06/05/16

"Drammi quotidiani", la nuova mostra di Justin Bradshaw alla Sala Margana.

Vaso, di J. Bradshaw



Alla Sala Margana, a Roma, in Piazza Margana, è stata inaugurata ieri la mostra Drammi quotidiani, con le nuove opere di Justin Bradshaw. 

La mostra durerà fino a domenica 8 maggio con l'orario 11-19 


Qui sotto un estratto dal testo di Maria Laura Perilli per la recente mostra 'Correlazioni' alla Galleria Triphe di Cortona, pertinente anche alle opere presentati in questa mostra:

"La luce è lo strumento principale di Justin Bradshaw; i riferimenti sono prettamente Caravaggeschi e l’uso che ne fa esalta, specie nella Santa Teresa, la plasticità del panneggio rendendola impalpabile, leggero, assonante con lo stato di estasi del personaggio. L’alone di luminosità pervade la spazialità dei suoi dipinti creando un’aurea di mistero e spiritualità. La tecnica utilizzata è quella dell’olio su rame; é tecnica antica, sviluppatasi durante il periodo manierista e scelta in particolare da artisti fiamminghi e tedeschi per piccoli e raffinati dipinti. L’intento di realizzare il piccolo, il minuto, è ripreso in toto da Bradshaw; non tralasciando la particolarità del dettaglio non scade mai in una sterile descrizione. L’impianto verista è sempre superato da quella atmosfera mistica che l’artista inglese riesce ad imprimere nei suoi lavori."











L'antro della Sibilla, di J.Bradshaw in mostra a Piazza Margana

05/05/16

Il Lincoln Center di New York celebra Anna Magnani .



Istituto Luce-Cinecittà e The FilmSociety of Lincoln Center sono orgogliosi di presentare La Magnani, la retrospettiva che porterà in anteprima a New York, e poi in tutti gli Stati Uniti e Canada, un momento irripetibile della storia del cinema mondiale: l'apparizione davanti alla macchina da presa di un'attrice di nome Anna Magnani. La retrospettiva prevede 24 titoli, in gran parte provenienti dall'Archivio Internazionale di Luce Cinecittà, tutti proiettati in pellicola in formato 35 e 16 millimetri, dal 18 maggio al 1 giugno 2016 presso il Walter Reade Theater del Lincoln Center, coprendo quasi per intero l'arco cronologico della sua carriera cinematografica, dal suo terzo film Tempo massimo di Mattoli del '34, fino al simbolico addio in Roma di Fellini nel 1972.

Passando per il capolavoro di Rossellini che la proiettò nella memoria del mondo, Roma città aperta ("Ti ho sentito gridare Francesco dietro un camion e non ti ho più dimenticato", scrisse Giuseppe Ungaretti), La rosa tatuata di Daniel Mann che le valse l'Oscar® (di cui ricorre quest'anno il 60° anniversario) e Selvaggio è il vento di Cukor, con cui vinse il premio per la miglior interpretazione a Berlino, e la sua seconda nomination agli Oscar®. La retrospettiva intende riproporre negli Stati Uniti, che le hanno ufficialmente tributato i più alti onori - dall'Oscar® alla stella sulla Walk of Fame di Hollywood - l'orgogliosa passione, l'umorismo tagliente ed il naturalismo alieno dall'affettazione, che hanno reso Anna Magnani il simbolo, se non forse la più sintetica definizione dell'idea del cinema italiano.

Una forma d'arte, esplosa nell'apparizione di Roma città aperta, che mostrò al mondo qualcosa che prima le platee non avevano mai visto così apertamente: quel qualcosa che si divideva tra la nudità del realismo e la gloria, che era la vita portata sullo schermo. Parimenti portata per il dramma e la commedia, così come per il palcoscenico e lo schermo, la Magnani incarnava quella che sarebbe stata la qualità più precisa e insieme inafferrabile del nostro cinema migliore: muovere con lo stesso film il pubblico al riso e alla commozione.

Così, non per caso, la retrospettiva newyorchese dedicata ad Anna Magnani diventa anche l'occasione per riscoprire alcuni capolavori del cinema italiano: da Rossellini (oltre a Roma città aperta, L'amore), Visconti (Bellissima), Pier Paolo Pasolini (Mamma Roma), Federico Fellini (Roma), De Sica (Teresa Venerdì), Lattuada (Il bandito), Monicelli (Risate di gioia), Zampa (L'Onorevole Angelina). Consegnando la diversità di generi e umori che fanno del cinema italiano uno dei più eclettici, ancora oggi, al mondo. E non meno intensa è la visione di pellicole di maestri internazionali: da Cukor, a un film divenuto proverbiale come La carrozza d'oro di Jean Renoir, al Lumet di Pelle di serpente (accanto a un possibile analogo maschile della Magnani, per iconicità ed estensione dei limiti del vero: Marlon Brando), a un film intrecciato alla vicenda biografica con Rossellini come Vulcano di Dieterle, alla Rosa tatuata, scritto da Tennessee Williams appositamente per l'attrice.

E non mancherà per il pubblico del Lincoln Center la visione di pellicole raramente conosciute oltreoceano, come una delle sue prime prove per il cinema, il già citato Tempo Massimo di Mario Mattoli del 1934, o il suo distintivo stile vocale in La vita è bella di Carlo Lodovico Bragaglia, e una delle sue ultime interpretazioni sullo schermo: il dramma storico …Correva l'anno di grazia 1870, di Alfonso Giannetti, la sua unica pellicola a fianco di un altro grande interprete italiano: Marcello Mastroianni, nel 1971

A seguire, dal 2 fino all'8 giugno, Istituto Luce Cinecittà ed il Lincoln Center presenteranno insieme la rassegna di Cinema Contemporaneo OPEN ROADS, giunta alla sua 16a edizione

04/05/16

"I Can't get no Satisfaction" Storia di una canzone leggendaria nel nuovo libro di Dario Salvatori.



