La chiesa di Santa Maria della Vittoria,
all’angolo tra via xx Settembre e
piazza San Bernardo, costruita da Carlo Maderno nel 1608, su committenza del
cardinale Scipione Borghese, è una delle più famose di Roma (conserva, fra
l’altro, i trofei, cioè le bandiere e le insegne sottratte ai turchi nella
battaglia di Praga del 1757), soprattutto per la splendida cappella Cornaro,
opera di Gian Lorenzo Bernini, che ospita una delle più insigni opere della
scultura di tutti i secoli, di straordinaria modernità, L’Estasi di santa Teresa.
La scultura del Bernini ha da sempre colpito
l’immaginazione dei visitatori proprio per quella componente erotica che il
grande artista riuscì a infondere nell’atto mistico per eccellenza della santa,
ovvero l’estasi.
Per uno strano scherzo del caso, proprio le
fondamenta di questa chiesa restituirono, nel corso dei secoli, una delle opere
più conturbanti della scultura classica: il celebre Ermafrodito, capolavoro dell’arte ellenistica.
Il ritrovamento dell’opera avvenne dunque
proprio in via xx Settembre e
proprio quando si decise di dare vita alla nuova chiesa.
In un territorio che era quasi completamente
campagna, i frati carmelitani scalzi possedevano una vigna con un romitorio, e
decisero di costruire una chiesa da dedicare a san Paolo. I lavori, cominciati
nel 1608, si protrassero a lungo.
Nel 1619, come riferiscono le cronache
dell’epoca, «nel piantarsi una spalliera nell’orto del convento», i costruttori
videro con sorpresa emergere dalla terra smossa il candore di una statua
classica, che si rivelò, una volta estratta, una splendida scultura
di ermafrodito dormiente, subito identificata come la copia romana di un
capolavoro ellenistico realizzato dal Policle nel ii secolo a.C., di cui parla Plinio nella sua HistoriaNaturalis.
La bellissima scultura mostrava un corpo
“ambiguo” semiaddormentato, riverso, che nell’atto di girarsi nel sonno,
mostrava i caratteri di entrambi i sessi.
Un soggetto che era assai diffuso nella Roma e, soprattutto, nella Grecia classica,
ma lo era molto meno nell’epoca
della Roma cattolica del Seicento. Il
rinvenimento, infatti, imbarazzò non poco i frati, i quali decisero di donare l’opera al cardinale
Scipione Borghese, famelico collezionista e nipote del papa, Paolo v.
Così orgoglioso del suo nuovo trofeo, il
cardinale diede ordine di trasportare la
statua nella sua villa, a porta Pinciana, e ne dispose il restauro
affidandolo al suo scultore prediletto, Gian Lorenzo Bernini, il quale, dopo
averla lungamente studiata, decise di valorizzarla, adagiando il corpo
dell’ermafrodito su di un morbido materasso marmoreo e di un soffice cuscino,
riprodotti con incredibile virtuosismo.
Per suggellare poi l’opera a vantaggio dei suoi committenti, Bernini,
creò una specie di letto di legno – su cui poggiava il materasso e l’intera scultura
– imprimendovi sopra lo stemma araldico dei Borghese e l’iscrizione: «duplex cor uno
in pectore / saepeinvenies / Cave insidias», (troverai
spesso due cuori nello stesso petto: guardati dagli inganni). Ma la scultura non rimase per sempre nella sala
approntata dal cardinale Borghese: nel 1807, pressato dai debiti e
costretto dai giochi di potere, il principe Camillo Borghese II fu costretto a vendere l’intera
collezione – compreso l’Ermafrodito– al cognato Napoleone Bonaparte.
La scultura prese così la strada della Francia, e oggi
costituisce uno dei pezzi più apprezzati della collezione d’arte antica
del Museo del Louvre, a Parigi, mentre l’opera che si può vedere
al palazzo Massimo alle terme è semplicemente una copia.
Anche se lontana, la storia dell’ermafrodito
romano continua comunque a incantare, soprattutto per il suo richiamo mitico:
Ermafrodito, infatti, secondo la mitologia, era il figlio di Hermes
(Mercurio) e di Afrodite (Venere). La ninfa Salmace (di cui canta Ovidio nelle Metamorfosi) si innamorò di lui, senza essere ricambiata. Nella fontana sacra alla ninfa, vicino
ad Alicarnasso, Salmacide si avvinghiò così forte al corpo
dell’amato (che stava nuotando) da fondersi con lui. I due divennero quindi un
essere solo – metà uomo e metà donna – indivisibile per l’eternità.
Una storia che ancora oggi affascina e
incanta.
Forse anche per esorcizzare il ritrovamento
scandaloso, la chiesa di Santa Maria della Vittoria, fu invece intitolata alla
Madonna: la vittoria di Praga – riportata dalle armate cattoliche di Ferdinando
ii d’Asburgo su quelle protestanti
(1620) al termine della guerra dei Sei anni – era stata infatti attribuita al
ritrovamento inaspettato di un’immagine della Vergine, che fu però distrutta da
un incendio scoppiato la notte del 29 giugno 1833.
L’attuale icona, conservata sull’altare
maggiore, è una copia, fatta rifare a spese del principe Torlonia, che
impreziosì anche l’altare di ornamenti e rari marmi.
Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. Tratto da Misteri e segreti dei Rioni e dei Quartieri di Roma, Newton Compton Editore
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