Palazzo Barberini una splendida mostra sulla pittura veneziana.
Straordinarie invenzioni compositive,
uso suggestivo della luce che anticipa di quasi un secolo
Caravaggio, fulgide tonalità dal cremisi allo scarlatto: e' la
piccola, eppure molto preziosa rassegna, allestita dal 15 marzo
all'11 giugno alle Gallerie Nazionali di Arte Antica di PalazzoBarberini, che propone alcuni capolavori di Lorenzo Lotto,
Giovanni Gerolamo Savoldo e Giovanni Cariani, prestati da grandi
musei internazionali come il Louvre, il Prado, Metropolitan
Museum of Art e da eccellenze italiane quali l'Accademia Carrara
di Bergamo.
Una selezione attenta che pone al centro quel 'senso
del rosso' dei pittori veneti fortemente collegato alla realta'
sociale, produttiva e commerciale della citta' lagunare.
Intitolata 'Venezia scarlatta: Lotto, Savoldo, Cariani', la
mostra, ha spiegato il direttore delle Gallerie Flaminia Gennari
Santori intervenuta alla vernice per la stampa, prende le mosse
dalla meravigliosa tela di Lorenzo Lotto, dal titolo 'Matrimonio
mistico di Santa Caterina d'Alessandria' (1524), conservata a
Palazzo Barberini.
Grazie a "una serie di collaborazioni avviate con i piu' importanti musei per valorizzare le rispettive collezioni e promuoverne la conoscenza e lo studio", il capolavoro, aggiunge il curatore Michele di Monte, e' stato affiancato da opere realizzate nello stesso periodo storico da maestri tra loro molto vicini, al fine di riportare alla luce "intrecci biografici, cromatici e tessili".
Lotto, Savoldo, Cariani, ha proseguito, costituivano una triade minore della pittura veneziana, tutti e tre attivi nella provincia, "ma non erano da meno degli artisti piu' celebrati". Basti pensare al magnifico 'San Matteo e l'angelo' di Giovanni Gerolamo Savoldo, in cui il gioco tra luci e ombre ne fa, con molti decenni di anticipo, un precursore di Caravaggio. O alle soluzioni geniali del Lotto, pittore riservato e misterioso, che come nessun altro infiamma le sue tele di tutte le tonalita' dello scarlatto.
La mostra pero' vuole offrire un'indagine ancor piu' approfondita, su un'epoca e su un mondo, fiorito sulla laguna tra XV e XVI secolo, seguendo il filo del colore perfetto, il rosso appunto. Le industrie tessili e le botteghe dei tintori, vanto della citta' non meno di quelle dei pittori, facevano infatti a gara per assicurarsi la tonalita' perfetta, il lussuoso 'scarlatto veneziano', frutto di una pratica gelosamente custodita e tramandata, e quindi il nome di un tipo di stoffa prima che di un colore.
Di conseguenza, i pittori veneziani si facevano quasi un punto d'onore nel restituire questa complessa qualita', sviluppando un peculiare "senso del rosso' e trasmutando la materia della loro pittura in una pittura della materia". Questione di sfumature, dunque, sociali oltreche' tonali. E' questo denso ordito che interessa ai committenti e che viene richiesto all'arte dei pittori. Cariani, Savoldo e Lotto, spesso a lavoro per una committenza 'di terraferma', dove la cultura materiale era motivo di orgoglio civico persino piu' che in laguna, esplorano con talento tali sottili variazioni, che sono altrettanti simboli di status e di valore: dal paludato raso cremisi di Giovanni Benedetto Caravaggi (Accademia Carrara), dottore in medicina immortalato da Cariani, al misterioso velluto rutilante del San Matteo di notte (Met), raffigurato da Savoldo, dal vermiglio assoluto delle madonne di Lotto, che si declina nella miracolosa tunica del Cristo portacroce (dal Louvre) fino al carminio di seta della ritrosa consorte di messer Marsilio ('Ritratto di Marsilio Cassotti e Faustina Assonica' del Prado).
