Se fosse possibile intraprendere una imponente campagna di scavi nel Circo Massimo, la più grande arena dell’antichità, chissà cosa sarebbe possibile ritrovare.
L’impresa non è facile per molti motivi, primo fra tutti l’utilizzo che ancora oggi il sito ha per i grandi eventi che si svolgono in città, e in più a causa di una falda acquifera sotterranea che ricopre tutta la zona.
Il Circo Massimo infatti, dopo i fasti dell’Impero, cadde come molti monumenti della Roma antica nell’oblio e nel degrado.
La zona fu quasi interamente occupata da una palude che ricoprì ogni struttura, sotto diversi strati di terra e acqua.
Basti pensare che alla fine del Cinquecento, a quattro metri e mezzo di profondità, gli ingegneri papali recuperarono nientemeno che l’Obelisco Lateranense, uno dei due che ornava la spina centrale del Circo, il più grande in assoluto di quelli di Roma, alto ben trentadue metri e ricoperto di splendidi geroglifici.
L’obelisco era stato cavato dalle montagne di Assuan dal faraone Tutmosis III (1479 – 1426 a.C.) e rimase in piedi nella città di Tebe, finché Augusto prima e Costantino dopo, a seguito della conquista romana dell’Egitto, pensarono di trasportarlo a Roma, dovendo rinunciare alla impresa che fu compiuta soltanto dal figlio di Costantino, Costanzo II (317-361) con l’erezione al centro dell’arena, nel 360 d.C.
Rimasto in piedi soltanto per meno di due secoli fu probabilmente abbattuto dai Goti nel 547, insieme agli altri obelischi della città.
Ciò nonostante, anche se scomparve dalla vista progressivamente, rimanendo sepolto sotto l’acqua della palude, la sua memoria rimase intatta nei secoli. E quando Matteo Bortolani di Città di Castello, per conto del Papa, ordinò di muovere i picconi nel centro dell’Arena, fu trovato l’Obelisco a quasi cinque metri di profondità, nello stesso punto dove era stato abbattuto, purtroppo rotto in tre pezzi.
Trascinato fino al Colle Lateranense con immani lavori di trasporto, fu infine collocato in quella posizione per essere a vista con la Basilica di Santa Maria Maggiore, in linea con il suo gemello Esquilino.
E qui venne eretto da Domenico Fontana il 10 agosto del 1588.
Se un tale tesoro fu trovato, praticamente intatto (a parte la frattura), si può immaginare quali altri reperti sarebbe possibile trovare al di sotto dell’arena.
Ne è una riprova la recente scoperta del ritrovamento dei resti del grande arco realizzato in onore dell'Imperatore Tito ritrovati al Circo Massimo dagli archeologi della Sovrintendenza capitolina durante i lavori di scavo e restauro dell'emiciclo sud del Circo.
Questa parte dell’arena è infatti l’unica che è da diversi anni oggetto di scavi metodici. E’ un punto cruciale, perché l’emiciclo sud, rivolto verso l’attuale Porta Capena e l’Appia – rinominato popolarmente la curva sud del Circo Massimo - era quella più spettacolare, dove le bighe in corsa dovevano compiere una repentina curva di 180 gradi, sotto lo sguardo dei centocinquantamila spettatori, con cadute, contatti e scontri, come è stato mostrato molte volte nei film di Hollywood.
Quando gli archeologi si sono imbattuti, diversi metri sotto il livello attuale e al di sotto della falda acquifera, in alcuni grandi frammenti architettonici in marmo lunense, hanno capito di trovarsi di fronte a reperti dell'attico e alla trabeazione dell'Arco.
Le cronache dell’epoca descrivono molto bene questo imponente monumento: l’ampiezza dell'arco era di circa 17 metri, per una profondita' di circa 15, mentre le colonne sviluppavano un'altezza di oltre 10 metri.
Un monumento che, nel complesso più piccolo di quello di Settimio Severo (sulla Via Sacra), doveva impressionare non poco, per magnificenza e ricchezza di decorazioni, i visitatori che entravano in Roma dalla Via Appia attraverso la vicina Porta Capena.
Dedicato a Tito nell'anno della sua morte, nell'81 d.C., per celebrare la sua vittoria sui Giudei e la distruzione di Gerusalemme, l'Arco era posto al centro dell'emiciclo sud del Circo Massimo.
Era a tre fornici intercomunicanti, con platea ed una scalinata sulla fronte verso il circo, mentre si collegava con due gradini con il piano di calpestio esterno
all'edificio. La fronte era caratterizzata da 4 colonne libere e 4 lesene retrostanti aderenti ai piloni.
Era sormontato, sull'attico, da una grandiosa quadriga bronzea. L'arco assumeva un ruolo particolarmente importante nel corso delle processioni trionfali che celebravano le vittorie dei generali o degli imperatori.
Il lungo corteo trionfale, dopo aver sfilato lungo il Circo Massimo e avere raccolto l'ovazione della folla, passava al di sotto dell'arco e proseguiva il suo cammino diretto al tempio di Giove Capitolino, sul Campidoglio.
Il recupero della magnifica struttura è ancora arduo: ritrovato il pavimento antico, le lastre di travertino e messi in luce tre plinti frontali e parte del plinto della quarta colonna, la zona è stata nuovamente interrata per evitare danneggiamenti, in attesa di nuove risorse che permettano di riportare al suo splendore uno dei monumenti antichi più belli di Roma.
Fabrizio Falconi
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