20/03/19

Le mille storie della Tomba di Giulietta a Verona - (da "Monumenti Esoterici d'Italia" in ristampa dal prossimo 18 aprile in Libreria)



Torna in tutte le librerie dal prossimo 18 aprile Monumenti Esoterici d'Italia di Fabrizio Falconi, appena ristampato da Newton Compton Editore. 
Riporto uno stralcio di uno dei capitoli, dedicato alla Tomba di Giulietta a Verona. 

D’altro canto è pur vero che molte delle vicende narrate nelle opere di Shakespeare ambientate in Italia erano già note in Inghilterra grazie alla diffusione in quel paese della novellistica italiana. In particolare per quanto riguarda Romeo e Giulietta, la derivazione diretta fu senz’altro quella dalla Historia novellamente ritrovata di due nobili amanti, nella quale nel 1530 il vicentino Luigi da Porto riprendeva la tradizione delle due famiglie in lotta, che risaliva addirittura a Dante e alla Divina Commedia (Purgatorio, canto VI, verso 105), spostandone l’ambientazione da Siena a Verona.  

La versione di Luigi da Porto fu poi consegnata definitivamente alla popolarità dalla rielaborazione che ne fece Matteo Bandello, nelle sue Novelle, pubblicate nel 1554.
La lunga premessa – necessaria – sulla identità reale dell’uomo che scrisse la tragedia e sulle fonti, più o meno misteriose, che la ispirarono, ci porta ora sui luoghi reali della vicenda narrata da Shakespeare e che come abbiamo visto all’inizio del capitolo, sono oggetto del culto e della venerazione degli innamorati ancora oggi.

Se dunque, l’identificazione del Cortile del Palazzo di Giulietta, gode di alcuni argomenti favorevoli, dovuti in particolare alla presenza dello stemma del cappello – che ancora oggi si può scorgere -  sulla chiave di volta dell’arco di entrata del cortile (il cappello rimanderebbe dunque al giusto cognome della famiglia, che è quello riportato da Dante nella Divina Commedia, ovvero Cappelletti e non Capuleti), il cosiddetto sarcofago di Giulietta appartiene ad una tradizione che ha molto o quasi tutto di leggendario e che però non smette di incuriosire.

Innanzitutto c’è da dire che all’epoca dei fatti raccontati dal dramma Shakespeariano, nella Verona del Trecento, ai suicidi – ed è questo il caso della Giulietta dei Cappelletti – venivano negati i riti e la sepoltura ecclesiastica.  E’ dunque assai improbabile – anche se si può pensare ad una eccezione concessa per rango -  che alla giovane fosse stata riservata una tumulazione così solenne. 

La sistemazione del sarcofago non è comunque quella originaria.  Il convento di San Francesco, oggi adibito a Museo degli affreschi, dispone di un sotterraneo dove al centro di una artefatta cripta è posizionato il sarcofago in marmo rosso, senza coperchio e con i bordi superiori completamente abrasi, senza nessuno stemma gentilizio o iscrizione.

La leggenda vuole che l’urna fosse in origine, sin dalla fine del Trecento, posta nel chiostro del Convento, ma profanata già in epoca cinquecentesca: per stroncare il culto profano dei due amanti disgraziati, infatti,  sembra che i cappuccini decisero di aprire il sarcofago e, dopo aver disperso le ossa in una tomba comune, di adibirlo a cisterna per l’acqua del pozzo. 

L’escamotage, però non riuscì a frenare la crescente popolarità del mito di Giulietta e della sua presunta sepoltura, che si accresceva nei secoli con la fortuna della tragedia shakespeariana e delle sue infinite repliche e versioni, in tutta Europa.

Il sarcofago di Giulietta, quello che veniva indicato come tale, rimase oggetto di un pellegrinaggio continuo da parte di personalità illustri, che di passaggio a Verona, chiedevano ai francescani di poter ammirare i resti materiali di quella nobile leggenda.

Transitarono così davanti al mitico sepolcro, l’imperatrice Maria Luisa d’Austria,  duchessa regnante di Parma e Piacenza che nel 1822 pretese addirittura di farsi realizzare alcuni monili con i frammenti di marmo prelevati dal sarcofago o Lord Byron, che rimase colpito dallo squallore e dall’abbandono di quel sepolcro (8), che divenne ancora più evidente dopo che le ultime suore francescane abbandonarono definitivamente il convento nel 1842. All’epoca di Charles Dickens, come si ricava dalle sue memorie italiane, il sarcofago era ormai ridotto ad essere un semplice abbeveratoio.

Fu soltanto nel secolo scorso e precisamente nel 1910 che l’urna – per intervento della Congregazione della Carità che aveva preso possesso del complesso - fu finalmente spostata e sottratta alla rovina e alle intemperie, ponendola accanto ad un busto dedicato a Shakespeare.

La sistemazione definitiva del sarcofago si deve al direttore dei musei veronesi Antonio Avena che dopo aver subodorato l’affare – era stato scritturato come consulente nel 1936 dalla Metro Goldwyn Mayer per il kolossal Romeo and Juliet diretto da George Cukor, ma il film poi non fu girato nei luoghi originali – decise di sistemare il sepolcro marmoreo in una cornice scenografica adeguata, cioè in una falsa criptacon tanto di lapidi pavimentali autentiche - realizzata ad hoc nei sotterranei del complesso dell’ex convento.

Nell’assenza comunque di uno scheletro, dei resti di un corpo reale riferibile a Giulietta – c’è anche chi propone di svolgere una indagine a tappeto presso le fosse comuni dei francescani, impresa ovviamente improba e impraticabile – la sfortunata erede della famiglia dei Capuleti continua a inquietare i sonni di quei luoghi che la videro protagonista, nella realtà e soprattutto nella finzione shakespeariana. 

