Ho nutrito per anni un pregiudizio nei confronti di Jonathan Franzen.
Troppo successo, troppo rumore, troppo fenomeno. In genere diffido a priori. Ci sono arrivato quindi dopo parecchio tempo e a partire da questo Libertà, il suo quarto romanzo, pubblicato nel 2011, a dieci anni di distanza da Le Correzioni, che nel 2001 avevano dato a Franzen il National Book Award e la notorietà internazionale.
Ma già dopo poche pagine, ho dovuto ricredermi.
Libertà è un grande romanzo.
Anzi, devo dire, dopo molti molti anni, ho ritrovato l'impressione di leggere un Grande Romanzo Americano (Great American Novel), l'ambizione più o meno segreta di ogni romanziere nordamericano, che prima o poi incappa nella velleità di scrivere un ampio romanzo capace di racchiudere e sostenere lo spirito contemporaneo americano.
In effetti forse è da Le avventure di Augie March, di Saul Bellow (1953), che non riscontravo da lettore un esito così ben riuscito.
Soltanto che quello è un romanzo di formazione classico, mentre questo è un romanzo intessuto sulla storia di un matrimonio.
Patty e Walter Berglund sono «i giovani pionieri di Ramsey Hill», nella cittadina di St. Paul, Minnesota. Vivono in una casa vittoriana che hanno acquistato per pochi soldi e impiegato dieci anni per ristruttura. Hanno due figli ventenni, Jessica e Joey; sono moderni e liberali, democratici e ecologisti.
Agli occhi dei vicini di casa, Patty e Walter sono una coppia solida. Come molte coppie, invece nascondono vuoti e frustrazioni.
La costruzione del romanzo è perfetta; perfetta la sua struttura. Nelle prime 250 pagine - un capolavoro di equilibrio - Franzen affida la biografia di Patty alla stessa voce della protagonista. Così apprendiamo i dubbi e le ferite di questa donna come tante, forte e debole allo stesso momento, del suo matrimonio sbagliato, delle circostanze fuorvianti che ve l'hanno condotta, la passione segreta per il miglior amico del marito - la rockstar pragmatica e impenitente Richard Katz - cui viene data libera espressione nel momento più delicato della vicenda.
Nelle parti successive - dedicate a Joey (il figlio viziato e intraprendente della coppia, il suo strambo matrimonio con la vicina di casa Connie, la passione per la bella e viziata Jenna) e a Walter (la sua dedizione alla causa ecologista per la salvaguardia di un piccolo uccello migratore, la sua passione per Lalitha, una giovane assistente indiana innamorata di lui) la vicenda si compone con le diverse voci e i diversi tempi di un quartetto d'archi ben assemblato. Ciascuna voce passa la voce alla successiva. E le trame non si confondono, ma formano un tessuto dal disegno lucido e preciso.
Vargas LLosa diceva recentemente che due sono essenzialmente i presupposti per scrivere un grande romanzo: la scelta della voce narrante (chi è che parla al lettore) e la scelta dei tempi, del tempo dell'azione.
Franzen vince entrambe le sfide: sceglie una voce polifonica, ovvero composta di diverse voci, assoggettate al progetto comune; sceglie un presente e un 'a ritroso' che dialogano per tutto il corposo romanzo, lasciando ganci aperti alla fine delle parti, suscitando il coinvolgimento sempre diretto del lettore.
La felicità del racconto è strutturalmente legata al fine che si persegue: quello di una lunga meditazione sul matrimonio, sulla relazione sentimentale, e sulla libertà individuale.
Tutti i personaggi di Libertà sono alle prese con la ricerca affannosa di una libertà individuale, e devono fare i conti con gli impedimenti e gli intralci che si sono autoimposti con i loro errori.
L'imponderabile scivola nelle vite già fortemente compromesse dalla catena delle ferite/risposte, dalle incapacità individuali, dalla confusione di una apparente e sostanziale mancanza di senso generale.
L'ipocrisia, il dolore, la trasandatezza, l'insano masochismo, la voglia di sfidare i propri limiti, l'intemperanza, l'impazienza. la paura, la sofferenza, la gioia improvvisa, la sproporzione tra i demeriti e i meriti, la passione vissuta come via di fuga: questi sono i veri protagonisti di Libertà.
Specchio antropologico e simbolico della civiltà americana, arrivata ad un punto dove ogni desiderio individuale sembrerebbe esaudito o a portata di mano, tranne quello della felicità personale, che passa per forza di cose attraverso la consapevolezza (un conto eternamente rinviato, fino all'inevitabile).
La scrittura di Franzen è limpida e circolare, come nella più classica delle lezioni tolstojane. i dialoghi sono sempre all'altezza, le trovate mai fini a se stesse. Il dolore è autentico, il disorientamento anche.
Nelle vite di Patty e Walter è lecito sbirciare, entrare, lasciarsi perfino trascinare. Essendo difficile alla fine restare alla pura distanza dell'oggettivo punto di vista del lettore, visto che tutto questo ci riguarda da vicino, più di quanto forse vorremmo.
Fabrizio Falconi (C) - riproduzione riservata
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