Dario Salvatori sceglie il canale edicola per il suo ultimo libro.    S’intitola Satisfaction. La ribellione del rock, l’ultimo libro del critico musicale e conduttore televisivo Dario Salvatori.

Il volume esce in edicola in questi giorni con una tiratura di 20.000 copie distribuito da Mondadori e pubblicato da Sprea Editori.

Si tratta di un cartonato di 160 pagine al prezzo di copertina di €9,90.

La scelta di pubblicazione attraverso il canale edicola – afferma Francesco Coniglio, direttore di Sprea Music, ideatore dell’operazione editoriale – è determinata dall’impossibilità di accedere al canale delle librerie, ormai prossimo al disastro totale, appesantito dai costi altissimi e ingestibili della distribuzione.

Il saggio è il racconto di un’epoca di ribellione giovanile ispirata dalla musica rock.

Il martellante riff di chitarra distorta di Keith Richards è stato infatti un incipit emotivo presto diffusosi in tutto il pianeta che ha scatenato le istanze dei giovani degli anni ’60 determinando un grande stravolgimento sociale, culminato nelle occupazioni delle università americane e francesi nel maggio del ‘68 e poi di tutta Europa alla fine dello stesso decennio.

Composto nell’estate 1965 ed inserito in un vinile formato 45 giri dei Rolling Stones, giovane gruppo inglese agli inizi, Satisfaction vende a stretto giro milioni di copie e viene rilanciato, nei rispettivi Paesi di appartenenza, da una serie di grandi artisti che annovera, tra gli altri, Marlene Dietrich in Germania, Eddy Mitchell in Francia, Quincy Jones e Chet Atkins negli Usa…

Oltre all’originale, usciranno inoltre centinaia di versioni, decretando universalmente il motto “I can’t get no Satisfaction” un vero e proprio inno musicale della ribellione giovanile che crescerà nel tempo e diventerà a tutti gli effetti la canzone bandiera dei Rolling Stones, il gruppo più importante del mondo.

 A distanza di 50 anni, Satisfaction permane una delle canzoni più popolari di tutti i tempi, ragion per cui Dario Salvatori ha deciso di dedicarle un intero saggio ricco di dettagli e curiosi aneddoti che ricostruisce la storia della canzone, dall’idea creativa alla registrazione, e analizza le numerose implicazioni sociali e culturali che ormai questa frase musicale simboleggia.

Nel volume è presente, in un inserto a colori, anche la ricostruzione della discografia italiana a 45 dei Rolling Stones, ritenuta per la varietà delle copertine e la rarità delle emissioni, la più interessante del mondo, a cura di Franco Brizi e Michele Neri.

 Il Gruppo editoriale Sprea S.p.A. di Milano, editore del progetto, sta conquistando il segmento musica delle edicola con una serie di iniziative editoriali specializzate.

Al mensile "Classic Rock", edizione italiana dell’autorevole rivista inglese, che sta superando il venduto di 12.000 copie a numero, si è affiancato da un anno il bimestrale "Prog", ad alto prezzo di copertina (€9,90) che si sta stabilizzando su 7000 copie di venduto.

03/05/16

"L'ultima famiglia felice" di Simone Giorgi (RECENSIONE).



Con questo romanzo d'esordio, Simone Giorgi, romano, classe 1981, ha avuto una menzione speciale al Premio Calvino 2014. 

Pubblicato da Stile Libero Einaudi, L'ultima famiglia felice (bel titolo), racconta pochi giorni (poche ore) di vita di una famiglia normalissima: il padre è il mite Matteo, un uomo alto e grosso che ha deciso di fare della bonomia e della tolleranza ad extremis il suo stile di vita.  E' anzi convinto che questo sia il collante necessario per mandare avanti una famiglia;   la madre è la nervosa Anna, donna in carriera, con una sua piccola agenzia pubblicitaria, e dentro un rapporto adulterino con il collega  (e sottoposto) Eugenio; i figli sono Eleonora e Stefano, i due classici adolescenti, la prima alle prese con i primi turbamenti sentimentali, pressata da uno sbruffoncello di scuola però innamorato, che si chiama Lorenzo, e Stefano, il ribelle, quello che ha attaccato un cartello sulla sua camera in cui scrive che l'ingresso è vietato al padre, e che lo manda a fare in culo regolarmente. 

Con questo povero o poverissimo materiale, quello di una famiglia assolutamente nella norma, Simone Giorgi imbastisce un romanzo di 240 pagine nel quale prova a smontare l'assunto tolstojano secondo cui le famiglie felici si somigliano tutte, mentre quelle infelici sono tutte infelici in modo diverso. 

Ma la famiglia di Matteo è felice o infelice ? Lo è - come molte famiglie - solo apparentemente: solo grazie a quella che Bergman chiamava l'arte di nascondere la polvere sotto il tappeto

E' su questo che si basa il sottile equilibrio che permette alla famiglia di restare apparentemente unita fino alla deflagrazione finale (ultime 2 pagine del racconto). 

Il centro della narrazione è ovviamente Matteo e il suo paradosso vivente: quello di non avere reazioni, di lasciar fare tutto, di mandare giù tutto, di sopportare ogni sorta di tradimento, di preoccuparsi degli altri, di fare per gli altri, di evitare ogni possibile scontro come prospettiva di unità e di felicità. Naturalmente Matteo è destinato a fallire.  E il romanzo è la costruzione minuta di questo fallimento che arriva fino al suo culmine. 