A parte fenomeni folkloristici, come quello di un mago che qualche anno fa pretese di far riapparire dal nulla Giulietta in carne e ossa, nel cortile del Castello di Montecchio Maggiore e il fantasma della giovane Capuleti fa di tanto in tanto capolino nelle cronache locali veronesi.  Ancora più radicata è invece la tradizione legata al fantasma di Luigi da Porto, che a quanto pare scrisse la sua novella, fonte diretta per la ispirazione di Shakespeare, nella quiete della sua dimora di campagna a Montorso Vicentino, nella valle del Chiampo.  Dove sorgeva la casa colonica oggi esiste una villa palladiana, e della casa dei fattori, dalla quale lo scrittore ammirava i due castelli di Montecchio Maggiore (che gli ispirarono la faida tra le due famiglie), restano soltanto pochi resti.  Ciò nonostante qui pare aggirarsi il fantasma di da Porto,  con gli abiti d’epoca e i terribili segni di quella ferita di guerra che aveva sul volto: c’è chi giura di averlo visto sostare, nelle notti d’estate, ai piedi della salita, in quell’angolo che sembra fosse il suo favorito,  e sospirare ancora per la verginea bellezza della sua Giulietta e per il suo infelice destino.





19/03/19

Le Straordinarie Foto di Robert Mapplethorpe in mostra alla Galleria Corsini.

Robert Mapplethorpe, Selfportrait 1988


Le Gallerie Nazionali di Arte Antica dedicano una mostra a un rivoluzionario e controverso artista del secondo Novecento: "Robert Mapplethorpe. 

L'Obiettivo sensibile", dal 15 marzo al 30 giugno 2019 nella sede di Galleria Corsini (Via della Lungara 10)

Quarantacinque scatti in bianco e nero, provenienti dalla Mapplethorpe Foundation di New York, del fotografo noto per avere immortalato Andy Warhol, Patti Smith, Amanda Lear e altre celebrità, e che in questo luogo settecentesco mostra il suo lato classico

Flaminia Gennari Santori, direttrice delle Gallerie Nazionali Barberini Corsini e curatrice della mostra. 

"È la prima volta che abbiamo un artista contemporaneo qui alla Galleria Corsini, da questa selezione si vede quanto Mapplethorpe sia un artista profondamente classico e dunque abbiamo cercato di selezionare le immagini dove la sua attenzione alla forma si vede in maniera piu' profonda per accostarla a una quadreria settencentesca che e' tutta basata sulla forma e la simmetria

Nella prima Galleria troneggia l'autoritratto dell'artista (Self Portrait, 1988), già malato e che tiene emblematicamente in mano un bastone con il pomello a forma di teschio (l'artista è morto l'anno seguente di Aids, nel 1989, a  42 anni di Aids nel 1989. 

E poi ritratti, nudi maschili, nudi femminili, come quello della sua musa, la culturista Lisa Lyon, e ancora nudi omoerotici accanto a immagini di fiori. 

"Mapplethorpe e' stato un grande fotografo, che usava la fotografia come mezzo, non si era necessariamente formato come fotografo, ha sempre detto che se fosse vissuto prima sarebbe stato uno scultore", ha rivelato. "I suoi soggetti principali sono statuaria, nudi, nature morte e poi naturalmente quello per cui e' diventato rinomato e controverso e' la scena sadomaso newyorkese degli anni Settanta", ha ricordato. "Un universo del desiderio consensuale ma estremo", ha sottolineato. 

"Sappiamo che Mapplethorpe non e' mai stato qui alla Galleria Corsini, pero' era un avido collezionista, abbiamo delle foto del suo appartamento che lui realizzo' nel 1988 che e' allestito in qualche modo come una quadreria. Essendo cosi' ossessionato dalla simmetria e dall'euritmia, io credo che avrebbe apprezzato questo posto", ha concluso. 

18/03/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 4. "Roma" di Federico Fellini.



Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 


4. "Roma" di Federico Fellini (1972).


Come si fa a scegliere dentro la meravigliosa produzione di Federico Fellini?  

Noi scegliamo di salvare, alla fine del mondo, un suo film considerato minore  che pure ottenne la Nomination come Migliore film straniero ai Golden Globe del 1973 e il Gran premio della tecnica al Festival di Cannes del 1972, oltre al premio del Miglior film straniero assegnato in quell'anno dal Syndicat Français de la Critique de Cinéma. 

Perché questa scelta?

Perché Roma viene da sempre considerata una città-mondo. Anzi, come dicevano i padri latini, il caput mundi. Specchio e concentrato degli umani vizi e debolezze e gloria delle virtù umane. 

E' significativo che l'atto d'amore più completo concepito per Roma, la sua storia, le sue rovine, il suo mondo, sia stato realizzato da un non-romano. 

Da non romano, trapiantato a Roma dalla provincia emiliana, Fellini riuscì come nessun altro, grazie allo spirito della sua ispirazione poetica a cogliere l'essenza più intima, nascosta della vita della Città, le sue luci e le sue ombre, l'ombra delle sue immani rovine, le luci della sua resilienza, tra ironia, sberleffo, disincanto. 


Grazie all'espediente di mettersi lui al centro del film - nei panni del giovane provinciale che arriva alla stazione Termini poco prima della seconda guerra mondiale - Fellini pesca nei suoi ricordi di allora, la Roma fascista, la Roma del Ventennio che però sa accogliere questo giovane estroso che va subito ad abitare nel popolare quartiere di Piazza dei Re di Roma. 

Da questo punto di partenza, Fellini però intesse un patchwork pieno di ogni cromia, con quadri e personaggi eterogenei e scene tutte memorabili: dal defilé di abiti ecclesiastici alla ricostruzione delle case chiuse, dagli scontri con la polizia all'ingorgo notturno sul Grande Raccordo Anulare, dal teatrino di un avanspettacolo  all'incontro del regista con giovani universitari a Villa Borghese,  dalla Festa de' Noantri fino alla memorabile scena finale del raid notturno dei motociclisti che attraversano tutta Roma da nord e Sud fino alla Cristoforo Colombo, metafora della vecchia città ormai e ancora una volta cancellata dalla brutale modernità. 

Il passaggio da un topos all'altro della narrazione avviene senza soluzione di continuità e senza filo narrativo: è l'antesignano assoluto di quello che oggi chiamiamo docufilm : né vero documentario, né vero film.  Una lunga guache di un grande artista che si esercita sul tema che gli è più congeniale, muovendo e giocando su tutti i registri: emotivo, nostalgico, ironico, profetico, poetico. 

