una nota di Maria Modesti su Sub specie aeternitatis di Fabrizio Falconi
La
sequenza delle poesie, divise in due parti ben distinte, Candoblè e Sub specie
aeternitatis, rivela una progressiva padronanza stilistica nel verso libero
che piano piano si distende, prendendo anima e voce.
Si
passa così da immagini evocative “sostieni
i vestiti di calce / offri ancoraggi idonei / dopo lente attese d’alto mare /
et libera nos a malo “ (pag.10), immagini che riassumono, insieme ai versi
successivi – “pallidi evasi / coscritti /
destini derelitti, / dispersi dannati poveri cristi (pag.14) e naufraghi affamati esausti…”. (pag.15) –
la condizione oggettiva, reale dell’uomo moderno, con le sue angosce,
contraddizioni, vuoto e solitudine, senza, però, rinunciare all’anelito verso
l’assoluto, a quella “sotto specie dell’eternità” dove l’individuo – libero non sono (pag. 28) - , ossia il
poeta, mette in gioco se stesso in quella strana “caccia alla volpe” che “è la
vita”(pag.28). Scrive, infatti,
Falconi - “Sono io / invece / l’oggetto,
/ l’artefice. / Ogni giorno distruggo / il mio pezzo di creato, / lo metto in
conto / e ricomincio daccapo “ (pag.47) -.
E’ l’io del
poeta ad essere in discussione, a misurarsi e confrontarsi con gli altri, i
vivi e gli assenti, cercando nel destino di ognuno, nella sua traccia o
memoria, “un chiaro segno di
riconoscimento”
E
all’orizzonte c’è un sorriso, c’è un
passaggio di luce, c’è un ramo
argenteo, c’è una nube bianca che si srotola dai monti.
Si percepisce il senso della vita accanto a quello della
morte, della luce accanto all’ombra.
Il messaggio che emerge è
quello di una semplicità naturale come il vento, le foglie, il bosco e la neve
che appesantisce “i rami / di vita
nascosta, in nuce, / non visibile / ma reale” (pag.52).
Contaminazione,
quindi, tra vari elementi nel tempo, nelle stagioni che si succedono “i giorni lunghi di novembre in quella “conta degli assenti” (pag.53) che rimanda alla memoria, ai morti.
Più
esplicito il riferimento è nel verso Voci
di cose, separazioni” dove palpabile è il passaggio all’eternità, ad un
assoluto (aria, cielo) che trascende
e che pure è vivo, concreto nello sguardo della donna amata, sguardo che
concede, tuttavia, una forza “che era
celeste” (pag.60), prima che tutto si dissolva, definitivamente, nel
momento del “passaggio”, del buio - sospeso nell’attesa di essere “interamente illuminato”.
Maria Modesti