I personaggi - a parte Matteo che è lavorato meglio a tutto tondo, con un lungo monologo interiore - sono piuttosto stereotipati, il linguaggio letterario è (volutamente?) scarno. Lo stile, in levare.  Una vera sfida, insomma, anche per il lettore. 

Una certa tensione comunque monta lentamente dentro la narrazione, e la catarsi finale - fin troppo attesa - non è banale e riscatta l'attesa.

Il romanzo italiano oggi pare incastrato (o incarcerato) in queste minuti spostamenti emotivi che hanno ancora (o sempre?) al centro la famiglia, l'istituzione di cui è stato celebrato da molto tempo il funerale, ma alla quale non è stata ancora concessa o profilata alcun tipo di successione.

Fabrizio Falconi

(C) riproduzione riservata 2016

02/05/16

Da domani in libreria, "Un'assenza" di Natalia Ginzburg con i racconti brevi e tutti gli inediti.





Inediti come 'Tradimento' scritto nel 1934, undici racconti finora ignoti, una suite autobiografica e sorprendenti cronache dalle fabbriche di Torino o dalla desolazione di Matera

Arriva in libreria domani negli ETBiblioteca Einaudi 'Un'assenza' (pp 366, euro 18) che raccoglie 'Racconti, memorie, cronache 1933-1988' di Natalia Ginzburg, a cura di Domenico Scarpa con in copertina Raja di Felice Casorati

 Sono trentasette testi, per la maggior parte mai raccolti prima d'ora, apparsi in alcuni casi in riviste o antologie, che restituiscono, lungo piu' di mezzo secolo, gli itinerari di una tra le piu' belle voci del Novecento italiano

 Nella prima parte sono raccolti per la prima volta tutti i racconti brevi di Natalia Ginzburg: quindici testi dei quali undici mai radunati prima d'ora in volume

La seconda parte, 'Memorie e cronache', con 22 testi di cui 12 mai apparsi in volume, si apre con la poesia 'Memoria' dell'8 novembre 1944. E' dedicata a Leone Ginzburg, primo marito di Natalia, morto nellaprigione di Regina Coeli in seguito alle torture dei carcerierinazisti. 

Un testo conosciuto, da rileggere e custodire come il 'Discorso sulle donne'.

 Realizzato con mezzi che sembrano poverissimi, ogni racconto di Natalia Ginzburg è, come viene sottolineato nella quarta di copertina, "una rivelazione, una vicenda che scorre su piu' nastri, che imperturbabile va addizionando gesti, oggetti e battute di dialogo, che si toccano per vie segrete e non si dimenticano". 

 Nelle oltre 350 pagine si ritrova la voce ruvida, duttile, scontrosamente intonata, della Ginzburg, nata a Palermo nel 1916 e morta a Roma nel 1991, autrice di libri come 'Le piccole virtu", 'Lessico famigliare' e 'Mai devi domandarmi'. 'Un'assenza' e' la storia di questa voce nel suo lungo percorso in cui viene reso visibile il cammino di un autore che si sperimenta nella scrittura breve come primo genere di composizione. 

Nel volume anche Notizie sui testi con una grande quantità di documenti dove, nella maggioranza dei casi, e' ancora una volta l'autrice a testimoniare di se'.



01/05/16

La poesia della domenica - "Sulla vita sua" di Vittorio Alfieri.






(Sulla vita sua)


Sperar, temer, rimembrar, dolersi;
Sempre bramar, non appagarsi mai;
Dietro al ben falso sospirare assai,
Né il ver (che ognun ha in sé) giammai godersi;
Spesso da più, talor da men tenersi;
Né appien conoscer sé che in braccio a' guai;
E, giunto all'orlo del sepolcro ormai,
Della mal spesa vita ravvedersi;
Tal credo, è l'uomo, o tale almen son io:
Benché il core in ricchezze o in vili onori
Non ponga, e Gloria e Amore a me sien Dio.
L'un mi fa di me stesso viver fuori;
Dell'altra in me ritrammi il bel Desio;
Nulla ho d'ambi finor che i loro furori.


Vittorio Alfieri

30/04/16

Dettagli - di Fabrizio Falconi





Silenziosi
termini di paragone
fioriscono intorno
al giardino della tua assenza.
Sono dettagli
i frutti spinosi del rimorso ?
Sono misteriose strade
a ritroso, di gioiosi ritorni
a quando eravamo noi
- io e te - 
quelle tracce d'acqua piovana
disseminate nella terra
coperta d'erica e di sonno ?




in testa illustrazione di Paul Flora

29/04/16

Storia di una foto n.4 - Kurt Schraudenbach a Roma.



Stavolta, nella nostra caccia alla foto - qui le puntate precedenti - siamo partiti da una foto realizzata da un reporter tedesco, della Suddeutsche Zeitung, Kurt Schraudenbach che risultava e risulta essere stata scattata a Trastevere nell'estate del 1964, per un reportage su quella rivista. 

Stavolta la caccia è stata di più facile risoluzione a causa della chiara identificazione dei palazzi sullo sfondo, quello merlato, e quello con il tondo votivo sopra il portone in marmo. 

La foto è dunque stata scattata in Piazza di Santa Cecilia, in Trastevere, che oggi si presenta così: 


Il luogo è dunque esattamente all'angolo della Piazza con Via dei Vascellari.  E questa foto è più o meno ripresa dalla stessa angolazione: 




La piazza è dunque rimasta più o meno identica a come è ritratta nel 1964 (per fortuna oggi è protetta da un'area pedonale). 
E anche il tondo votivo è ancora al suo posto anche se semisommerso da una pianta rampicante. 