Una vera opera-testamento che non invecchia e che resta un classico. 

l film venne presentato in prima nazionale al cinema Barberini di Roma il 18 marzo 1972.


Fabrizio Falconi

17/03/19

Poesia della Domenica: "Tenendo le cose assieme" di Mark Strand.






Tenendo le cose assieme

In un campo
io sono l'assenza
di campo.
Questo è
sempre opportuno.
Dovunque sono
io sono ciò che manca.

Quando cammino
divido l'aria
e sempre
l'aria si fa avanti
per riempire gli spazi
che il mio corpo occupava.
Tutti abbiamo delle ragioni
per muoverci
io mi muovo
per tenere assieme le cose.

16/03/19

E' amore questo ? - Krishnamurti.



E' amore quando siamo di fronte alla completa identificazione con l'altro? E l'identificazione non è forse un modo indiretto per dare importanza a se stessi? E' amore quando c'è il dolore della solitudine, la sofferenza di venir privati delle cose che ci sembrano dare significato alla nostra vita? Essere privati della possibilità di intraprendere le strade della realizzazione di sé; dover rinunciare alle cose per cui il nostro io ha vissuto; tutto questo significa la negazione del nostro valore in quanto individui, e porta solo al disincanto, all'amarezza, al dolore dell'isolamento. E questa miseria è l'amore?

15/03/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 3. "Barry Lyndon" di Stanley Kubrick (1975)


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

3. "Barry Lyndon" di Stanley Kubrick (1975).

Stanley Kubrick con il suo grande genio, era talmente avanti, che quando Barry Lyndon che aveva interamente scritto e diretto, traendolo da celebre romanzo di William Makepeace Thackeray, uscì nelle sale, il film venne scambiato per un ordinario film in costume, con incassi non cospicui e critiche ovviamente positive ma tutto sommato anch'esse ordinarie.

Con il passare degli anni invece il film è stato continuamente riscoperto, studiato e analizzato, ad esso sono stati dedicati saggi in tutto il mondo e 
oggi è giustamente considerato uno dei migliori film di Kubrick e una delle più grandi opere cinematografiche mai realizzate.

La storia, seguendo fedelmente il romanzo, prende la mosse dal piccolo villaggio irlandese nel quale vive il giovane Redmond Barry che, figlio unico di madre vedova, scapestrato e di bell'aspetto ma con pochi soldi in tasca, s'innamora della cugina, la bella e frivola Nora Brady.

Nel villaggio, qualche settimana più tardi, si ferma un reggimento militare del Regno Unito, che sta reclutando truppe per la guerra dei sette anni. A causa della delusione sentimentale - durante la sosta Nora conosce il capitano John Quin, con cui avvia una relazione - Barry decide di arruolarsi. 

Da lì iniziano le peripezie del protagonista, attraverso la crudelissima guerra, l'improvvisa ricchezza, il morbo del gioco, il circolo degli aristocratici nel quale sembra essere accolto, l'amore passionale, quello paterno, il dolore più grande, la caduta, il duello, la rovina.

Il film fu diviso da Kubrick in due parti, la prima  - Con quali mezzi Redmond Barry acquisì lo stile e il titolo di Barry Lyndon e la seconda - Resoconto delle sventure e dei disastri che accaddero a Barry Lyndon , genialmente separati da un breve intervallo  di 40 secondi di schermo completamente nero.


Il film di Kubrick è una epopea, stilisticamente unica.  Per creare un'opera che fosse massimamente realistica, il regista con la sua proverbiale maniacalità, trasse ispirazione dai più famosi paesaggisti del XVIII secolo per scegliere le ambientazioni dei set. Le riprese vennero effettuate in Inghilterra, Irlanda e Germania. Le scene e i costumi vennero ricavati da quadri, stampe e disegni d'epoca.  È un film fortemente visivo, talmente ricco di immagini e riferimenti estetici (dovute alle vastissime ricerche condotte dall'autore) da farne la più ampia e rigorosa rappresentazione del Settecento che il cinema abbia mai prodotto.

Ma questo non realizzò semplicemente un esercizio calligrafico (per questo fu scambiato dai plenipotenziari grossolani di Hollywood che infatti concessero al film soltanto i premi Oscar alla migliore fotografia (John Alcott), alla migliore scenografia (Ken Adam) e ai migliori costumi (Milena Canonero).

Nulla infatti nel capolavoro di Kubrick ha semplicemente un significato estetico, fine a se stesso.

Come sempre, nella filmografia del grande maestro, la perfezione esteriore mira a una messa a nudo totale bi-direzionale.  Della scena rispetto allo spettatore che osserva, e dello spettatore rispetto alla scena osservata: calato, immerso nella ricostruzione apparentemente asettica di un altrove linguistico, storico-temporale, lo spettatore si libera di ogni pre-giudizio e di ogni pre-visione e si abbandona al quadro morale costituito dalla storia raccontata da Thackeray e re-interpretata e re-inventata da Kubrick.

Ancora una volta, come in Orizzonti di Gloria, come in Spartacus, come in Arancia Meccanica e come in 2001 Odissea nello Spazio (ma l'elenco potrebbe proseguire) l'uomo è solo e nudo e al centro, contro il mistero della creazione, contro le avversità, il destino, il fato, contro gli enigmi della vita e delle pure contraddizioni, sospese tra il Bene e il Male, che costituiscono il teatro entro cui si svolge l'esistenza di ogni uomo e entro cui egli è chiamato conradianamente a scegliere ogni volta, a decidere le proprie fortune e/o la propria rovina. 

Un film grandioso e immortale, che ogni volta stupisce per la sua perfezione esteriore e per la profondità con cui si addentra nel mistero del cuore umano.

Fabrizio Falconi



Barry Lyndon
di Stanley Kubrick
Regno Unito, Stati Uniti, 1975
Durata 184 min
Ryan O'Neal, Marisa Berenson, Patrick Magee, Hardy Krüger.

14/03/19

Apre a Milano il Book Pride . Il programma di OGGI.