Nelle trame dipinte, sottolinea Michele di Monte, non si intreccia pero' solo il gusto per una materia preziosa, ma si sviluppa anche la narrazione di riconoscimenti biografici, affetti mondani, passioni religiose, devozioni private. Con una sorprendente liberta' di invenzione iconografica, Cariani effigia il suo ritratto come un'icona veneziana, mentre Lotto celebra il sontuoso sposalizio allegorico di Cristo e Caterina direttamente a casa del committente, che era nientemeno che il padrone di casa cui l'artista doveva un anno di pigione. E siccome era un appassionato di tappeti, ne decora l'interno con uno pregiato che fa da sfondo, rivoltandone persino un lembo per far ammirare la perfezione della trama.
E se Savoldo coglie l'evangelista Matteo come fosse l'umanista solitario e notturno vagheggiato da Petrarca, finisce per vestirlo con gli stessi panni del Cristo portacroce di Lotto, che interpella lo spettatore piu' personalmente e immediatamente di qualunque altro ritratto.
fonte: Nicoletta Castagni per ANSA
Grazie a "una serie di collaborazioni avviate con i piu' importanti musei per valorizzare le rispettive collezioni e promuoverne la conoscenza e lo studio", il capolavoro, aggiunge il curatore Michele di Monte, e' stato affiancato da opere realizzate nello stesso periodo storico da maestri tra loro molto vicini, al fine di riportare alla luce "intrecci biografici, cromatici e tessili".
Lotto, Savoldo, Cariani, ha proseguito, costituivano una triade minore della pittura veneziana, tutti e tre attivi nella provincia, "ma non erano da meno degli artisti piu' celebrati". Basti pensare al magnifico 'San Matteo e l'angelo' di Giovanni Gerolamo Savoldo, in cui il gioco tra luci e ombre ne fa, con molti decenni di anticipo, un precursore di Caravaggio. O alle soluzioni geniali del Lotto, pittore riservato e misterioso, che come nessun altro infiamma le sue tele di tutte le tonalita' dello scarlatto.
La mostra pero' vuole offrire un'indagine ancor piu' approfondita, su un'epoca e su un mondo, fiorito sulla laguna tra XV e XVI secolo, seguendo il filo del colore perfetto, il rosso appunto. Le industrie tessili e le botteghe dei tintori, vanto della citta' non meno di quelle dei pittori, facevano infatti a gara per assicurarsi la tonalita' perfetta, il lussuoso 'scarlatto veneziano', frutto di una pratica gelosamente custodita e tramandata, e quindi il nome di un tipo di stoffa prima che di un colore.
Di conseguenza, i pittori veneziani si facevano quasi un punto d'onore nel restituire questa complessa qualita', sviluppando un peculiare "senso del rosso' e trasmutando la materia della loro pittura in una pittura della materia". Questione di sfumature, dunque, sociali oltreche' tonali. E' questo denso ordito che interessa ai committenti e che viene richiesto all'arte dei pittori. Cariani, Savoldo e Lotto, spesso a lavoro per una committenza 'di terraferma', dove la cultura materiale era motivo di orgoglio civico persino piu' che in laguna, esplorano con talento tali sottili variazioni, che sono altrettanti simboli di status e di valore: dal paludato raso cremisi di Giovanni Benedetto Caravaggi (Accademia Carrara), dottore in medicina immortalato da Cariani, al misterioso velluto rutilante del San Matteo di notte (Met), raffigurato da Savoldo, dal vermiglio assoluto delle madonne di Lotto, che si declina nella miracolosa tunica del Cristo portacroce (dal Louvre) fino al carminio di seta della ritrosa consorte di messer Marsilio ('Ritratto di Marsilio Cassotti e Faustina Assonica' del Prado).
Nelle trame dipinte, sottolinea Michele di Monte, non si intreccia pero' solo il gusto per una materia preziosa, ma si sviluppa anche la narrazione di riconoscimenti biografici, affetti mondani, passioni religiose, devozioni private. Con una sorprendente liberta' di invenzione iconografica, Cariani effigia il suo ritratto come un'icona veneziana, mentre Lotto celebra il sontuoso sposalizio allegorico di Cristo e Caterina direttamente a casa del committente, che era nientemeno che il padrone di casa cui l'artista doveva un anno di pigione. E siccome era un appassionato di tappeti, ne decora l'interno con uno pregiato che fa da sfondo, rivoltandone persino un lembo per far ammirare la perfezione della trama.
