Ho visto ieri sera, "Living in the material World-George Harrison" il docu-film targato HBO realizzato da Martin Scorsese sulla vita di George Harrison, uscito nell'ottobre scorso negli USA.
E' un'opera pregevolissima, che raccomando a tutti - non solo agli amanti dei Beatles e della musica in generale- con l'unica avvertenza che consiglio di considerare, e cioè che si tratta di un'opera molto lunga, della durata complessiva di ben 3 ore e 38 minuti (sconsigliabile dunque l'ultimo spettacolo..!)
Si tratta comunque di un film splendido, tenuto in mano dalla saldissima regia di Martin Scorsese che ormai alle opere documentariste sul rock ha dedicato una parte rilevante della sua filmografia, da Woodstock (di cui curò, in modo misconosciuto il montaggio) a The Last Waltz a Shine a Light, del 2008, dedicato ai Rolling Stones.
Splendido perché ricostruisce con materiali di archivio stupefacenti - e mai visti - gli anni d'oro del percorso creativo di Harrison insieme ai Beatles, gli anni della Swinging London, la crisi definitiva del gruppo, la carriera solista, ma soprattutto il percorso personale di ricerca interiore di quello che era certamente il più 'solitario' e meditativo - il più attratto dal lato spirituale dell'esistenza - dei Fab Four.
Lo fa, oltre che ripescando i materiali sonori e visivi dell'epoca (molti dei quali messi a disposizione dalla vedova di Harrison, concedendo molto spazio alle interviste dei testimoni, che raccontano il loro lato di George: Paul McCartney e Ringo Starr, Eric Clapton e George Martin, Yoko Ono e Terry Gilliam, Phil Spector e Ravi Shankar, e via discorrendo..
Il quadro che si compone è quello di un'anima, più che una persona, che si trovò coinvolta in un fenomeno senza precedenti - quello della popolarità del quartetto di Liverpool che in meno di dieci anni riuscì a conquistare il mondo intero, cambiando per sempre la storia della musica contemporanea - e che però riuscì a non farsi sopraffare, cercando sempre di tendere a quel 'centro' , a quella ricerca intorno al senso dell'esistenza, per la quale si può dire di non essere vissuti invano.
Un tributo colto e approfondito, umano e non distaccato, che non poteva lasciare indifferente un autore come Scorsese da sempre attratto dai temi spirituali . "Tutta la musica dell'ultimo Harrison funziona da supporto alla meditazione, come avviene nelle tradizioni orientali " ha raccontato Scorsese a Richard Schickel nel libro autobiografico "Considerazioni su me stesso e tutto il resto" uscito da poco per Bompiani.
E dunque un vero atto 'meditativo' è anche la visione di questo film.
Fabrizio Falconi
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