Resta comunque la considerazione di quanto sia stato drastico il cambiamento in quelle zone, considerando che ancora nel 1964 transitavano nella caratteristica zona fluviale di Roma, carretti a cavallo con le mercanzie, mentre donne trasteverine, per sfuggire probabilmente all'afa, spostavano le loro macchine per cucire Singer direttamente sulla piazza. 

Fabrizio Falconi - (C) riproduzione riservata 2016.



28/04/16

Dedicato a tutti gli amanti della bicicletta: Esce "Einstein e l'arte di andare in bicicletta".




Una bicicletta può cambiarci la vita? Di certo può ispirarla profondamente. La strada verso la felicità si può percorrere spingendo sui pedali, in armonia con se stessi e con una natura che apprezziamo appieno grazie ai ritmi delle due ruote. Con la giusta dose di mindfulness, ogni ciclista può sviluppare un approccio alla complessità dell’esistenza profondo e creativo, simile a quello di Albert Einstein. Non a caso amico della bicicletta.


"In bicicletta recuperiamo il nostro equilibrio, imparando a non eccedere a destra o a sinistra, in avanti o indietro. Ma soprattutto ritroviamo la felicità, godendo appieno i benefici di una filosofia organica e integrata. Sperimentiamo la magica gioia della curiosità; il piacere di sentire la mente immersa nel flusso; il calore che si trae dalla sicurezza di appartenere a una comunità e di avere un contributo da offrire; e l’esultanza profonda suscitata dall’incontro diretto con la natura e con l’umanità tutta. Andando in bici scopriamo ciò che Einstein ha saputo fino alla fine: qualunque cosa la vita abbia in serbo per noi, va tutto bene."


"Mi è venuta in mente mentre andavo in bicicletta"  disse ALBERT EINSTEIN a proposito della teoria della relatività. 

Ben Irvine è nato a Albury, Australia, nel 1979, ed è cresciuto a East London. Ha studiato Scienze Naturali e Filosofia presso l'Università di Durham, nel 2008 si è trasferito alla Cambridge University, dove ha completato il suo dottorato di ricerca in Storia e Filosofia della Scienza. Nel suo lavoro di scrittore, imprenditore e attivista, Irvine sfrutta intuizioni tratte da una serie di discipline accademiche - tra cui la psicologia evolutiva, la biologia, la sociologia, la storia e l'economia - per promuovere il concetto di benessere e diffonderlo al grande pubblico. Scrittore freelance, è guest blogger per "The School of Life" e "The Creativity Post". E' fondatore del "Journal of Modern Wisdom", rivista in cui vengono pubblicati i saggi dei più importanti pensatori che hanno al centro della loro opera il concetto di saggezza, e di una rivista gratuita "Cycle Lifestyle" che promuove i benefici che può dare il ciclismo alla salute fisica e alla felicità. Fa parte del progetto "London Cycle Map Campaign", che si sta battendo per la creazione di una grande mappa utile al ciclista che contenga la rete di piste ciclabili di tutta la capitale britannica. Questo è il suo primo libro.

www.centaurialibri.it

27/04/16

400 anni dalla morte di Shakespeare: l'attore Ian Mc Kellan lancia una app dedicata al Bardo .




Rendere William Shakespeare più accessibile a tutti, anche alle giovani generazioni, con la tecnologia. 

Tra le varie iniziative organizzate per i 400 anni dalla morte del Bardo, c'è anche questa, lanciata dall'attore inglese Ian McKellen, il Gandalf della saga de "Il Signore degli anelli" e dal regista Richard Loncraine

Un'app per iPad chiamata "Heuristic Shakespeare", in cui l'attore inglese 76enne, e come lui molti altri, recita "La tempesta" mentre sotto la sua immagine scorre il testo. 

L'idea è di fare la stessa cosa con tutte le opere dello scrittore. 

Una performance privata per gli utenti, non su un palcoscenico e senza costumi e si può mettere in pausa ogni volta che si vuole. "Ne ho parlato con gli altri attori e ne sono rimasti affascinati - spiega McKellen - magari averla avuta quando ho dovuto imparare il ruolo di Prospero, mi sarebbe stata di grande aiuto. Gli attori la useranno, credo, si possono anche prendere annotazioni, sottolineare, si prende confidenza con il testo, perché leggi mentre ascolti"

Per lui, uno dei maggiori interpreti di Shakespeare a teatro, la difficoltà è stata sempre prendere il ritmo. 

Il ritmo del verso shakespeariano, dice, è particolare e difficile da imparare. "Perché è il ritmo del cuore umano: di dum, di dum, di dum...". 

Con questa app si vogliono aiutare i giovani a capire drammi e commedie scritte centinaia di anni fa e spesso non più studiati. Anche agli adulti però potrebbe essere utile, per entrare nel clima shakespeariano prima di andare a teatro. "E' pensato per guidare le persone alla visione live - sottolinea Loncraine - non vuole certo sostituire il teatro".



26/04/16

Il Libro del Giorno: Jiddu Krishnamurti - "A se stesso (L'ultimo diario)".





L'ultimo diario dettato da Krishnamurti a Ojai, in California, dal 1983 al 1984 (due anni prima della morte). 

Confessioni illuminanti sui temi capitali dell'esistenza: conflitto, paura, morte.  Ogni "meditazione" è preceduta da considerazioni contemplative sulla bellezza della natura, di rara intensità e poesia. 