E se Savoldo coglie l'evangelista Matteo come fosse l'umanista solitario e notturno vagheggiato da Petrarca, finisce per vestirlo con gli stessi panni del Cristo portacroce di Lotto, che interpella lo spettatore piu' personalmente e immediatamente di qualunque altro ritratto.
fonte: Nicoletta Castagni per ANSA
14/03/17
"Scene di vita di provincia" di J.M.Coetzee, un grande Libro (Recensione).
Einaudi ha recentemente riunito in un solo volume, con il titolo complessivo di Scene di vita di provincia, le tre parti del racconto autobiografico di J.M.Coetzee, Premio Nobel per la Letteratura nel 2003, pubblicate in tre differenti volumi, pubblicati nel 2001, 2002 e 2010. E nel corso delle 558 pagine c'è modo non soltanto di ricostruire porzioni della vicenda biografica del grande scrittore, ma soprattutto i nodi cruciali della sua ispirazione.
Nel primo dei tre capitoli, Infanzia, Coetzee racconta - in terza persona - la vita di un ragazzino nel quartiere anonimo di una desolata provincia sudafricana, a centosessanta chilometri da Città del Capo, Worcester. Un ragazzino molto intelligente e chiuso, che cerca una via di fuga da un padre ordinario che non riesce a rispettare e da una madre che ama di amore viscerale ma che non gli dà certezze, dai riti di una scuola dove le regole non sono uguali per tutti, dai turbamenti di un'infanzia già minata nel suo carattere più sensibile. dagli angusti orizzonti nazionalistici del Sudafrica nel secondo dopoguerra.
Comincia qui, tra le esperienze famigliari, le fughe nel selvaggio Veld con la cuginetta preferita, la percezione di quel profondo senso di inadeguatezza nei confronti della vita, che è soprattutto un blocco relazionale, costruito intorno ad una intelligenza e ad una sensibilità troppo precoci. La difficoltà di costruirsi un'identità nella babele di etnie, lingue, religioni del Sudafrica a cavallo degli anni Quaranta e Cinquanta, al di là di ogni pregiudizio, è la sfida che il ragazzino accetta, con la condizione di pagarne il prezzo.
Nella seconda parte, Gioventù Coetzee è già diventato poco più che ventenne e ha già cambiato vita e continente. Dopo la laurea ha scelto di abbandonare il Sudafrica, quel luogo violento e radicale che gli imprigiona l'anima e ha scelto la disinibita Londra, dove si parla l'inglese che la sua famiglia ha sempre parlato (pur essendo di origini olandesi), dove è possibile sentirsi vicini al cuore europeo dei poeti, i grandi poeti - Pound, Holderlin - e narratori - Ford Madox Ford - che hanno riempito l'immaginazione e i sogni dell'adolescente provinciale.
A Londra, Coetzee è ben lungi dal diventare un poeta o uno scrittore, però. Essendo un abile matematico, finisce a lavorare come programmatore presso l'IBM, un mestiere frustrante e solitario che finisce per isolarlo ancora di più, in una città dove non trova sostanzialmente né amici, né rapporti sentimentali stabili, ma anzi dove assapora l'amaro di fugaci sperimentazioni quasi sempre insoddisfacenti.
Licenziatosi dall'IBM e indeciso tra il proseguire la vita bohémian negli ancora più stranianti Stati Uniti, o fare ritorno a casa (dove comunque sarà costretto a fare rotta più avanti, per la morte della madre), Coetzee cerca affannosamente la propria strada, senza riuscire a fare breccia dentro di sé, senza trovare una via ad una apertura più sincera e radicale del cuore.
L'ultima parte, Tempo d'Estate, scritta dieci anni dopo le prime due e non nella stessa forma della terza persona come le altre due, Coetzee inventa un proprio ritratto post-mortem: immagina infatti che dopo la sua morte un ricercatore universitario, volendo approfondire aspetti della vita dello scrittore, scelga di intervistare cinque persone che lo hanno conosciuto: quattro donne e un uomo.