Da venerdì 15 a domenica 17 marzo
alla Fabbrica del Vapore di Milano
 

AL VIA BOOK PRIDE 2019 – OGNI DESIDERIO

Ingresso gratuito

Inizia ufficialmente venerdì 15 marzo la quinta edizione di BOOK PRIDE, Fiera Nazionale dell’editoria indipendente, organizzata in collaborazione con il Comune di Milano, in programma per la prima volta alla Fabbrica del Vapore di Milano e in corso fino a domenica 17 marzo, dalle 10 alle 20. 

BOOK PRIDE, con la direzione dello scrittore Giorgio Vasta, porta a Milano circa 200 editori, mentre gli eventi in programma sono 250. L’immagine-simbolo del tema scelto per il 2019, OGNI DESIDERIO, è stata creata dall’artista Nicola Magrin.

Programma di venerdì 15 marzo 

Fra gli incontri di punta della prima giornata di BOOK PRIDE, alle ore 11 si entra subito nel vivo del programma professionale con Un patto per la cultura, a cura di ADEI, che riunisce esponenti delle Associazioni nazionali di cinema, editoria, teatro, musica e di Federculture, fra i quali Andrea CancellatoSergio EscobarEnzo MazzaFrancesco RutelliNicola Zanardi, Marco Zapparoli.

Alle 14 è in programma la presentazione del libro Cara senatrice Merlin. Lettere dalle case chiuse (ed. Gruppo Abele), che celebra i sessant’anni della legge Merlin con la quale vennero abolite le case chiuse e si eliminò l’organizzazione della prostituzione da parte dello Stato, mentre alle 16 ci sarà un incontro sull’originalità del linguaggio di Gianni Breranel centenario della sua nascita, fra sport e letteratura, con Gianni Mura Giuseppe Smorto, in collaborazione con Robinson – La Repubblica.

Alle 17 la scrittrice greca Ersi Sotiropoulos presenta il suo nuovo romanzo Cosa resta della notte (Nottetempo), con un giovane Costantino Kavafis al termine di un viaggio nella Parigi di fine Ottocento, e in contemporanea Valeria Parrella esplora il desiderio di Antigone, dalla tragedia di Sofocle, mentre Patrizia Valduga con Pietro Barbetta ci aiuta a rileggere il tema del desiderio con la lente della filosofia e della psicodinamica.
Sempre alle 17 Viola Di Grado presenta il suo nuovo romanzo Fuoco al cielo (La nave di Teseo), ambientato in un remoto villaggio siberiano, il luogo più radioattivo del pianeta, e Paolo Bacilieri mette in scena una storia d’amore attraverso il disegno dei palazzi di Milano, dimostrando che il fumetto può trasformare l’architettura in racconto, in Tramezzino (Canicola edizioni), di cui parla con Gianni Biondillo.

Alle 18 Carlo Formenti, giornalista e analista politico, incontra il pubblico per presentare il suo libro e la collana Visioni Eretiche (Meltemi); Matthias Nawrat presenta Imprenditori. Una favola famigliare (L’orma editore), romanzo tenero e visionario che ci regala una riflessione ironica e spietata sulla nostra società e sugli esiti del capitalismo europeo. Ancora alle 18, Dany Laferrière presenta Sono uno scrittore giapponese (66thand2nd), dove con leggerezza e acume torna a parlare in tono giocoso dell’identità, in un libro che è una celebrazione dell’intelligenza e dei sensi, e Franco Lorenzoni ci racconta il suo nuovo lavoro I bambini ci guardano. Una esperienza educativa controvento (Sellerio).
Alle 18 Rivista Studio cura un incontro su Milano futura, con Marco Simoni Azzurra Muzzonigro, mentre Raffaele Alberto Ventura ripropone il suo Seminario sulla classe disagiata, invitando i lettori a un confronto collettivo sulla crisi e il suo impatto sulle scelte esistenziali dei cosiddetti Millennial.

Alle 19 in programma un dialogo di Cristina Cattaneo con Elena Stancanelli intorno ai temi del suo libro Naufraghi senza volto (Raffaello Cortina) che racconta, attraverso il vissuto di un medico legale, il tentativo di un Paese di dare un nome alle vittime della migrazione, e come questi corpi testimoniano la violenza e la disperazione del nostro tempo. Sempre alle 19, incontro con Iain Sinclair, che ne L’ultima Londra (il Saggiatore) riesce finalmente a catturare e descrivere l’enigmatica magia della città che per tutta la vita lo ha ossessionato. Sempre alle 19 lo scrittore algerino Samir Toumi presenta Lo specchio vuoto (Mesogea), mentre alle 20 Paolo Spagnuolo parla del suo Milano odia. La polizia non può sparare (Milieu) in un aperitivo-presentazione in tema poliziottesco.

BOOK PRIDE OFF – Prosegue anche il programma OFF dopo le anteprime dei giorni scorsi, in locali e librerie della città. Tra i circa venti appuntamenti, alle 21 uno speciale ricordo di Andrea Pinketts, scomparso lo scorso 20 dicembre, a cura di Alessandro Beretta presso il Circolo Ex Combattenti in via Alessandro Volta 23, e Un altro porno è possibile, una serata di discussioni, proiezioni e letture sulla pornografia e i suoi mutamenti a PoP- Piece of Pie in via Tadino 5.

Collaborazioni

Umano/Urbano. I sentieri del desiderio
In questa sezione, realizzata in collaborazione con la Milano Digital Week, ragioniamo sui modi in cui l’intelligenza urbana e il desiderio umano costruiscono legami esplorando e di continuo reinventando quel complesso organismo – spazio ma anche tempo, relazioni, comunicazioni, trasformazioni – che è una città. Fra gli ospiti dei vari incontri, Franco Lorenzoni, Christian Raimo, Susanna Sancassani, Luca De Biase, Gianluca Sgueo, James Barrat, Giovanni Ziccardi, Matteo Lancini, Maurizio Balistreri, Iain Sinclair, Guido Viale. In programma anche un incontro del ciclo «Editoria in Progress», a cura dei Master Professione Editoria e BookTelling dell'Università Cattolica.

