Sarà pur vero, come dice Massimo Cacciari, partecipando alle esequie, che Don Verzè ha lasciato ai suoi collaboratori, e al personale docente della Università Vita e Salute, "massima libertà, mai nessuna interferenza."
E sarà vero anche che, come invita a fare lo stesso Cacciari, Verzé meriti di essere ricordato "per quello che ha lasciato alla luce del sole," piuttosto che per i suoi guai giudiziari.
E però io credo che la vicenda umana del fondatore della Università del San Raffaele di Milano ci insegni fondamentalmente una cosa molto semplice: e cioè che l'ambizione personale (che nel caso di Don Verzé giungeva al livello della megalomania, come ha scritto Aldo Cazzullo nel ricordo sul Corriere della sera) si sposi molto male con il cristianesimo.
Il cristianesimo e l'ambizione personale sono - dovrebbero essere e restare - realtà separate.
Il cristianesimo anzi, riferito agli insegnamenti del suo Fondatore, nei Vangeli, è edificato proprio sul valore costitutivo della rimozione di ogni ambizione personale, sul "farsi" humilis (da humus), sulla rinuncia agli onori, al riconoscimento degli altri, alla vanagloria terrena.
In questo senso, anche se il giudizio ultimo per un cristiano è sempre quello ultra-terreno, si potrebbe dire che Don Verzè è stato tradito proprio dalla più banale delle debolezze umane: l'ambizione s-misurata.
E se il giudizio divino non ci riguarda e non ci può riguardare, un giudizio umano va pur dato.
Perché non è affatto vero che essere cristiani vuol dire disinteressarsi delle umane vicende.
Sono anzi, le umane vicende - cioè le opere, nel bene e nel male, e non le fatue parole - che contraddistinguono chi o cosa è cristiano.
Lo ha in qualche modo ribadito pochi minuti fa la stessa CEI per bocca del suo Segretario Generale, mons. Crociata, che in visita a Palermo, ha detto: ''Fino a quando non riusciremo a trasmettere che essere buoni cittadini e' dimensione integrante dell'essere buoni cristiani, difficilmente riusciremo a far crescere dei cristiani veri''.
"Nemmeno la crisi," aggiunge Mons. Crociata, "può motivare indulgenza verso l'illegalità diffusa."
Essere buoni cittadini (il che vuol dire, credo, non trasgredire le leggi). Non praticare l'illegalità. Sono i presupposti per essere anche buoni cristiani.
Basterebbe già mettere a tacere il dèmone della propria ambizione, per evitare di comportarsi in flagrante contraddizione con quello in cui si professa di credere.
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