Le cinque lunghe interviste ricostruiscono soprattutto il lato più umano di Coetzee, la sua fragilità emotiva e psicologica, la carenza di affettività, le difese strutturate dietro le quali lo scrittore ha protetto il suo nucleo più profondo.
Ne escono opinioni crudeli, a volte crudelissime, come nel caso della ballerina brasiliana, conosciuta da Coetzee durante il suo ritorno in SudAfrica per prendersi cura del padre rimasto vedovo e malato, che sprezzantemente giudica lo scrittore un mezzo uomo, un uomo inutile.
In altri casi i toni sono più vicini - come quelli usati dalla cugina, Margot - o più tranchant come quelli usati dalla insopportabile Julie, la psicologa che ha avuto Coetzee come amante per un lungo periodo.
Durante quest'ultima parte il lettore è portato costantemente a interrogarsi sul contenuto di verità espresso da Coetzee in questo racconto volutamente frammentario: come in un complicato gioco di specchi, l'autore di Vergogna si nasconde dietro una sofisticata teoria di simulazioni.
Cosa è vero, cosa è finzione ? Cosa è immaginazione dell'autore su se stesso, cosa denudamento baudelairiano ?
L'intento forse è proprio questo: dimostrare che nel cuore profondo di ogni esistenza c'è un grande e piccolo mistero insondabile, che nessuno può esplorare, nemmeno chi lo ospita. Ciascuno vive e si guarda vivere in gioco di rifrazioni che comprende gli sguardi degli altri, i giudizi e le omissioni e le proprie ombre e debolezze che abitano i recessi meno illuminati, quelli più oscuri e difficili da decifrare.
Tutto è parvenza, tutto è dolorosa sostanza.
In fondo è anche per questo che è così difficile resistere alla tentazione di vivere.
Fabrizio Falconi
13/03/17
Per la prima volta il Torso Belvedere, una delle opere più preziose dell'Antichità si sposta dai Musei Vaticani (si vedrà al Senato fino al 26 Marzo).
E' giunto a Palazzo Madama il Torsodel Belvedere, la statua greca dello scultore Apollonios che
risale al primo secolo avanti Cristo.
L'opera, che pesa 15
quintali, resterà esposta in Senato da sabato 18 a domenica 26
marzo, al piano terra, in sala Caduti di Nassirya.
Il Torso del Belvedere, opera concessa dai Musei vaticani,
rientra negli eventi organizzati per il sessantesimo anniversariodella firma del Trattato di Roma.
L'ingresso è gratuito e aperto
a tutti.
Si tratta di un'importante opera scultorea che venne studiata a
lungo anche da artisti come Raffaello e Michelangelo, che ad essa
si ispirò per la figura del Cristo giudice della Cappella Sistina
e per la Pietà Rondanini.
Il Torso del Belvedere rappresenta probabilmente la
figura di Aiace Telamonio che medita il suicidio, e intorno ad esso sarebbe sorta anche la
leggenda secondo cui papa Giulio II, sotto il cui pontificato
venne rinvenuta l'opera, avesse chiesto a Michelangelo di
completarla, visto che si presenta mutilata.
L'artista avrebbe
però opposto il suo netto rifiuto, giudicando l'opera troppo
bella per essere alterata.
Si tratta comunque di una delle opere d'arte più importanti al mondo, anche perché porta la firma autografa dello scultore ateniese. Ma non si sa con esattezza dove e quando fu ritrovata. Con ogni probabilità deriva da un bronzo del II secolo a.C. e la sua iconografia, ricostruita secondo diverse testimonianze doveva raffigurare il guerriero con la testa appoggiata alla mano destra e la mano sinistra con la spada levata con cui si toglierà la vita.
Viene citato per la prima volta dal cronachista Ciriaco d'Ancona nel 1435, nella collezione Colonna. Lo acquista poi lo scultore Andre Bregno, e infine, un secolo dopo, arriva in Vaticano.
Ammirato come abbiamo detto da Michelangelo, Bramante lo immagina nel giardino progettato per papa Giulio II.
Sfuggita alle razzie napoleoniche, la statua fu enormemente ammirata dai grandi viaggiatori e artisti come Stendhal e fece da modello a innumerevoli altre opere antiche e moderne.
fonte askanews e Fabio Isman per il Messaggero (13 marzo 2017).