Robinson - La Repubblica – Numerosi incontri del programma sono organizzati in collaborazione con Robinson, che contribuisce a ragionare intorno e dentro il tema OGNI DESIDERIO.

Il Sole 24 Ore – Un appuntamento a cura de Il Sole 24 Ore con Sergio Luzzatto Gianluigi Simonetti in dialogo sul desiderio di aver libri e del desiderio nei libri, modera Cristina Battocletti.

Suisse Pride – Si rinnova l’appuntamento con la rassegna itinerante dedicata alla letteratura svizzera, a cura di Roberta Gado. Tra gli ospiti: Rinny GremaudAlexandre HmineAnna RuchatRiccardo FedrigaAdrien Pasquali, Nicolas VerdanGrisélidis RéalYari Moro Maurizia Balmelli.

The Library of Unread Books – In collaborazione con The Art Book Shop Project di Kunstverein Milano, che cura lo spazio BOOK ART, una biblioteca itinerante ‘dei libri non letti’, composta da libri donati da ex proprietari che non li hanno letti.

Piccoli Maestri – Si rinnova la collaborazione conl’associazione di scrittori e scrittrici che va nelle scuole a raccontare un libro. A BOOK PRIDE gli studenti stessi rileggono a modo loro grandi libri con i loro professori. Introducono e moderano Annarita Briganti, Federico Cerminara e Maura Gancitano.

BOOK YOUNG– Torna lo spazio dedicato ai piccoli lettori a cura delle librerie La linea d’ombra e Isola libri, con laboratori per bambini e ragazzi, oltre alle letture ad alta voce tra gli spazi e gli stand della Fiera a cura dei lettori volontari del Patto di Milano per la Lettura.

BOOK COMICS– Un bookshop che vuole far conoscere le possibilità narrative, espressive e sperimentali di fumetto e graphic novel, curato da BilBOlbul Festival Internazionale di Fumetto di Bologna e dalla libreria SpazioB**K di Milano, che hanno incrociato i loro sguardi per selezionare le migliori proposte di graphic novel del panorama editoriale indipendente italiano. In programma incontri con Paolo Bacilieri, Gianni Biondillo, José Muñoz, Guido Scarabottolo, Lorenzo Mò, Vincenzo Filosa.

BOOK ART – Kunstverein Milano cura la sezione dedicata all’art publishing, proponendo una selezione di artisti che utilizzano l’editoria come parte integrante della loro pratica: oltre venti personalità che dagli anni Settanta a oggi usano la carta stampata per diffondere conoscenza e produrre nuove forme di immaginazione.

SPAZIO RIVISTE – Torna il focus sulle riviste indipendenti, con una selezione di magazine a cura di Edicola 518 e un programma di incontri e laboratori con le più note riviste letterarie italiane.

Mediapartner: Robinson – La Repubblica, L’Indice dei Libri del Mese, Leggere: Tutti, Cultweek, Radio Popolare.

Orari: venerdì, sabato, domenica dalle 10 alle 20.
Ingresso gratuito.

Fabbrica del Vapore: Via Procaccini 4, Milano

Segreteria organizzativa: fiera@bookpride.net
www.bookpride.net

13/03/19

La testa di San Giovanni Battista nella chiesa di San Silvestro in Capite in Piazza San Silvestro a Roma.


La testa di San Giovanni Battista nella chiesa di San Silvestro in Capite in Piazza San Silvestro a Roma

Destò interesse qualche tempo fa la notizia che la chiesa di San Giovanni Battista, una delle chiese cattoliche costruite all’inizio del XIX secolo in uno dei luoghi di maggiore tradizione storica in Russia era stata restituita ai cattolici a più di 50 anni di distanza dalla sua confisca ad opera del potere sovietico.

Il tempio è situato nel paese del poeta Alexander Pushkin – Tsarskoe Selo, com’era chiamato in passato – nel nord-est della Russia, a pochi chilometri da San Pietroburgo.

L’inizio della costruzione della chiesa di San Giovanni Battista risaliva al 1823 per ordine dello zar Alessandro I, poiché la chiesa di legno che esisteva a Tsarskoe Selo era diventata troppo piccola per accogliere i fedeli. Dopo l’arresto del parroco ai tempi dell’Unione Sovietica, con pressioni politiche coloro che si trovavano sotto la sua responsabilità, come in molti altri casi, vennero obbligati a firmare un documento in cui si dichiaravano impossibilitati a riparare la chiesa e a pagare allo Stato le imposte corrispondenti all’immobile.

Curiosamente, la restituzione della chiesa di San Giovanni Battista alla comunità cattolica coincideva con la visita in Russia, nel luglio del 2006, di alcune reliquie considerate, secondo la tradizione, i resti della mano destra di colui che battezzò Gesù nel Giordano.

In quella occasione, i giornali russi riferirono delle incredibili file di fedeli che si erano ammassate, per vedere le famose reliquie del Battista, che mancavano in Russia da tanto tempo.

Alla luce di queste notizie provenienti dall’Oriente Europeo, faceva ancora più impressione considerare il fatto che a Roma si veneri da tempo immemorabile – certamente non con lo stesso seguito di fedeli registrato in Russia - quella che è considerata la testa del Battista, esposta in bella mostra in una piccola chiesa centralissima: San Silvestro in Capite, in Piazza San Silvestro.

La reliquia si riferisce ovviamente ad uno degli episodi evangelici più famosi, il martirio di San Giovanni Battista, cioè del Precursore di Gesù Cristo, episodio reso immortale dalle numerose riproduzioni nella storia dell'Arte, tra i quali spicca la tela di Caravaggio conservata al Palazzo Reale di Madrid che ritrae con particolari del tutto verosimili la decapitazione voluta dalla perfida Salomè, figlia di Erode.


La tradizione dunque vuole che proprio questa stessa testa del Battista sia conservata a Roma, in una delle sue chiese più centrali.

La preziosa reliquia, la testa mummificata è custodita in un piccolo e prezioso altare nella Chiesa di S. Silvestro in capite  (il nome deriva da questo), nella cappella dell’Addoloratain un reliquiario del 1391, contenuto a sua volta in un altro, cuspidato, del 1881.

