III.
Come stenti a Rio de Janeiro,
come magici rilenti
abbandonati spenti venti sempiterni,
accaldati venti dell’entroterra arroventato
tra le macerie polverose dell’Impero
crollate sfere disfatte, spezzate,
come il cavallo sfinito bloccato
dalla canicola secca della Camargue,
come tutta questa pesantezza,
scrematura acida dell’universo
inutile biancastra
disegno d’arguzia affatto divina.
Guado atteso, intermezzo
di storia e d’avventura
russare di sogni così forte
da svegliarsi e morirne,
passa e ripassa il nostro sbaglio
sulle federe, sui cuscini
sul rumore distante dei disastri
disattesi dolorosi di strada,
sormontato dalla nausea grigia
di gabbiani, faticosamente sospinti
da venti affievoliti, distratti
stupidi venti calanti.
Agogniamo approdi
e non sappiamo nulla
di tenerezze e maree,
del pallore di bimbo,
della figuretta spersa
tra le mani della folla,
in veloce passaggio, esangue,
sul punto di morire.
Nessun commento:
Posta un commento
Se ti interessa questo post e vuoi aggiungere qualcosa o commentare, fallo.