12/03/17
Domenica a Roma : Il Monumento a Giordano Bruno in Piazza Campo de' Fiori - Fabrizio Falconi Racconta (Capitolium produzione - 3a puntata) - Youtube.
In questo breve video, oggi vi porto a conoscere la storia del Monumento a Giordano Bruno in Piazza Campo de' Fiori, che dall'inizio ebbe vita controversa.
"Fabrizio Falconi racconta #Roma": Il Monumento a Giordano Bruno in Piazza Campo de' Fiori.
Una produzione http://www.capitolivm.it
Blog di Fabrizio Falconi: http://fabriziofalconi.blogspot.it/
Uno speciale ringraziamento a Trastevere App.
Poesia della Domenica: "Canto alla durata" di Peter Handke.
"Si era rivolta a me [...] e come dall'alto
e mi venne così di descrivere
la sensazione della durata
come il momento in cui ci si mette in ascolto,
il momento in cui ci si raccoglie in se stessi,
in cui ci si sente avvolgere,
il momento in cui ci si sente raggiungere
da cosa? Da un sole in più,
da un vento fresco,
da un delicato accordo senza suono
in cui tutte le dissonanze si compongono e si fondo assieme. [...]
Ecco, la durata è la sensazione di vivere. [...]
Credo di capire
che essa diventa possibile solo
quando riesco
a restare fedele a ciò che riguarda me stesso,
quando riesco a essere cauto,
attento, lento,
sempre presente a me stesso sino nelle punte delle dita.
E qual è la cosa
a cui devo restare fedele?
Essa ti apparirà nell'affetto
per i vivi
- per uno di loro -
e nella consapevolezza di un legame
(anche soltanto illusorio).
E questo non è una cosa grande
particolare, non è insolita, sovraumana,
non è guerra, non è un allunaggio,
non è una scoperta, un capolavoro del secolo,
la conquista di una vetta, un volo da kamikaze:
io la condivido con altri milioni di persone,
con il mio vicino e allo stesso tempo
con gli abitanti ai margini del mondo,
dove grazie a questo fatto comune
si crea lo stesso centro del mondo
che è qui accanto a me.
Sì, questo fatto dal quale con gli anni scaturisce la durata
è di per sé poco appariscente,
non fa conto parlarne
ma è degno di essere affidato alla scrittura:
perché dovrà essere per me la cosa più importante.
Dovrà essere il mio vero amore.
E io,
affinché da me nascano i momenti della durata
e diano un'espressione al mio volto rigido
e mettano nel mio petto vuoto un cuore,
devo assolutamente esercitareun anno dopo l'altro
il mio amore.
Restando fedele
a ciò che mi è caro e che è la cosa più importante,
impedendo in tal maniera che si cancelli con gli anni,
sentirò poi forse
del tutto inatteso
il brivido della durata
e ogni volta per gesti di poco conto
nel chiudere con cautela la porta,
nello sbucciare con cura una mela,
nel varcare con attenzione la soglia,
nel chinarmi a raccogliere un filo. [...]
Ma anche continuare per anni a essere ben disposto nei tuoi confronti
può darti durata.
Sapermi guardare amichevolmente negli occhi
talvolta mi assolve. [...]
Essere indulgente con i miei difetti [...]
rabbonirmi, se mi viene fatto un torto,
come mio unico parente,
battermi il petto
in trionfo per una parola felice
al posto giusto
e urlare un «sì» nella foresta della mia stanza
può ringiovanirmi
come una bottiglia di prelibatissimo vino
(con effetto però diverso).
Singolare è il sentimento della durata
anche alla vista di certe piccole cose
quanto meno appariscenti, tanto più toccanti:
un cucchiaio
che mi ha accompagnato in tutti i traslochi
un asciugamano
appeso nelle stanze da bagno più diverse,
la teiera e la sedia di vimini
per anni lasciata in cantina
o accantonata da qualche parte
e ora finalmente di nuovo al suo posto,
un altro, in verità, diverso da quello originario
e tuttavia al suo posto. [...]