La Chiesa sorge - come altre del Rione - su un tempio più antico pagano, in questo caso il Tempio del Sole, sopra il quale fu edificata una prima chiesa paleocristiana dal papa Stefano II, chiamata inter duos hortos, perché era circondata da orti.

La reliquia, pervenuta a Roma durante il pontificato di Innocenzo II (1130-1143) era tra le più venerate in città e veniva portata ogni anno in processione da quattro arcivescovi (la tradizione durò fino al 1411), sorvegliata costantemente nella chiesa da soldati armati.

Nel 1238 papa Martino IV la ripose in un reliquiario d’argento che Bonifacio VIII decorò con una tiara preziosa andata perduta, rubata purtroppo nel corso del Sacco di Roma del 1527.

La testa del Battista si salvò e continuò a restare al suo posto, fino al 1870 quando fu temporaneamente custodita in Vaticano, per poi essere restituita alla chiesa nel 1904.

La disputa sulla veridicità della preziosa reliquia ha impegnato a lungo gli studiosi.  Ma a dimostrazione del fatto che non si tratta di pura leggenda, sono di estrema rilevanza i monumentali studi compiuti dallo Iozzi  che in una sua pubblicazione confutò una reliquia simile posseduta dalla cattedrale d'Amiens, in Francia e stabilì la veridicità di quella romana.

Nel corso poi di un’altra ricognizione  della reliquia effettuata nel 1962 si riscontrò  la presenza di stoffa risalente con ogni probabilità all'ottavo secolo e si trovarono due monete del XII secolo.


Fabrizio Falconi
tratto da:
MISTERI E SEGRETI DEI RIONI E DEI QUARTIERI DI ROMA 
Newton Compton Editore
Roma, 2014-2017

12/03/19

Non mi interessa cosa fai per vivere. Una intensa poesia di Oriah Mountain Dreamer.



Non mi interessa che cosa fai per vivere; voglio 
sapere che cosa ti fa spasimare e se osi sognare 
di andare incontro all'anelito del tuo cuore.

Non mi interessa quanti anni hai; voglio sapere 
se rischieresti di passare per stupida per amore, 
per un sogno, per l'avventura di essere viva.

Non mi interessa quali pianeti siano in 
quadratura con la tua luna.  Voglio sapere se hai 
toccato il centro del tuo dispiacere, se i 
tradimenti di una vita ti hanno aperta oppure ti 
hanno raggrinzita e chiusa per paura di altro 
dolore.

Voglio sapere se riesci a sederti con la 
sofferenza, la mia o la tua, senza muoverti per 
nasconderla, né per sedarla, né per mandarla via.

Voglio sapere se riesci a stare con la gioia, la 
mia o la tua, se riesci a ballare selvaggiamente 
lasciando che l'estasi ti riempia fino alle 
estremità delle dita delle mani e dei piedi senza 
ricordarci di stare attenti, o di essere 
realistici, né per rammentarci i limiti 
dell'essere umano.

Non mi interessa se la storia che mi stai 
raccontando è vera. Voglio sapere se riesci a 
deludere un altro pur di essere sincera con te 
stessa. Se riesci a sopportare l'accusa di 
tradimento senza tradire la tua anima. Se riesci 
a essere senza fede e perciò degna di fede.

Voglio sapere se riesci a vedere ogni giorno la 
bellezza anche quando non è pittorica; e se 
riesci a far scaturire la tua vita dalla sua 
presenza.

Voglio sapere se riesci a vivere col fallimento, 
il tuo e e il mio, e tuttavia, sul bordo del 
lago, a gridare al plenilunio d'argento il tuo 
«Sì!».

Non mi interessa sapere dove vivi o quanti soldi 
hai. Voglio sapere se riesci ad alzarti dopo una 
notte di dolore e di disperazione stanca e con le 
ossa a pezzi e a fare ciò che va fatto per dar da 
mangiare ai bambini.

Non mi interessa ciò che sai né come sei giunta 
qui. Voglio sapere se starai nel centro del fuoco 
con me senza tirarti indietro.

Non mi interessa dove o che cosa o con chi hai 
studiato. Voglio sapere che cosa ti sostiene da 
dentro quando tutto il resto crolla.

Voglio sapere se riesci a stare sola con te 
stessa e se ti piace davvero la compagnia che ti 
fai nei momenti vuoti.

Oriah Mountain Dreamer
http://www.oriahmountaindreamer.com/

illustrazione in testa: 
Artwork by Denis Sarazhin - Soundlessly, 2015, | Painting | Artstack - art online

11/03/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 2. "Le onde del destino" di Lars Von Trier (1996)


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

2. Le Onde Del Destino di Lars Von Trier (1996). 

Prima che la sua carriera di autore fosse funestata dall'abuso di droghe e alcool - come egli stesso ha più volte raccontato -  e dure terapie di disintossicazione, oltre che dalla depressione cronica e dalle sue eccentricità a volte insopportabili, Lars Von Trier, soprattutto all'inizio della sua produzione ha regalato veri capolavori. 

Dopo il magnifico Europa, uscito nel 1991, che concludeva la cosiddetta Trilogia Europea, con il quale vinse il Gran Premio della Giuria al 44mo Festival di Cannes, Von Trier si mise al lavoro per quello che resta il suo capolavoro, le cui riprese durarono quasi 3 anni: Le onde del destino (titolo originale Breaking the Waves, uscito nel 1996 e che ha collezionato un numero infinito di premi in tutto il mondo (tra i quali il Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes e la nomination agli Oscar come migliore attrice della protagonista Emily Watson (che ottenne ). 

Chi ha visto questo film una volta, difficilmente lo ha dimenticato. 

Nei quattordici capitoli che segnano la storia - accompagnati ogni volta da una canzone (la colonna sonora è fantastica)  - seguiamo le vicende di Bess McNeill, una ragazza scozzese con problemi psicologici, religiosa e pura di cuore, immerse nell'estremo paesaggio nordico. 

