Quando, spostandosi da est ad
ovest si attraversa la regione del Midi-Pyrénées, la più estesa dell’intera
Francia, sembra che il ventaglio di creste scure, a Sud possa davvero essere
impenetrabile, invalicabile. I Pirenei confondono lo sguardo, non forniscono
l’adito di valli profonde, come le Alpi.
Appaiono come una muraglia compatta e severa. Dai profumi del Mediterraneo, in pochi
chilometri, sovvengono nuove e inaspettate sollecitazioni: sono i venti
floreali dei Pirenei, arricchiti da
migliaia di specie che proprio un italiano, nato a Bagnocavallo, il dimenticato
Pietro Bubani, detto il Botanicus
Peregrinator, passò più
di vent’anni, nell’Ottocento, a
catalogare. E’ un vento fresco ed aspro,
il cui odore si mischia a quello di legna fradicia.
Non per questo la terra dell’immensa
Occitania, che abbracciava anticamente Mediterraneo e Atlantico - pianure verdi, spiagge sconfinate e oscure
montagne - smette di interrogare il
visitatore nel cuore della sua storia personale, e insieme collettiva. Si lasciano alle spalle le euforie zigane di
Perpignan e le eresie catare di Carcassonne, i racconti che lasciano
insonni, e sembra di penetrare ancora
più profondamente nel senso di un arcano che sempre chiama l’uomo a
interrogarsi sulla natura di Dio.
.....
Senza sbagliare, si può affermare che da qui in poi, i Pirenei
diventano ancora più presenti, ancora più vivi, con la vetta del Pic d’Orhy che si può
quasi toccare, perché l’aria è diventata
chiara, tersa, e il colore bruno e verde scuro delle montagne disegna un
contrasto vibrante con il topazio del cielo.
Il mare, infatti, non è lontano. Poche decine di chilometri sono lontane
le spiagge atlantiche decadenti e assolate di Bayonne, Biarritz,
St-Jean-de-Luz.
E allora si infittisce il mistero
riguardo al destino umano, che sembra scegliere sempre – per compiersi
pienamente - la strada più ardua, quella
più tortuosa. Gli uomini infatti, sia che si recassero in battaglia, sia che fossero in cammino per il pellegrinaggio
millenario sulla tomba di San Tiago, hanno privilegiato sempre, la via più
impervia. Forse le coste, all’epoca, costituivano una minaccia più grande, per
trappole o imboscate ? Ma queste scoscese e oscure strade che risalgono il
vallone fino a Saint-Jean-Pied-de-Port non erano altrettanto pericolose ?
Non sarebbe stato più sicuro, o se non
altro meno faticoso - per i pellegrini
delle tre vie francesi – la Turonense , Podense e la Lemovicense – transitare da Hendaye, e da lì
direttamente a San Sebastiàn, per poi
discendere su crinali certamente più docili verso il miraggio di Compostela
?
No. Il cammino degli eserciti e dei
pellegrini in cerca di Dio – lo stesso, sulle stesse strade – ha preferito
passare di qui, issarsi sui versanti ripidi che conducono su, da
Saint-Pied-de-Port, fino a Arneguy che è chiamata anche Aduana – i nomi
cominciano a indicare concretamente la direzione geografica intrapresa - e poi ecco: inaspettatamente, la moderna e
triste insegna di un distributore di benzina
Campsa è il benvenuto in terra di Spagna.
Da Valcarlos fino al passaggio dell’alto di Ibaneta, 1057 metri sul livello
del mare: è qui, in questi pochi chilometri, tra questi due versanti ampi e
ombrosi, che la storia di secoli, passati a rimasticare le chansons de
gestes , si è tramandata attraverso l’eloquio puro dei
trovatori, di bocca in bocca, di generazione in generazione.
Valcarlos non è che un piccolo borgo,
che soltanto per due giorni all’anno, la Domenica di Pasqua, e il 25 luglio - nella settimana che precede la festa
patronale di San Giacomo - improvvisamente si anima di centinaia di Bolantes,
coloratissimi ballerini e ballerine, i quali attraversano il villaggio nei
costumi tradizionali, tenendosi per mano. Il rosso è il colore predominante.
Rosse le gonne delle ballerine, rossi i fazzoletti degli uomini. Rosso come il
sangue che per molti secoli ha bagnato
le strade della Navarra.
A dieci chilometri da Valcarlos, proprio
a Puerto de Ibaneta, ecco il punto esatto: il passo dove l’antica e invincibile tradizione da sempre racconta la
triste sorte di Orlando, uno dei massimi e più popolari eroi della
cristianità, qui dove i suoi uomini
furono attesi, affrontati, e non
risparmiati, anzi, ferocemente sterminati.
I francesi hanno sempre chiamato questo
valico Col de Roncevaux,
ed in virtù della loro egemonia letteraria nei salotti d’Europa, questo nome è diventato da tutti riconosciuto
come il luogo della battaglia.
Così, anche se oggi non v’è che un brutto
monumento moderno a ricordo di un mito - alimentato e contraffatto nei secoli
da una schiera sconfinata di poeti francesi, spagnoli, italiani, tedeschi
- ogni visitatore di passaggio, si
ferma, cerca nell’aria una memoria o una traccia della lontana leggenda, alla
quale sa in fondo - anche magari soltanto confusamente - di appartenere, come gli appartiene ognuno che discenda da
una qualsiasi delle stirpi che abitano il
vecchio continente.
Non è che un sasso enorme e sformato
questo monumento, e non vi sono incise che un nome e due date:
Roldan -
778 – 1967
Neanche, dunque, l’occasione di
una ricorrenza vera e propria, eppure
nessuno si sottrae al rito di mettersi
in fila per la classica foto che ritrae il pellegrino all’inizio del suo Camino, davanti al
monumento a Rolando, sullo sfondo delle immense foreste di pino uncinato che
ricoprono le montagne.
Chi era Orlando, o Roldan, o Rolando, o
Hruodlandus come pare si chiamasse in realtà il personaggio storico, realmente
esistito, che diede origine al racconto ?
Chi era dunque ? E perché non possiamo dimenticarci di lui ?
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