Saul Bellow, di cui due giorni fa, il 10 giugno, ricorrevano i centosette anni dalla nascita e il 5 aprile i diciassette dalla morte, è una figura che non farà che prendere spazio nella prospettiva storica della letteratura americana di cui ha rappresentato un legame con la grande tradizione e, assieme, il momento di rottura, di innovazione.
Dopo i libri cesellati e minuziosi degli inizi, come L'uomo in bilico o La vittima che derivano dalle indagini sullo stile e la scrittura di Henry James, si propose di scrivere un libro del tutto americano, "libero dalla schiavitù autoimposta e arbitraria dei modelli inglesi", e nacque il suo primo grande romanzo, Le avventure di Augie March.
Premio Nobel per la letteratura nel 1976, Bellow (1915-2005) è considerato quindi uno dei grandi della letteratura americana, forse il più grande dal dopoguerra, che va ben oltre il ricco filone della produzione ebraica americana e leggerlo essenzialmente legandolo a quella sua intima e evidente matrice sarebbe un errore, una limitazione.
Figlio di immigrati ebrei russi, nato in a Lachine, nel Quebec (Canada), il 10 giugno 1915, Bellow è cresciuto a Chicago negli anni '20 e '30 ed ha avuto una vita sentimentale movimentata, con cinque mogli (e quattro divorzi), oltre a numerosissime amanti.
Uno scrittore diventato punto di riferimento essenziale con opere, per fare solo tre titoli, come Herzog (1964), Il pianeta di Mr. Sammler (1970), Il dono di Humboldt (1975) in cui predomina, sullo sfondo di una curiosità onnivora e prettamente umanista, la descrizione dello spaesamento intimo, che nasce da radici fisiche e culturali (l'ebraismo) e diventa universale e metaforico dei nostri tempi, sotto la continua minaccia di una realtà sempre più incomprensibile, in un mondo che ha perso chiarezza, in cui bene e male si confondono e le eterne domande sul senso dell'esistenza, restano dolorosamente senza risposta.
Augie March riprende il tema caro alla letteratura americana del ragazzo libero e dalle avventure picaresche (il modello sono Le avventure di Huckleberry Finn di Mark Twain), col protagonista che racconta di sé e si interroga sul proprio destino, mischiando energia vitale e comicità, brutale solitudine e feroce lotta col mondo nel tentativo di non essere schiacciato e di non perdere i brandelli della propria individualità, rifiutando di essere conglobato e omologato, in difesa della propria umanità.
E quest'ultimo è il tema di fondo dell'opera di Bellow e delle altre sue opere, da Humboldt l'intellettuale che interrogandosi sui mali del Novecento, si chiede come sia potuto accadere tutto e finisce per chiudersi in se stesso, a Mr Sammler, un anziano che guarda con amara coscienza alla propria vita alienata e pressata dalle ingiustizie, dal razzismo, della società americana, come una condanna senza uscita.
I suoi eroi, con i loro lunghi, scintillanti monologhi interiori, sono esuberanti, innamorati, intellettuali, capaci di guardare con autoironia alla propria incapacità a sottrarsi alle seduzioni femminili (spesso rappresentate da donne virago, assetate di sesso e di conto in banca), in un'epoca in cui la famiglia ha perso il suo valore e va disintegrandosi.
Perdenti che non soccombono, e che rielaborano e destrutturano i miti della frontiera e del sogno americano, infranti sulla soglia della modernità.
Una lucidità di pensiero, prima che di scrittura, ineguagliabile. Che aiuta a districarsi nel caos e si ostina a dare voce alla ragione e alle ragioni del cuore. Ultimo grande lascito di una grande letteratura che aiutava non poco a comprendere (e a dare un nome) al mondo.
"La colonna vertebrale della letteratura americana del Novecento - disse Philip Roth alla morte di Bellow - è stata fornita da due romanzieri, William Faulkner e Saul Bellow. Insieme sono i Melville, gli Hawthorne e i Twain del ventesimo secolo".
Fabrizio Falconi - 2022
Fabrizio Falconi
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