Il destino di Bess è segnato: quando si innamora e decide di sposare Jan, un operaio della piattaforma petrolifera, ateo, va incontro alla disapprovazione della comunità a cui appartiene, intrisa di cultura e fede calvinista.


La felicità dura poco. Bess deve fare i conti con l'assenza di Jan, richiamato sulla piattaforma petrolifera: non le restano che le preghiere sommesse che recita a Dio (e del quale recita le immaginarie risposte) e le rare telefonate che riesce a fare al suo uomo. Fino alla tragica notizia  del grave incidente che Jan subisce e che lo rende paralizzato. 

Inizia così il tormento di Bess  che si ritiene responsabile dell'accaduto, perché il giorno prima dell'incidente ha pregato incessantemente per il ritorno immediato di Jan. 

Non più in grado di soddisfarla sessualmente e mentalmente provato dalla paralisi, Jan impone a Bess di trovare un amante. Inizialmente Bess è inorridita dalla richiesta, ma diventa sempre più propensa ad assecondare Jan, quando questi tenta il suicidio.

Il cammino di degradazione di Bess diventa quindi lentamente un nobile e terribile sacrificio, nel tentativo di espiare il destino avverso. 

Von Trier chiamò questa sua seconda trilogia (iniziata con Le Onde Del Destino e proseguita con Idioti e Dancer in the Dark, la Trilogia del cuore d'oro, costituita da film i cui protagonisti vanno incontro a un doloroso destino a causa della loro bontà e del loro altruismo.

Le Onde del Destino è un film di pura poesia, estremo e lucido, insiste sulle corde più intime del cuore umano, sul dramma della separazione, sulle aspettative e le generosità dell'amore, sulla sofferenza e sulla crudeltà dei fini e dei giudizi esteriori in confronto alla nuda esposizione dell'anima e dei suoi bisogni. 

Il tutto in una veste formale ineccepibile in cui si mescolano i precetti della scuola Dogma, la grandiosa fotografia di Robby Muller e la meraviglia di attori in stato di grazia. 

Fabrizio Falconi

08/03/19

Libro del Giorno: "Lamento di Portnoy" di Philip Roth.



Con questo romanzo, scritto nel lontano 1969, Philip Roth, che all'epoca aveva 36 anni, trovò la sua definitiva consacrazione, dopo due romanzi (Lasciar andare, 1962 e Quando lei era buona, 1967 -unico romanzo dell'intera bibliografia di Roth con una protagonista femminile) che avevano ricevuto l'attenzione della critica, ma non del grande pubblico.

Anno cruciale, il 1969.  E forse Lamento di Portnoy, proprio per questo oggi si rilegge con una certa dose di tenerezza.

Anche se, come è ovvio, quando uscì, nell'America perbenista di quegli anni, appena contaminata dalla contestazione giovanile, dal femminismo, dai grandi raduni rock, dalla protesta contro la guerra nel Vietnam, dalle rivolte nei ghetti dei neri, il romanzo incendiò le polemiche per i suoi contenuti trasgressivi e soprattutto per la spietata messa alla berlina della tradizione ebraica, con tutte le sue componenti più ossessive e conservatrici. 

Per Roth era il modo per venire allo scoperto, per demolire la costruzione socio-teologica nella quale anche lui e la sua famiglia erano cresciuti, seppure trapiantati come molti altri, nella cultura americana.

Il romanzo, costruito come un unico flusso di coscienza una cascata ininterrotta di confessioni e invettive riferita sul lettino di uno psicanalista, chiamato Spielvogel (che si può tradurre dal tedesco come: uccello del gioco), che non parla mai e non entra mai sulla scena del racconto. 

Passano così davanti agli occhi del lettore l'infanzia e l'adolescenza di Alexander Portnoy, la sua famiglia ebraica (dominata dalla figura della madre Sophia, il padre e la sorella Hannah), i primi lavori, ma soprattutto tutto il catalogo delle esperienze erotiche, dai solipsismi masturbatori, fino alle acrobazie a tre, con la fidanzata - chiamata Scimmia - e una puttana rimorchiata per le strade di Roma, fino all'ultimo capitolo - Esilio, il più bello del romanzo - in cui Alexander descrive, il suo viaggio-ritorno in Israele. 

Una scrittura meravigliosamente pirotecnica, in un romanzo che fa ridere - fino alle lacrime - e pensare, sempre.  Alexander - primo alter ego di Roth, molto prima di Nathan Zuckerman - racconta con un diluvio di trovate e di paradossi (si scoprono anche battute alle quali ha attinto anche il primo Woody Allen), il dilemma in cui si dibatte, quello di liberarsi della sua oppressiva tradizione sostanzialmente attraverso la sessualità e la pornografia; ricadendo però ad ogni passo verso l'apparente e agognata liberazione, nei divoranti sensi di colpa/lamentazioni/empasses, come dentro una ragnatela inestricabile. 

Politicamente scorretto, sgradevolmente esibizionista, misogino, "razzista" (soprattutto verso la sua stessa "razza"),  anticlericale, furiosamente anticattolico, ateo e comunista: questo Roth (al contrario di Bellow) mette in piazza tutto, e dopo tanti anni, suscita perfino nostalgia - per quell'esubero di passioni sbagliate - in una epoca, la nostra, di passioni fredde, glaciali, anestetizzate. 

Un grande romanzo.

Fabrizio Falconi






07/03/19

L'incredibile bambola snodabile trovata vicino alla Mummia di Grottarossa, sulla Via Cassia.



Il 6 febbraio 1964, durante i lavori di un cantiere edile in via Abbadia San Salvatore (attuale via Cassia 952), fu scoperta una sepoltura del II secolo con il corpo mummificato di una bambina di 8-10 anni circa.


Normalmente nella Roma antica non si utilizzava questa tecnica per la conservazione delle salme, per questo, la cosiddetta mummia di Grottarossa, è forse un caso unico. La mummia è attualmente conservata, all'interno di un'urna, in una sala del Museo nazionale romano di palazzo Massimo insieme al suo corredo funerario, costituito da numerosi oggetti interessanti e curiosi, come ad esempio una bambola snodabile, tutti ritrovati nella tomba accanto al corpo della fanciulla.

