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Murielle Lucie Clément. – Andreï Makine, la sua idea di letteratura è mutata, da quando è iniziata la sua carriera, una ventina d’anni fa?
Andreï Makine. – In linea generale no, ma si tratta anche di capire cosa lei intenda con “idea di letteratura”.
M. L. Clément. – La sua idea personale e generale di letteratura.
A. Makine. – Il posto che la letteratura occupa in questo mondo, il posto che la letteratura occupa rispetto alle espressioni artistiche non letterarie, rispetto alla filosofia? Il campo va ben delimitato. La letteratura era, per me, una specie di sacerdozio. Si entra nella letteratura come si entra in ordine religioso. Ma senza alcuna connotazione ascetica o religiosa. Un impegno totale. Un altro modo di vivere. Proust diceva:” Leggere è assentarsi dalla vita”. Un libro è un altro modo di vivere. E’ possibile accedere in modo completo a questo modo di vivere? Non credo, perché siamo dei semplici esseri mortali e dunque siamo interessati a numerose altre attività. Tanto più che, grazie a Verlaine, la letteratura è diventata quasi una battuta: “E tutto il resto è letteratura!”
La visione che ne hanno i russi è abbastanza originale. Non hanno creato grandi sistemi filosofici, e hanno rimediato a questo con la creazione letteraria. Essere scrittore, in Russia, significa essere anche un pensatore e un filosofo. Questo confine, che troviamo in Francia e in Germania, tra letteratura e i grandi sistemi filosofici come quello di Cartesio, di Hegel o di Kant, là non esiste. I russi, dunque, sono dei sincretisti, e ciò può essere utile. Gli ha permesso di evitare lo sviluppo pletorico di una letteratura leggera, che è sempre stata indicata come belletristika. Una parola, “belle lettere”, che in francese suona nobile, ma in russo è un peggiorativo e ingloba tutto ciò che è avanspettacolo, romanzetto da leggere in treno, tutti i generi minori, i romanzetti facili. E che sono sempre stati disprezzati, in Russia. Quale sarebbe, allora, il ruolo della letteratura, come definirla? Una specie di soteriologia. La letteratura è soprattutto questo. Dopo i miei primi lavori, il mio modo di vedere la letteratura si è diversificato, se non altro proprio grazie all’influenza che, soprattutto, hanno esercitato le cose che ho scritto. Ci sono campi, come il teatro, che un tempo mi sembravano inaccessibili. Non avrei mai pensato di scrivere un pezzo di teatro, e invece l’ho scritto. Ho scritto dei saggi, anche se non mi consideravo un saggista. E, infine, non avrei mai pensato di scrivere un testo, che l’attualità mi ha spinto invece a scrivere, come Cette France qu’on oublie d’aimer.
M. L. Clément. – Ci può raccontare come è diventato scrittore?
A. Makine. – Bisognerebbe scrivere un libro intero per raccontare la nascita di una vocazione. Riandiamo per un istante al significato etimologico di questa parola, la vox, la voce che ti parla. Non nel senso che si sentano delle voci e che ne si venga illuminati. La chiamata viene lanciato da realtà inconfutabili, a cui si pensa senza pensarci, pur pensandoci: l’eroe, la morte, la brevità della vita, la fugacità del nostro essere, la sofferenza, la morte dei nostri cari, il Male, il Bene, insomma, tutti i grandi interrogativi che si pone l’umanità e che esigono una risposta da parte nostra. E bisognerebbe trovare un modo appropriato per raccontare tutto questo in modo non scolastico, né oscuro, né alambiccato. Trovare un linguaggio semplice per dire la morte, l’eroe, la sofferenza, il Bene, il Male ecc. E così, senza star lì ad architettare la cosa, si ritorna a questo, ai grandi sistemi filosofici, per parlare in modo esatto.
M. L. Clément. – Non ha veramente risposto alla mia domanda. Come sono cominciate le cose? Com’è che è diventato scrittore?
A. Makine. – Sì ma, vede, io sono stato talmente tante cose. Lei avrebbe potuto chiedermi, com’è stato com’è che a dodici anni è diventato un facchino in un mercato kolkoziano, o un pastore e poi un soldato e così via. A un certo punto ho pensato di voler diventare uno sportivo di professione. Siamo tutte queste facce. Nabokov era un professore universitario. Questa era la sostanza del suo essere, della sua vocazione? Forse un modo per sbarcare il lunario, come sono stati per me i mille mestieri che ho fatto.
M. L. Clément. – Glielo chiedo perché, prima, lei è stato uno studente universitario e ha scritto una tesi di dottorato e degli articoli di critica letteraria. Forse avrei dovuto porre la domanda in modo diverso e chiederle come lei è diventato un romanziere.
A. Makine. – L’analisi letteraria è un aspetto sussidiario rispetto alla creazione letteraria. Immaginiamo un campione di Formula 1 che, per esempio, s’interessi anche di meccanica. Questo gli dà qualcosa. Conosce meglio il motore, come funziona, i suoi limiti, ma non rimpiazza il suo talento di pilota. Un giorno, forse, quando avrà perso il suo ingaggio, potrà saltare dall’altra parte e diventare un meccanico. Succede lo stesso con la vocazione letteraria.
M. L. Clément. – Come scrive un romanzo, che è poi quello che lei fa, soprattutto. Ecco, vorrei sapere come nasce un romanzo di Andreï Makine. Parte per prima cosa dall’idea di un personaggio? O c’è una storia che le parla, al principio… ?