Ma quando Krishnamurti poi affonda il proprio pensiero sul senso dell'esistenza, il tratto è lucido e più duro che mai. Si potrebbe essere tentati da un rifiuto nichilistico.  Ma quanta vibrazione, quanto canto, quanta calma passione in queste pagine. 

Il difficile, semmai, è tradurre questo nella pratica della vita vissuta, ma anche qui K. sarebbe estremamente drastico: "non chiedere mai COME", dice. "Quando chiedi COME, in realtà diventi un essere umano di seconda mano."


Jiddu Krishnamurti
"A se stesso (L'ultimo diario)"
ediz. Ubaldini, 1990
Traduz. Sergio Trippodo


25/04/16

Il misterioso "cimitero delle scarpe" di Piazzale Ostiense, forse legato ai fatti della Liberazione di Roma.



La Via Tecta di San Paolo e il misterioso cimitero delle scarpe

La sua esistenza è attestata da molte e diverse fonti storiche, ma finora le risultanze archeologiche erano piuttosto scarse: la celebre Via Tecta di cui parlano le fonti antiche era quel porticus lungo ben tre chilometri (quattordici stadi, secondo le misurazioni romane) che collegava la Porta delle Mura Aureliane (la moderna Porta San Paolo) alla tomba dell’apostolo lungo la Via Ostiense

Si trattava di un’opera monumentale, poggiata su uno splendido colonnato, che è andata interamente perduta e di cui sono rimaste soltanto tracce nel sottosuolo, tra le quali quella della Chiesa di San Salvatore de Porta che sorgeva proprio lungo il criptoportico. 

Questa antica e preziosa chiesa fu anch’essa interamente distrutta nel 1849 durante i moti rivoltosi di quell’anno e anche le rovine furono ingoiate dai lavori di costruzione della nuova via di collegamento stradale. Nuove e importantissime conferme dell’esistenza del porticus (pilastri in mattoni e archi in travertino) sono arrivate recentemente da scavi nella zona (per la realizzazione di condutture del gas) che ha messo anche in luce strutture archeologiche risalenti al IV secolo d.C. (l’epoca in cui fu ricostruita la prima Basilica di San Paolo voluta da Costantino e rifatta dagli imperatori Teodosio I, Valentiniano e Graziano) compresi i resti della cripta sotterranea della chiesa di San Salvatore de Porta. 

Ma una nuova e più incredibile sorpresa è riaffiorata dal cantiere, lasciando del tutto sbigottiti i ricercatori e gli archeologi: in Piazzale Ostiense, infatti, è riemerso un inquietante deposito di decine e decine di scarpe di cuoio, di ogni tipo e foggia, di modello maschile, femminile e perfino molte di taglie per bambini, appartenenti di sicuro alla prima metà del Novecento. 

Tutto lasciava intendere che ci si fosse imbattuti in una fossa comune, della quale si ignorava e si ignora l’esistenza. 

Ma, proseguendo gli scavi, non sono state trovate ossa umane. E il mistero, si è, paradossalmente infittito: chi ha sepolto tutte quelle scarpe ? E per quale motivo ? E perché in quella zona ? Le scarpe hanno subito fatto pensare ad episodi di violenza: le scarpe sono la prima cosa che viene tolta ai morti.

La zona, poi, quella di Porta San Paolo, non è lontana (o è pertinente) dalle aree che furono teatro di vicende belliche importanti: le deportazioni del Ghetto di Roma, l’eccidio delle Fosse Ardeatine, i combattimenti di Porta San Paolo per la liberazione di Roma, i bombardamenti di San Lorenzo.

 Il lugubre cimitero delle scarpe, riaffiorato da una profondità di circa due metri, potrebbe far pensare a qualche evento di quel periodo del quale si è persa traccia. Oppure proprio ad uno di quelli di cui già sappiamo, ma che non è mai stato messo in relazione con questo luogo e con questo recente ritrovamento. A rendere intricato il giallo è anche la numerosa percentuale, tra i reperti trovati, di scarpe appartenuti a bambini.

24/04/16

"L'indicibile tenerezza - in cammino con Simone Weil" di Eugenio Borgna (RECENSIONE).



Eugenio Borgna, il decano degli psichiatri italiani, torna su Simone Weil, che così fortemente ha influenzato il suo lavoro e i suoi libri. 

Lo fa con un volume che sin dal titolo, L'indicibile tenerezza, mostra l'intenzione di rivolgersi a quel connotato profondamente umano che ha caratterizzato la breve esistenza di Simone, morta ad appena 34 anni a Londra, lasciandosi probabilmente morire di fame, il 24 agosto del 1943, per l'incapacità di sopportare l'inferno di morte e distruzione che la Seconda Guerra Mondiale stava scatenando sull'Europa, e in particolare sulla amata Francia. 

Borgna nel suo libro (ogni capitolo è preceduto da una stupenda poesia di Paul Celan)  riannoda i temi della vita di Simone Weil, dall'infanzia nella colta borghesia ebraica parigina, alla vicinanza con alcuni grandi irregolari della cultura di quel tempo, dall'esperienza traumatica e traumatizzante del lavoro in fabbrica volontario, in condizioni completamente disumane, all'arruolamento come volontario nella guerra civile spagnola, dalla compilazione delle opere più celebri e complesse, fino agli ultimi messi di malattia  e di inedia, nella capitale britannica dove si è spenta. 

La vicenda di Simone Weil è esemplare sotto molti versi: Borgna sostiene che vi è una grande vicinanza tra la disumana coercizione del lavoro in fabbrica negli anni '20 e la realtà concentrazionaria degli ospedali psichiatrici, dove Borgna ha lavorato per vent'anni. 

