Ospitalità.
Quando morì Edmund Jabès, il 2 gennaio del 1991, si disse subito: uno dei massimi poeti contemporanei. Ma non solo, perché Jabès, l’esule egiziano trapiantato a Parigi, lasciando un corpus di riflessioni e testi filosofici, ha anche esplorato – sempre in modo poetico – alcuni temi capitali della contemporaneità. Uno di questi è il tema dell’accoglienza, dell’essere straniero, dell’ospitalità che sembra, mai come in questi tempi, cruciale per le sorti del mondo. All’ospitalità Jabès dedicò un libro ( in Italia: Il libro dell’Ospitalità – Edmund Jabès, Raffaello Cortina Editore, 1991 ). E l’ospitalità di cui parla Jabès è quella che permette a due estranei di incontrarsi e di (ri)conoscersi. E’ l’incontro, lo svelamento reciproco:
Posso rivelare il mio nome soltanto a colui che non mi conosce.
Colui che conosce il mio nome, lo rivela a me.
E’ dunque solo l’altro, colui attraverso il quale io posso imparare il mio nome. E’ grazie alla sua accoglienza/ospitalità che io posso identificarmi. Ed è l’attesa di/per qualcuno che genera la sua presenza, le concede significato:
Tu esisti perché io ti attendo.
Anche attendere non è quindi un’operazione passiva, ma creativa. La parola ospite, infatti ha in lingua italiana, una doppia valenza, attiva e passiva: colui che ospita, e colui che è ospitato.
L’ospitalità, dice Jabès, è crocevia di cammini.
Il cammino di colui che arriva, e di colui che attende, dunque. I passi dei quali risuonano nei canti accorati di Antonia Pozzi ( 1912-1940), la poetessa del silenzio, dell’abbandono, dei paesaggi alpini incantati, ma anche dell’incontro, come in “Certezza”, del 9 gennaio 1938 (Parole – Antonia Pozzi, Garzanti, 1989):
Tu sei l’erba e la terra, il senso
Quando uno cammina a piedi scalzi
Per un campo arato.
….
So che un giorno
-il mezzogiorno sciamerà coi gridi
dei suoi fringuelli-
sgorgherà il tuo volto
nello specchio sereno, accanto al mio.
L’apparizione del volto di colui che si attende, dell’ospite amato, di colui che viene a sgorgare nello specchio, abituato a riflettere solo una immagine. E l’ospite è appunto colui che arriva così, a piedi scalzi, muovendo il paesaggio delle cose usuali, consuete, scontate. L’apparizione dalla quale proviene il cambiamento fruttifero, che consente anche a me, ospite che ospita, di vedere come se fosse nuovo, il mio viso.
Ma perché l’ospitalità sia piena, occorrono altri ingredienti: rispetto, distanza, lontananza. Due esseri non potranno mai essere uno. E il mistero dell’altro va pienamente osservato.
Velarsi sarà l’essenza dello slancio di ogni apparire ?
Scrive Toti Scialoja, grande pittore e grande poeta ( 1914- ), che intendeva anche l’arte pittorica, della luce e dell’ombra, come un gioco d’incontro, di mistero e di svelamento:
Allo schiudersi è necessario il suo mantenersi velato
Quel che viene visto la prima volta è il meno visibile
L’ospitalità è allora, interpretando queste parole di Scialoja ( Le costellazioni, Marsilio, 1997 ), un mantenersi velato, per permettere, appunto lo schiudersi, naturale, spontaneo, non traumatico. Quel che viene visto la prima volta è il meno visibile: l’ospitalità è pazienza, è cura dell’altro, è attenzione.
L’ospitalità è attesa, abbiamo detto, è pazienza. Ma è anche ricerca. Ricerca determinata dall’amore, potremmo dire, come sembrerebbero suggerire questi versi di Claudio Damiani (1957), tratti da “Eroi” ( Fazi Editore, 2000):
Perché tu a un certo punto mi hai cercato,
hai detto: dove è il mio amore ?
dove è colui che mi ha amato ?
colui che mi ha risvegliato
mentre dormivo nell’erba.
Io dormivo sotto la terra
e lui mi ha richiamato.
ero nel suono della fonte
e lui mi ha ascoltato.
Mi ha cercato, è venuto sulle mie tracce,
e mi ha catturato.
Io camminavo e non lo sentivo
ma lui era dietro di me
che mi seguiva.
Ospitalità dunque è anche, soprattutto, cercarsi, seguirsi da lontano, sulle tracce, ascoltarsi, richiamarsi. E siamo di nuovo a Jabès, al suo svelamento reciproco. Ri-chiamare è infatti anche chiamare di nuovo, ri-nominare. Lui mi ha richiamato, ha consentito che io possa essere nuovamente chiamato per nome, in modo ancora una volta nuovo, originale, autentico.
Fabrizio Falconi
L'ospitalità,sembra la cosa più facile del mondo mentre nella pratica è spesso e volentieri la più difficile.....
RispondiEliminabellissimo questo pezzo poetico che risveglia i dormiendi,speriamo.
Grazie fabrizio,
jole
Grazie moltissimo Jole per le tue parole.
RispondiEliminaFab.
Allo schiudersi è necessario il suo mantenersi velato
RispondiEliminaQuel che viene visto la prima volta è il meno visibile
come accade, a volte, al primo incontro, negli incontri fondanti della nostra vita, quando in un attimo ci si fa presente l'universo intero fin allora sconosciuto che anima l'altro. Poi la scelta: seguire il vento nuovo o farlo scorrre altrove?
Grazie Fabrizio,
splendido post! un alto volo tra voci poetiche d'alta quota
Filomena
Grazie cara Filomena.
RispondiEliminaSono contento di queste tue parole. Nel mistero dell'altro c'è anche il mistero della nostra vita.
Fab.