II.
E qualcosa di sbagliato deve esserci
nell’invenzione che non risolve,
nel dubbio che non scorda
e commemora i tempi dello sbaglio,
una parola messa a caso,
indossata sulla pelle e consumata,
reato commesso solo a tratti
e poi perso per strada, senza strappi.
Qualcosa di sbagliato che addolora,
l’indifferenza tua magnifica
come se non mansueti agnelli, ma tigri
i nostri avi avessero domato.
Nello sbaglio di chi ha dirottato
un bene, progetto o utopia
c’era il mio e il tuo,
serrate fila, martiri di vita,
in quello sbaglio abbiamo creduto,
confessato piagato rapinato
il nostro fratello ammalato,
consunto e imputridito
dallo stesso porto disceso,
con lo stesso nostro odore
le vesti di seta ed il cappello
e la nostra stessa superbia.
Di tutto quanto abbiamo speso male
non è rimasto niente,
la scocca silenziosa e immobile
della pendola in soffitta.
Cosa è mai la colpa,
se accanto a noi, distesa
nella nostra stessa umida tomba
la seppelliremo, tremanti ?
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