Anche nelle condizioni più estreme e - anzi - PROPRIO nelle condizioni più estreme, Simone Weil ha saputo alimentare il fuoco della speranza, dell'amicizia, dell'anima femminile come contrapposizione all'orrore, Nelle lettere alle allieve, nelle poesie, nei trattati filosofici, nelle pagine dei quaderni, nell'unica tragedia scritta, Venezia Salva, mostra i contorni di un'anima veramente eccezionale e grande, capace di illuminare, senza rifiutare l'attraversamento dell'abisso più oscuro. 

Le considerazioni di Borgna funzionano più che altro come raccordo, punteggiatura, delle moltissime citazioni folgoranti della Weil contenute nel libro, e affiancate a quelle di altre grandi anime, da Etty Hillesum (che della Weil appare una sorta di gemella spirituale) a Dietrich Bonhoeffer, da Rainer Maria Rilke a Giacomo Leopardi a Freidrich Nietzsche. 

Tutti questi grandi uomini hanno attraversato la propria ombra, hanno assunto su di loro il dolore e la sofferenza della condizione umana, e del male gratuito. 

Simone non si stanca di fare appello alla attenzione, perché "Ogni  errore umano, poetico, spirituale, non è,  in essenza, se non disattenzione" (pag. 153).

Non si stanca mai di rinnovare la speranza, di infondere luce sullo scenario scarno e livido a volte dell'esistenza: "Dopo mesi di tenebre interiori, all'improvviso e per sempre ho avuto la certezza che qualsiasi essere umano, anche se le sue qualità naturali sono quasi nulle, penetra nel regno della verità riservata solo al genio, se solo desidera la verità e fa un perpetuo sforzo d'attenzione per attingerla. Così diventa anch'egli un genio, benché per mancanza di talento questo genio non traspaia all'esterno." (p.125). 

Insomma è un libro che fa bene leggere, anche quando attraversa crudelmente le zone più buie dell'esistenza. 





22/04/16

"La lezione del maestro" di Henry James (RECENSIONE).





Pubblicato a puntate nel 1888, e nella sua forma definitiva nel 1909. 

L'idea nacque dopo una conversazione che Henry James ebbe col giornalista suo amico Theodore Child sulle conseguenze del matrimonio. Alla data del 5 gennaio 1888, nei taccuini (Notebooks) utilizzati dallo scrittore per registrare le prime idee sulle sue opere, James scrive infatti che Child attribuiva la scarsa qualità letteraria di una recente opera di Daudet al fatto che quest'autore aveva moglie e figli ed era quindi obbligato a produrre indiscriminatamente a buon mercato.

Di questo parla infatti La lezione del Maestro:  l'incontro tra il vecchio scrittore, St. George e il giovane autore, Paul Overt, che ha scritto un solo romanzo, Ginestrella, e che idolatra il vecchio maestro. 

Quando ha finalmente occasione di incontrarlo, durante un convivio in una lussuosa casa di campagna, Paul può verificare con mano il carisma del vecchio scrittore, il quale dichiara di aver letto l'opera prima di Overt e di esserne entusiasta.  Paul rimane però piuttosto sconcertato quando St, George ammonisce il giovane sui rischi che comporta - nell'arte e nella vita - un'accettazione idolatra dei precetti dei maestri, e soprattutto sui rischi che comporta il matrimonio e l'avere dei figli, per uno che vuole veramente scrivere, e diventare un grande scrittore. 

St. George in effetti è sposato, con una moglie molto attiva che gli cura perfino i rapporti con gli editori, e con figli e  - anche Paul lo sa - negli ultimi libri ha fatto passi falsi, cedendo evidentemente alle lusinghe della commerciabilita'.

A legare i due uomini c'è Miss Fancourt, figlia di un generale e "provinciale di genio", amica e devota di St. George.  Paul se ne innamora.   St. George, in una lunga discussione notturna, da una parte sembra sospingere Paul tra le braccia di Miss Fancourt, dall'altra caldeggia il rigore più assoluto. 

Paul prende alla lettera questo secondo ammonimento, e parte - insalutato - per la Svizzera, intenzionato a scrivere il suo secondo "perfetto" romanzo.   

Resta lontano dall'Inghilterra per due anni e in Italia gli giunge la notizia che la moglie di St. George è morta. 

Tornato finalmente  a Londra, Paul va per prima cosa a casa di Miss Fancourt, che non ha dimenticato e che vorrebbe ritrovare. Da suo padre però, il Generale, viene a sapere che St. George ha annunciato che si sta per risposare.  E che si risposerà proprio con sua figlia. 

Nel finale, amarissimo, Paul fa i conti prima con Miss Fancourt - che gli manifesta l'innocente affetto di sempre, e con St.George, che senza ritrattare di una virgola, e senza vergognarsi - come gli chiede Paul - si vanta di aver salvato il ragazzo, e di averlo consegnato alla pura creatività. 

La breve storia è l'occasione per James per fornire un apologo crudele e sottilissimamente psicologico sulla creatività (la letteratura) e i rapporti umani (cioè la vita vera), e la distanza che sempre esiste tra le due cose. 

La Lezione del maestro è una lezione ben cinica, e dura da sopportare per Paul, che però è principalmente vittima della propria ambizione, e dello sbaglio distorto di deificare una persona (prima che uno scrittore) profondamente umana e profondamente debole. 

St. George ha manipolato Paul, ma Paul ha praticamente chiesto di essere manipolato. 

La vita non è la letteratura, e sa presentare il conto.  L'inganno sottile di St.George è anche l'autoinganno che Paul persegue per (poter) dimostrare a se stesso di essere uno scrittore. 