Anche a casa mi si fa accanto molte volte
quando cammino su e giù per il giardino
nella neve, nella pioggia, al sole, sotto il temporale,
[...] oppure quando mi siedo nella mia stanza
al cosiddetto tavolo da lavoro -
non per attendere alla mia occupazione, al testo,
ma per fare tutti quei soliti gesti secondari:
spostare indietro la sedia,
dare uno sguardo nel cassetto [...]
sbirciare dalla finestra in giardino
dove i gatti lasciano le loro tracce
nella neve profonda e tra l'erba alta,
mentre ascolto da diverse direzioni a seconda del vento
il fischio e il trabalzare
dei treni che percorrono la pianura.
O durata, mia quiete!
O durata, mia sosta! [...]
La durata è il mio riscatto,
mi lascia andare ed essere. [...]
Chi non ha mai provato la durata
non ha vissuto.
La durata non stravolge,
mi rimette al posto giusto".
Da Canto alla durata, Peter Handke, Einaudi, 1995, traduz. H. Kitzmuller.
11/03/17
Trovata una statua gigante di Ramsete II al Cairo tra la spazzatura: "una scoperta eccezionale".
Gli archeologi egiziani hanno
rinvenuto una statua gigante, lunga otto metri, in un quartiere
popolare del Cairo che si ritiene raffigurasse il Faraone
Ramses.
Lo riferisce al Ahram. Accanto alla statua gigante anche
un'altra di circa un metro di Seti II. Il ritrovamente e'
avvenuto in un'area nei pressi di un tempio di Ramses II dove
sorgeva l'antica Heliopolis.
Le due statue regali risalgono
alla XIX dinastia, ha precisato in una nota il ministero delle
Antichita' egiziano riferendo che la scoperta e' stata fatta da
una missione archeologica tedesco-egiziana nel distretto di
Matareya.
La statua che dovrebbe raffigurare Ramses II e'
"spezzata in grandi pezzi" ed e' fatta di "quarzite", scrive il
sito Egypt Independent riferendosi a un tipo di roccia composta
quasi esclusivamente da quarzo granulare.
Sono emerse solo
"parte della testa, con un orecchio e un occhio" e della corona,
aggiunge citando il capo del Dipartimento antichita' egiziane del
dicastero, Mahmud Afifi.
La statua di Seti II, di cui sono stati
rinvenuti circa 80 centimetri, e' "a grandezza naturale".
La scoperta "e' una delle piu' importanti" fra quelle
"recenti", scrive ancora il sito sintetizzando dichiarazioni del
capo della missione egiziana, il professor Ayman al-Ashmawy, in
occasione dell'annuncio fatto ieri.
Il tempio di Ramses "e' uno
dei piu' grandi dell'antico Egitto visto che raggiungeva il
doppio delle dimensioni del tempio di Karnak a Luxor", viene
aggiunto.
"Ovviamente e' una scoperta
sensazionale, ma le notizie sono ancora scarse, aspettiamo di
saperne di piu'".
L'egittologo Christian Greco, direttore del
museo egizio di Torino, non nasconde l'emozione per il
ritrovamento al Cairo della colossale statua di Ramses II, "conosco molto bene Dietrich Rowe, l'archeologo tedesco che sta
scavando li' nella missione tedesco-egiziana, e anche uno dei
nostri curatori e' li' con lui. Heliopolis e' uno dei siti piu'
importanti dell'antico Egitto, li' ha scavato anche l'egittologo
italiano Ernesto Schiaparelli (al quale il Museo Egizio dedica
una mostra che si inaugura oggi a Torino ndr).
E' un sito pero'
anche molto difficile da scavare perche' si trova in una zona
molto abitata de Il Cairo, vicina all'aeroporto".
Nelle foto e nel video diffuse sul ritrovamento si precisa che
le due statue sono emerse nel distretto di Souq al-Khamis,
nell'area di al-Matareya nelle vicinanze del tempio di Ramses
II.
L'eccezionalita' della scoperta viene sottolineata anche
dall'egittologo Khaled Nabil Osman : "era il luogo culturale piu'
importante dell'Egitto, anche la Bibbia ne parla", ha detto
all'Associated Press, "la cattiva notizia e' che ora l'intera
zona dovra' essere ripulita, le fognature e il mercato dovranno
essere spostati" .