Data la singolarità della conservazione del corpo,
t

100 film da salvare alla fine del mondo - 1. "Cabaret" di Bob Fosse (1972)



Questo blog dedicherà da oggi, ad appuntamenti non fissi, un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di tutti. 

1. Cabaret di Bob Fosse (1972)

Tutto è speciale in questo film, tutto è pura poesia. Cioè: essenzialità e verità. 

Ispirato dai  racconti berlinesi di Christopher Isherwood, Cabaret racconta la vita ai tempi della Repubblica di Weimar nel 1931, con l'ascesa al potere del Partito Nazionalsocialista di Adolf Hitler. Su questo sfondo si muovono le vicende di uno studente inglese di lingue moderne, Brian Roberts (Michael York), timido e inibito e della sua vicina di stanza nella pensione in cui alloggia, la soubrette Sally Bowles, un mix irresistibile di tenerezza e determinazione, che lavora al Kit-Kat, cabaret frequentato da omosessuali, intellettuali, artisti e da borghesi alla ricerca di fremiti trasgressivi. 

Ben presto, l'amicizia tra i due si trasforma in un triangolo amoroso quando Sally conosce Maximilian von Heune, ricco aristocratico tedesco: bello ed affascinante.

Musiche e canzoni meravigliose, balletti straordinari, sceneggiatura sempre in bilico tra sublime e dramma. Cabaret avvolge e travolge il cuore. Portandolo oltre le potenzialità delle vite prosaiche, conducendolo alla formulazione delle domande vere che abitano le esistenze.  L'amore, il destino, il darsi, il male, la violenza, la potenza della Storia, la fine, la malinconia, la dispersione, il ricordo. 

Cabaret, un'opera irripetibile, che soltanto il genio di Bob Fosse poteva concepire e consegnare alla immortalità. 


Cabaret 
USA 1972 
Durata 124 min 
Regia Bob Fosse 
Musiche John Kander 
Liza Minnelli: Sally Bowles 
Michael York: Brian Roberts 
Helmut Griem: Maximilian "Max" von Heune 
Joel Grey: maestro di cerimonie

05/03/19

Trovata la Faglia del Terremoto che "spezzò" il Colosseo .


Il sistema di faglie del Monte Vettore che si e' attivato nel 2016 e' stato anche responsabile del terremoto che nel V secolo danneggio' molti monumenti di epoca romana, compreso il Colosseo. 

Lo indica lo studio italianopubblicato sulla rivista Tectonics e secondo il quale questa faglia genera terremoti distruttivi a intervalli compresi fra 1.500 e 2.100 anni circa. 

 La ricerca e' guidata da Paolo Galli, sismologo del Dipartimento nazionale della Protezione civile e dell'Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Igag-Cnr) ed e' stata condotta con le universita' Sapienza di Roma e 'G.d'Annunzio' di Chieti-Pescara. 

Nell'area dell'Italia centrale colpita dai terremoti dell'agosto e dell'ottobre 2016 i ricercatori hanno scavato trincee a cavallo delle rotture superficiali e delle deformazioni generate dai sismi e, studiando le caratteristiche geologiche della roccia, hanno ricostruito i terremoti generati in passato dalla faglia del Monte Vettore. 

"Sapevamo in passato quella faglia aveva rilasciato forti terremoti, ma non era associata a terremoti avvenuti in tempi storici, cioe' annotati nei registri o nelle fonti storiche", ha detto all'ANSA Edoardo Peronace dell'Igag-Cnr. I ricercatori hanno cosi' individuato le 'cicatrici' lasciate da deformazioni precedenti del suolo e hanno dimostrato che lo stesso sistema di faglie ha generato in passato almeno sei terremoti distruttivi. 

Il penultimo e' stato quello avvenuto nel 443 d.C., che ha lasciato il segno nei danni prodotti a chiese paleocristiane e a monumenti noti, primo fra tutti il Colosseo. 

E' un risultato che, secondo i ricercatori, indica che anche altre faglie silenti potrebbero essere una minaccia: per questo vanno studiate e considerate al fine della mitigazione del rischio sismico. 

04/03/19

Il celebre monologo di Tiziano Terzani sulla felicità, che fa bene riascoltare.




In tempi così in-sensati come quelli che stiamo vivendo, nei quali tutti inseguono desideri e bisogni egoistici, a scapito della infelicità di altri, o - spesso - proprio basati sulla infelicità altrui, fa bene riascoltare queste parole del grande Tiziano Terzani, una grande anima che oggi (ci) manca molto.

03/03/19

Poesia della Domenica: "Addio a una vista" di Wislawa Szymborska.


Addio a una vista

Non ce l'ho con la primavera
perché è tornata.
Non la incolpo
perché adempie come ogni anno
ai suoi doveri.

Capisco che la mia tristezza
non fermerà il verde.
Il filo d'erba, se oscilla,
è solo al vento.

Non mi fa soffrire
che gli isolotti di ontani sull'acqua
abbiano di nuovo con che stormire.

Prendo atto
che la riva d'un certo lago
è rimasta - come se tu vivessi ancora -
bella com'era.

Non ho rancore
contro la vista per la vista
sulla baia abbacinata dal sole.

Riesco perfino a immaginare
che degli altri, non noi,
siedano in questo momento
su un tronco rovesciato di betulla.

Rispetto il loro diritto
a sussurrare, a ridere
e a tacere felici.

Suppongo perfino
che li unisca l'amore
e che lui la stringa
con il suo braccio vivo.

Qualche giovane ala
fruscia nei giuncheti.
Auguro loro sinceramente
di sentirla.

Non pretendo alcun cambiamento
delle onde vicine alla riva,
ora leste, ora pigre
e non a me obbedienti.

Non pretendo nulla
dalle acque fonde accanto al bosco,
ora color smeraldo,
ora color zaffiro,
ora nere.

Una cosa soltanto non accetto.
Il mio ritorno là.
Il privilegio della presenza -
ci rinuncio.

Ti sono sopravvissuta solo
e soltanto quanto basta
per pensare da lontano.