Ma forse, ed è questo il gioco di specchi più grandioso di questo grandioso breve romanzo, è tutta la vita ad essere un inganno, perché niente risulta veramente autentico in questa caccia alla volpe alla ricerca di se stessi e del proprio ruolo nel mondo. 

Fabrizio Falconi (C) - 2016 riproduzione riservata.

21/04/16

Roma compie 2769 anni ! Tutte le iniziative per il "Natale di Roma 2016.



Letture poetiche, concorsi di letteratura latina, concerti, installazioni d'arte, rievocazioni storiche, inaugurazione di spazi pubblici restaurati, musei gratis e visite guidate. E luce, molta luce su monumenti, musei, Fori. 

Questo e altro è il Natale di Roma 2016, 2769mo dalla data tradizionale della fondazione dell'Urbe (21 aprile del 753 avanti Cristo). 

Il programma, si legge sul sito del Comune di Roma, parte oggi per andare avanti fino al 6 maggio. 

Primo appuntamento di rilievo, oggi, maratona di lettura dei sonetti di Belli, dalle 16 alle 19 nella sala Pietro da Cortona dei Musei Capitolini. Recitano i versi 40 lettori selezionati tra cittadini: uomini e donne, professori, studenti, religiosi, laici e anche amministratori capitolini, romani e non. A cura della Sovrintendenza capitolina con l'Archivio storico capitolino e il Centro studi Giuseppe Gioachino Belli.

Domani, in Campidoglio, il cuore delle celebrazioni. Dalle 11 nell'aula Giulio Cesare si susseguono i consueti eventi del Natale di Roma: l'edizione annuale della Strenna dei Romanisti, i premi e i concorsi (Cultori di Roma, Certamen Capitolinum, Premio Urbis), la medaglia 2016 dedicata al gemellaggio Roma-Parigi. 

Poi, sulla piazza, il concerto della banda dei vigili, che fa da contrappunto a una serie di concerti mattina e pomeriggio in centro, con la banda di esercito, guardia di finanza, aeronautica, Marina, polizia, polizia penitenziaria e carabinieri

Il 21 aprile i musei civici di Roma Capitale sono aperti gratis: liberamente visitabili le collezioni e le mostre in corso. 

A seguire, la riapertura di due spazi storici restaurati: alle 12.30 il Giardino degli Aranci all'Aventino, alle 15 il giardino di piazza Cairoli. E al tramonto, alle 19.58, l'accensione della nuova illuminazione Acea del Foro Romano, da contemplare dalle pendici del Campidoglio

La giornata prosegue alle 20.30 sulla banchina destra del Tevere, all'altezza di Ponte Sisto, con una performance musicale e di danza al cospetto di 'Triumph and laments', il fregio di 500 metri realizzato dal sudafricano William Kentridge pulendo selettivamente la patina biologica del travertino dei muraglioni (il progetto è dell'onlus Tevereterno)

A conclusione, i Viaggi nell'antica Roma di Piero Angela ai Fori di Augusto, Cesare e Traiano, un'anteprima ad ingresso gratuito ad entrambi gli spettacoli fino ad esaurimento posti con prenotazione obbligatoria allo 060608 (è possibile prenotare al massimo 5 posti per ogni telefonata). Le repliche proseguiranno tutte le sere fino al 30 ottobre 2016.

Nei giorni successivi si segnala: venerdì 22 la riapertura di Villa Aldobrandini dopo i lavori di restauro (ore 12); domenica 24, al Circo Massimo, le rievocazioni in abiti storici a cura del Gruppo storico romano (dalle 10 in poi); venerdì 6 maggio in Campidoglio (sala della Protomoteca), un concerto cameristico tutto all'insegna della stagione fiorita: in programma una trascrizione de La primavera da Le quattro stagioni di Vivaldi e la Sonata per violino e pianoforte n. 5 in fa maggiore, opera n. 24 'la Primavera' di Beethoven. Lungo tutto il periodo, un ciclo di visite guidate ai musei civici e ad altri luoghi storici di Roma.

20/04/16

Roma Anni '50 - Storia di una foto 3.


Dopo le due precedenti puntate dedicate a foto di Henri Cartier-Bresson scattate a Roma negli anni '50, ci siamo cimentati con una nuova foto, quella che si vede qua sopra, scattata nei primi anni '50. 

In questo caso, la caccia era molto più semplice. 

E' stato abbastanza facile infatti individuare il celebre palazzo di Luciano Manilio, nel cuore del Ghetto ebraico di Roma, in Via Portico d'Ottavia 2 che oggi si presenta così: 



La cosa interessante è che il bar, è rimasto sempre allo stesso posto.  Si tratta infatti di uno dei caffé più antichi di Roma. 

E oggi si presenta così: 



All'interno del locale, diverse foto in bianco e nero, che ricordano la storia del bar e dei diversi proprietari. 




E infine, qui di seguito la storia di questo splendido palazzo Romano, tratta da Misteri e segreti dei Quartieri e dei Rioni di Roma (per chi vuole saperne di più): 

La casa di Lorenzo Manilio 

A Roma si sente spesso ripetere che non c’è un romano più vero, più verace, di quelli che abitano nel cosiddetto “ghetto ebraico”, notoriamente uno dei più antichi del mondo (per l’esattezza il secondo, dopo quello di Venezia, sorto quaranta anni prima) essendo stato istituito per volontà di papa Paolo IV nel 1555. 