Secondo Osman, osservando la grande testa
emersa dal terreno e' molto probabile che si tratti proprio di
Ramses II, anche se al momento non sono state ritrovate
iscrizioni che ne confermino l'identita'.
Il tempio di Ramses II, viene ricordato, era enorme, tra i piu'
grandi d'Egitto, grande il doppio rispetto ai templi di Karnak e
Luxor. Venne distrutto in epoca greco romana. Gli obelischi e le
statue del tempio vennero trasferiti ad Alessandria e in Europa.
In epoca islamica molte pietre del tempio vennero usate per la
costruzione di palazzi de Il Cairo.
Se si riuscira' a ricostruirla, la
statua gigante di Ramses II appena rinvenuta al Cairo sara'
esposta al "Grande museo egizio" che dovrebbe essere inaugurato
l'anno prossimo nella capitale egiziana.
Lo riferisce il sito
Daily News Egypt sottolineando che il ministero delle Antichita'
ha negato che il simulacro del faraone alto otto metri sia
stato danneggiato da una scavatrice durante i lavori di
recupero.
La foto della testa della statua nella pala meccanica ha
"causato un putiferio", sintetizza il sito segnalando critiche
al mancato uso di tecniche piu' sofisticate per spostare l'enorme
reperto.
Il capo delle Antichita' egiziane del dicastero, in una
dichiarazione pubblicata giovedi' sera, ha sottolineato che solo
la testa e' stata spostata usando la scavatrice sotto la
supervisione di archeologi anche tedeschi e sono state usate
travi di legno e sughero per evitare danni.
La nota cita il capo
della missione archeologica tedesca, Dietrich Raue, per
sostenere che la statua non e' stata rotta durante lo
spostamento, riferisce il sito, ricordando che monumenti
faraonici subirono molti danni in epoca greco-romana.
09/03/17
Il conto dei corner (di F. Falconi).
Il conto dei corner non vuol dire niente.
Lo sa bene chi si diletta col gioco del calcio. Puoi dominare nel conto dei corner, batterne trenta in una partita, tempestare l'area avversaria di cross taglienti o tagliati, allungare la parabola sul secondo palo e oltre, batterlo corto sul difensore che sopravviene, o a sorpresa verso il mediano che si è liberato al limite dell'area per battere; puoi tentare la foglia morta dalla bandierina sul palo più lontano, puoi tirarla forte e bassa sul primo palo sperando nel tocco fortuito, puoi batterlo a casaccio nel mucchio in area sperando nella spizzata di testa, o nella papera del portiere che perde la palla in uscita e la lascia scivolare ai piedi del centravanti; puoi perfino sperare nel colpo di mano in area del difensore avversario che è saltato per liberare. Ma niente, in certe partite, quella maledetta palla non vuole entrare.
E potresti batterne anche centodieci di corner, non servirebbe a niente. Sguinzagliare tutta l'artiglieria dei corner, da destra e da sinistra, quella maledetta porta resterebbe inviolata.
Il conto dei corner non vuol dire niente.
Puoi aver dominato il conto dei corner, essere 50 a 0 e perdere quella dannata partita per un solo tiro avversario, con quella squadra di mezzi brocchi che di corner non ne ha battuto nemmeno uno.
E' superfluo dunque, il conto dei corner. E' statistica, campionario, vuoto numero che non c'entra nulla e non dice nulla sulla sostanza delle palle che sono finite in rete.
E quella odiosa bandierina resta simulacro di sconfitta. Bandiera bianca, resa al destino o agli eventi.
Prima di disperderti, prima di consumare il conto dei corner, cerca di ricordarti questo: la linea di gesso bianco sulla linea di porta non sa che farsene dei tuoi corner. Il cuore coraggioso oltre l'ostacolo colpisce con la zampata sporca da fuori area. Una deviazione, un rimorso, una fitta al muscolo della gamba: la palla, schizzando imprevedibile, entrerà proprio sotto il sette.
E nessuno si ricorderà mai di tutti quei corner che hai battuto invano.
Fabrizio Falconi
(riproduzione riservata)
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