Proprio gli ebrei abitatori del ghetto hanno mantenuto vive nel tempo molte delle tradizioni popolari di Roma, dimostrando un grande attaccamento alla storia della città. L’esempio forse più eclatante di questo vero e proprio amore è “stampato” in uno dei palazzi più importanti e centrali di quella zona, anche se il suo autore realizzò l’impresa parecchi anni prima dell’istituzione del ghetto e cioè nel 1468

 Il nobiluomo che abitava il palazzo all’epoca si chiamava Lorenzo Manili, e si sa poco di lui, se non che doveva pur avere qualche smania megalomane, visto che era solito romanizzare il proprio nome in Laurentius Manlius o Manilio, ricollegandolo alla gensManlia. 

La sua casa, che ancora oggi esiste in via di Santa Maria del pianto, riporta il suo nome per ben quattro volte sulle porte del pianterreno, mentre sulle finestre che affacciano su piazza Costaguti si legge il motto – che doveva esser di famiglia – “Have Roma”. 

Ma il motivo per cui questo palazzetto nel cuore del ghetto ebraico è diventato così famoso è la grande iscrizione, a caratteri di imitazione romana, che si legge sulla facciata del palazzo e che indica una data – quella in cui è stato realizzato il fregio – davvero singolare: ovvero l’anno 2221. 

 Ovviamente la cosa, nel corso dei secoli, ha suscitato curiosità, anche se la spiegazione è ben chiara: essendo infatti il Manili un vero e proprio estimatore di Roma, e della Roma antica, adottava il calcolo degli anni secondo il metodo dell’abUrbe condita, cioè dalla fondazione della città, nel 753 a.C. 

 Il calcolo esatto della data inscritta da Manili – 2221 anni dalla fondazione di Roma – riconduce al 1468 d.C., ovvero al primo periodo del “Rinascimento romano”. 

L’intraprendente possidente, nella lunga iscrizione in latino, riportò una specie di dichiarazione d’amore, che tradotta suona così: “Mentre Roma rinasce all’antico splendore Lorenzo Manili, in segno d’amore verso la sua città, costruì dalle fondamenta sulla piazza Giudea, in proporzione alle sue modeste fortune questa casa che dal suo cognome prende l’appellativo di Manliana, per sé e per i suoi discendenti, nell’anno 2221 dalla fondazione di Roma, all’età di 50 anni, 3 mesi e 2 giorni; fondò la casa il giorno undicesimo prima delle calende di agosto.” 

 Un “ornamento” che ha resistito intatto per cinque secoli e mezzo e ancora oggi rinnova l’interesse e la curiosità sulla figura misconosciuta di questo protagonista della vita cittadina di allora.

Fabrizio Falconi (C) - 2016 riproduzione riservata.

19/04/16

Archeologia: Una splendida villa romana riemerge da scavi nel Wiltshire in Inghilterra.



I resti di un'antica villa romana suddivisa in diversi spazi sono riemersi "per caso" dalle profondita' della storia in un giardino del Wiltshire, in Inghilterra, dove il padrone della proprieta' di campagna in cui e' stata fatta la clamorosa scoperta stava interrando alcune linee elettriche per far giocare i suoi bambini senza pericolo. 

 Alle prime avvisaglie di quello che stava saltando fuori, riferisce la Bbc, il proprietario del terreno, Luke Irwin, ha chiesto aiuto

E i successivi scavi hanno confermato tutto, rivelando resti "straordinariamente ben conservati" incluso un mosaico pressoche' intatto. 

Secondo gli archeologi di Historic England si tratta di una scoperta "senza precedenti negli ultimi anni". Una delle ville romane piu' grandi riportate alla luce in Inghilterra, simile per dimensioni e pregio a quella di uno dei siti piu' famosi del Regno Unito: quello di Chedworth, nel Gloucestershire.



18/04/16

Cartier-Bresson e Roma - Storia di una foto 2.

Henri Cartier-Bresson, Roma 1953

Dopo la prima puntata (e la prima foto) siamo tornati sulle tracce di Cartier-Bresson e di quel suo leggendario viaggio nella Roma nel 1953, ci siamo messi a caccia di una nuova foto, quella che si vede qui sopra.  Stavolta abbiamo potuto appurare anche che la didascalia Trastevere, Roma è errata. La foto infatti non fu scattata a Trastevere, ma sul lato opposto del fiume, nel mezzo del Ghetto ebraico. 

Per arrivare alla soluzione del mistero, ci siamo avvalsi di un'altra foto realizzata nella stessa serie (e nello stesso giorno?) da Cartier-Bresson, con l'inquadratura più ampia, che permette di riconoscere un locale con l'insegna Fantino sulla sinistra. Eccola: 


Il particolare ci ha permesso di ricostruire con esattezza il luogo dove la fotografia è stata scattata: si tratta di Via Sant'Angelo in Pescheria (proprio alle spalle del Portico d'Ottavia), dove la piccola strada compie una curva verso sinistra. Ecco come si presenta oggi:


C'è ancora un ristorante al civico n.30 (ora si chiama Giggetto 2). La finestra di luce al centro del selciato, in cui gioca la bambina illuminata dalla luce, era creata dalla finestra nell'arco del Portico d'Ottavia, alle spalle di chi scatta la fotografia, oggi tappata dai ponteggi infiniti che ormai da 50 anni ingabbiano il meraviglioso Portico d'Ottavia: 



Ai lati dell'entrata del ristorante sono ancora visibili i due ganci per la tenda, utilizzati dal ristorante precedente Fantino



Seconda traccia svelata, dunque. Proseguiremo ancora il viaggio sulle orme del grande Cartier-Bresson. 


Fabrizio Falconi (C) - 2016 riproduzione riservata.